Esplora la storia di Agrigento, antica città siciliana ricca di templi dorici e monumenti storici. Scopri i segreti di Giunone Lucina, Ercole e Giove Olimpio
[Girgenti o Agrigento]Di lì giungemmo a Girgenti, dove fummo ricevuti in modo molto ospitale dai francescani. Questa città si erge molto in alto sul declivio di una collina, dove si trovava la cittadella dell’antica Agrigentum. Ha una vista meravigliosa in direzione nord-ovest sul terreno ove sorgeva quella famosa città, oggi ricco di alberi e di ulivi, alternati a rovine, che qui sono più numerose e meglio conservate che in qualsiasi altra parte della Sicilia.
L’Incredibile Architettura dei Templi: Un’analisi dettagliata dei templi più importanti, come il Tempio della Concordia e il Tempio di Zeus.
Ci sono resti di circa quattordici templi, tutti di ordine Dorico Arcaico, con un gran numero di grotte sepolcrali e magazzini per il grano scavati nella roccia. Il primo, da Est, è il tempio di Giunone Lucina, del quale restano: il basamento, una piccola parte della cella e circa metà del portico. Le colonne misurano circa 4 piedi e 3 pollici di diametro alla base e 3 piedi e 15 pollici al top, assottigliandosi progressivamente come quelle di Selinunte. La trabeazione sembra più o meno simile, come in altri templi di ordine dorico arcaico, ma questa è stata mutilata a tal punto che non ho potuto misurarla con esattezza. Essendo la pietra agrigentina una pietrificazione soffice e sabbiosa, molto soggetta alla decomposizione, in questi edifici le parti più minute sono a malapena distinguibili. L’aspetto attuale del tempio di Giunone è quanto di più pittoresco si possa immaginare. Esso è situato su di una piccola collina ricoperta di alberi, tra i quali giacciono le colonne spezzate cadute al suolo, fatte di un materiale talmente grezzo da non essere state considerate buone da portare via.
Accanto al tempio di Giunone c’è quello della Concordia, delle stesse dimensioni e posizione e diverso dal primo soltanto in alcuni ornamenti insignificanti. Parte della sua cella è stata convertita in chiesa, si sono conservate tutte le colonne con la maggior parte della trabeazione, anche se molto corrose dal tempo c dalle vicissitudini climatiche.
Il tempio di Ercole, che si erge dietro, é molto più grande dei due precedenti, ma la forma e le proporzioni sono quasi le stesse. C’è soltanto una colonna rimasta in piedi, le altre giacciono tutte lì dove sono cadute. Il loro diametro era di circa sei piedi e sci pollici e l’altezza circa cinque diametri. La trabeazione era troppo rovinata per essere distinguibile. In questo tempio c’era la famosa statua di Ercole, che Vene cercò di portar via. ma fu impedito dallo spirito e dall’iniziativa degli Agrigentini.
Un po’ oltre, c’era il famoso tempio di Giove Olimpio, descritto da Diodoro Siculo. Là ora restano soltanto pochi frammenti, sufficienti però a mostrare le sue enormi dimensioni per le quali superava persino quelle di Selinunte sebbene (il tempio) sia molto inferiore ad esso per bellezza del disegno c magnificenza d’esecuzione. Questo aveva otto semicolonne anteriori c diciassette lungo ogni lato. Queste misuravano 10 piedi e 2 pollici di diametro nella parte superiore. Non sono riuscito a scoprire quale fosse la loro dimensione alla base, poiché i piloni erano costruiti con pietre piccole, come quelle del portico frontale di San Pietro a Roma e ora sono completamente sgretolate in polvere. Le dimensioni del tempio date da Diodoro sono 360 piedi di lunghezza. 120 di altezza c 60 di larghezza. Nelle prime due. pare che egli sia stato abbastanza preciso, nu nella larghezza ha sbagliato esattamente di 100 piedi, come si può riscontrare facilmente dalle fondamenta.
