Nel 1350 Siculiana era un semplice povero casale con le sue case di pietre di gesso addossate alla collina, ove in cima, fiero il maestoso, si ergeva il castello. Uno dei tanti castelli che i Chiaramonte fecero costruire nelle loro terre per ricordare agli indigeni che la legge feudale andava rispettata e temuta, e ai forestieri che la potenza chiaramontiana non era un mito, ma una realtà di fatto.
La Siculiana di oggi, quella che si incontra percorrendo la statale Agrigento – Trapani, vive la sua vita operosa lavorando vaste zone argillose avare ed assetate progettando le reti in quel mare che i romani percorsero con le triremi vittoriose e che, appunto su queste spiagge flagellate dai 20 di maestrale, lasciarono l’impronta indelebile della loro potenza.
Ma ritorniamo al piccolo casale perché la storia, frammista di leggenda, che ci accingiamo a narrare, fa i suoi passi proprio da quelle casupole disperatamente aggrappate allo sperone della montagna.
Era notte inoltrata quando alcuni viaggiatori bussarono e più di una volta alla porta dell’unico fondaco, per chiedere ospitalità, per loro e per le loro bestie cariche e stanche.
Il fondaco era già pieno, ma l’oste siculianese davanti alla stanchezza dei nuovi arrivati, si fece in quattro per sistemare alla meno peggio gli ospiti notturni.
Data la situazione, che si accontentassero. Del resto: “ chi tardi arriva male alloggia”.
Era notte alta e le bestie sonnecchiavano, solo nel silenzio si sentiva il frangere della biada giù nella stalla.
Ma ad un tratto il silenzio veniva rotto da una voce che gridava a perdifiato.
La voce diceva: “al miracolo!”
Che cosa era successo? In un attimo tutti sono in piedi e corrono verso la stalla perché di là continuava a risuonare la voce: miracolo, miracolo!
I primi ad entrare, oste compreso con il lucignolo in mano, restarono stupefatti: un mendicante cieco che si era coricato sopra una cassa che avevano scaricata dai muli gli ultimi arrivati, ha gli occhi spalancati e guarda con stupore tutto quello che gli sta intorno.
Il cieco vede: il miracolo di Gerico si è rinnovato.
Ma com’è guarito il mendicante ? Quale magia si nasconde nella cassa che notturni viaggiatori hanno deposto nel fumoso fondaco del casale di Siculiana?
Uno della notturna comitiva chiarisce: “siamo del paese di Burgio, nella cassa non si nascondono magie, c’è solo un crocifisso che noi portiamo nel nostro paese dopo averlo prelevato da un porto di mare, perché il simulacro qui rinchiuso viene dall’oriente”.
La voce si sparge, nel cuore della notte, come un fulmine, per le viuzze strette e tortuose dell’abitato.
Quando spunta l’alba attorno al fondaco c’è gente in fermento e corrono parole grosse tra i siculianesi e i burgitani: il crocifisso deve restare a Siculiana e non deve proseguire; si è operato miracolo qui, dicono i siculianesi, e chiaro come la luce del sole che sta per sorgere, che qui desidera rimanere.
I bugitani, di contro, portano avanti le loro buone ragioni, non ultima l’avere sborsato fior di scudi per l’acquisto della sacra immagine, scolpita sul legno di cipresso. Dalle parole si sta per passare alle mani quando il Capitano d’Arme, il Giudice ed il Curato si fanno innanzi per placare gli animi e nello stesso tempo per fare una proposta. Questa: si ponga la cassa che contiene simulacro sopra un carro dove verrà attaccata una dozzina di buoi, sei da una e sei dall’altra parte. Se sei buoi ritireranno il carro verso Siculiana, il crocifisso resterà, salvo il risarcimento delle spese, di proprietà dei Siculianesi; se invece sarà trainato dai rimanenti sei buoi in direzione di Burgio e allora niente da fare per i Siculiannesi e partita vinta per i burgitani.
Il maggio radioso, quella bella mattina, spandeva per l’aria l’odore dei grassi maggesi e delle “sulle” impennacchiate di rosso, quando ebbe inizio la grande prova su un terreno pianeggiante scelto dalle parti di comune accordo.
Finito di attaccare i buoi, il capitano d’arme dà il segnale per l’inizio della contesa. Si dà il via alle bestie che cercano con enorme sforzo di superarsi a vicenda. Sembra, ad un certo momento, che i buoi di parte burgitana stiano per avere partita vinta, con grandissimo scorno dei siculianesi, quando i buoi di parte locale, con uno sforzo che non ha nulla di terreno, non solo vincono la resistenza avversaria, ma ad un certo punto, oltre il carro tirano anche le bestie avversarie, per un lunghissimo tratto di strada.
I patti son patti ed i burgitani, dopo aver minacciato fulmini e vendette sul piccolo casale, ripigliano la strada del ritorno senza il loro Crocefisso.
Seduta stante i siculianesi schiodano la cassa, e organizzano una processione per accompagnare il simulacro miracoloso nella chiesa del castello non solo più idonea a riceverlo ma più sicura per le minacciate incursioni burgitane.
Dopo tanti tanti anni di costose liti e di controverse e discusse sentenze le cose si acquietarono e il crocifisso rimase proprietà assoluta dei siculianesi, i quali, per ringraziare l’altissimo per l’onore ricevuto, decretarono di dedicare al miracoloso simulacro tre giorni di festa, e cioè il primo, il due ed il tre maggio di ogni anno.
Da circa cento anni la miracolosa statua, lasciata la piccola e fuorimano chiesetta del castello, si trova nell’attuale Matrice elevata, da qualche decennio, a santuario.
Innumerevoli sono i miracoli operati dal Taumaturgo di Siculiana, la cui immagine nell’agrigentino viene venerata in moltissimi centri dell’Isola e nelle lontane Americhe, nei luoghi dove l’emigrazione siculianese ha trovato di che vivere e prosperare.
E tutti gli anni grosse somme di denaro, attaccate a lunghi ceri, vengono offerte alla sacra immagine che, con le braccia spalancate e la bocca atteggiata ad un paterno sorriso, sembra voglia stringere il suo popolo in un abbraccio senza confini.
L’ultimo giorno della festa è dedicato alla processione che rappresenta la caratteristica di questa festa: e spesso, però, la tradizione ed il folklore locale superano l’ortodossia della liturgia. Ma la gente del luogo, animata dalla fede al suo Crocefisso, segue le secolari tradizioni dei padri.
La fede è fede anche se essa, in buona fede, rasenta qualche volta l’idolatria.
Dopo i primi giorni di festa, il paese presenta il tipico aspetto dei centri di questa zona: si ritorna al lavoro dei campi ed alla pesca con più lena e con le più rosee speranze nel cuore: il Santissimo Crocefisso di Siculiana, con le braccia aperte per un paterno sorriso sulle sue labbra violacee, ha già benedetto i campi di mare.
Che le spighe riempiano i granai, che grappoli maturi colmino le botti, che le reti, dopo una notte di lavoro insonne, vengano tirate su colme di argento guizzante.
Così sia per la gente della mia terra.
Giovanni Nicosia
Giornale di Sicilia, 10 dicembre 1955