Sul frontone del portico ad oriente era scolpita la battaglia dei giganti e su quello ad occidente la presa di Troia, ambedue opere della più fine scultura che una tra le più ricche c grandiose città della Grecia possa produrre in un tempo nel quale le arti erano al massimo grado di perfezione. Come molte delle grandi opere dei greci, questo tempio non fu mai completato. Il loro genio ardito mirava sempre al sublime, ma pochi di essi avevano la capacità di tradurre in pratica i loro ampi progetti. Inoltre i greci erano divisi in tanti piccoli stati ed erano mossi a queste grandi imprese da gelosia c spirito di emulazione reciproci. Il che sarebbe andato anche bene, se essi non avessero tentato di dimostrare la superiorità di uno sull’altro nel modo più distruttivo, né si fossero impegnati in guerre che obbligavano i vinti a cercare aiuto da nazioni straniere; le quali, in breve, ridussero amici e nemici in un uguale stato di soggezione. Una gran parte del tempio di Giove Olimpio restò in piedi fino all’anno 1494, quando crollò improvvisamente e senza alcun motivo evidente.
Del tempio di Vulcano restano due colonne mutilate, con le loro basi. Pare che esse siano state uguali a quelle del tempio di Giunone Lucina e della Concordia. Ci sono anche due mezze colonne e parte delle mura del tempio di Esculapio. dove c’era la famosa statua di Apollo citata da Cicerone. Degli altri templi, a parte le fondamenta, c’è ben poco.
Ho chiamato questi edifici con i nomi con cui sono conosciuti oggi, sebbene, eccetto quelli di Giove Olimpio. Vulcano ed Esculapio. i nomi degli altri provengono da fonti assai dubbie.
Tra l’antica città c il fiume Hjpsos c’è un piccolo edificio piramidale che si dice sia la tomba di Terone. Si erge su di un piedistallo e ha una colonna ionica scanalata sporgente da ogni lato, ma la trabeazione è dorica. Non è chiaro se questo edificio appartenga al periodo anteriore al massimo splendore o a quello posteriore al declino dell’architettura in Sicilia, lo sono incline a credere alla seconda ipotesi, poiché esso è troppo armonioso e rifinito per appartenere all’età di Terone.
Ci sono alcuni altri resti di età romana, in particolare, un ricco frammento di un cornicione corinzio in marmo bianco che forma una cavità ed è usato come cisterna. Esso sembra essere stato parte di un edificio circolare di gran magnificenza.
Si possono ancora individuare le mura della città in un perimetro di circa 10 miglia. In alcuni tratti esse sono ricavate dalla roccia e sono piene di nicchie per le ceneri dei morti. Non avevo mai visto un tale metodo di sepoltura in nessun altro luogo e non posso immaginare per quale ragione gli agrigentini lo facessero, escludendo che essi lo vedessero come un tributo d’onore per chi morì per la patria o la credenza di propiziarsi i Mani nella difesa delle mura, introducendo in esse le ceneri dei defunti. Le cloache comuni sono ancora visibili in molti punti e sembrano essere state fatte con gran lavoro e disponibilità di mezzi, essendo queste scavate nella dura roccia e grandi abbastanza da permettere a un uomo di passarci dentro. Il suolo tra la città antica e quella moderna è tutto cosparso di buche quadrate scavate nella roccia e coperte da pietre piatte, probabilmente sono le tombe degli schiavi o dei cittadini più indigenti.
Un tempo. Agrigento fu la più grande città della Sicilia dopo Siracusa e si dice abbia avuto 200.000 abitanti. Basandosi sull’estensione delle mura, tale cifra risulta certamente troppo bassa e probabilmente esclude gli schiavi, che nelle antiche repubbliche erano almeno il doppio degli uomini liberi. Gli Agrigentini erano noti per il lusso, l’eleganza, la magnificenza e 1′ ospitalità, tanto che Empedocle era solito dire che essi mangiavano e bevevano come se dovessero morire l’indomani e costruivano come se dovessero vivere per sempre.
Questo lusso e questa raffinatezza però si dimostrarono la causa della loro distruzione, poiché circa 400 anni prima dell’era cristiana. Agrigento fu assediata e conquistata da Amilcare, il cartaginese, che la depredò di tutti i suoi superbi ornamenti e li portò a Cartagine. Successivamente la città riguadagnò la sua libertà, ma mai di nuovo il suo antico splendore. Durante la seconda Guerra Punica fu occupata dai romani e soffri molto per aver sostenuto i cartaginesi. Dopo la distruzione di Cartagine. Scipione le restituì tutti i suoi antichi ornamenti, che Amilcare aveva portato via. Tra di essi c’era il famoso toro di ottone fatto da Perdio e donato al tiranno Falaride. La condotta di Scipione in questa occasione fu molto saggia, in quanto mostrò nello stesso tempo ai Siciliani un esempio eccezionale della crudeltà dei loro principi, dell’abilità dei cartaginesi e della moderazione dei romani. Però, questa moderazione non durò a lungo. Poco dopo la distruzione di Cartagine, quando i romani non avevano più alcun rivale da temere, l’intero territorio di Agrigento venne saccheggiato dai loro consoli e pretori.
POI DI LÀ DOLABELLA E ANTONIO E IL SACRILEGO
VERRE COMINCIARONO A RAPINARE SULLE LORO NAVI
DALLE STIVE PROFONDE LE SPOGLIE FURTIVE. BOTTINI
DI NUMEROSI TRIONFI PUR IN TEMPO DI PACE. ORA Al
NOSTRI ALLEATI, ARRAFFATO LORO IL CAMPIELLO, SI
RUBERÀ AL PIÙ QUALCHE PARI DI BUOI. UNA PICCOLA
MANDRIA DI CAVALLE, IL MONTONE DAL GREGGE. E
MAGARI. GLI STESSI LARI DOMESTICI. O QUALCHE
STATUETTA CURIOSA. O QUALCHE DIVINITÀ RIMASTA
SOLA NELLACAPPELLETTA . (Giovenale, Satire VIII, 105-11
Questa fu la descrizione di un poeta che dice troppo spesso il vero.
Diodoro descrive Agrigento come una città in decadenza ai suoi tempi. Probabilmente, essa continuò a decadere fino al tempo della regina Costanza, quando fattuale città di Girgenti rinacque dalla sue rovine. Oggi essa conta circa 12000 abitanti che mantengono un considerevole commercio di grano. Le case sono povere e mal costruite e la maggior parte della ricchezza del paese appartiene alla Chiesa. Il solo arcivescovo ha un reddito di circa 20.000 sterline annue, che è un costante drenaggio di risorse per il territorio, poiché egli non vi risiede mai. Il suo palazzo è grande ma di gusto pessimo. Egli ha una sontuosa biblioteca che ospita un gran numero di testi su antichità c divinità, ma poco altro. C’è anche una vetrina di medaglie, tra le quali quelle siciliane e puniche sono piuttosto buone.
Nella cattedrale c’è un grande sarcofago di marmo, oggi usato come tonte battesimale. Esso è impreziosito con altorilievi su ogni lato, i quali hanno dato luogo a molte discussioni tra i colti e sfaccendati girgentini. Alcuni di essi affermano die questo fu il sepolcro di Falaride Primo, altri di Finzia. l’ultimo tiranno di Agrigento. Le due opzioni hanno dato vita a corposi trattati supportati da argomenti parimenti futili e sottili. La forma e le dimensioni di esso ricordano il sarcofago di Giulia Mammea e Alessandro Severo a Roma. La scultura è più o meno dello stesso stile, forse non così bella, ma i Girgentini. che non hanno mai visto nulla di meglio, la considerano un prodigio dell’arte e hanno convinto della loro opinione alcuni viaggiatori, che giudicano più con le orecchie che con gli occhi. Il sarcofago sembra essere romano e probabilmente conteneva le ceneri di un qualche console o pretore al tempo degli imperatori. Le sculture sembrano rappresentare alcuni eventi particolari, oggi sconosciuti, della sua vita e della sua famiglia, eventi che l’amore naturale per il mistero c la raffinatezza ha ricostruito in forma di improbabili significati allegorici e mitologici.
Trovammo gli abitanti di Girgenti estremamente civili e desiderosi di aiutare. In quanto ad ospitalità e cortesia verso gli stranieri, essi si considerano molto al di sopra della tanta dei loro antenati, che si sforzano di imitare per quanto le diverse situazioni lo permettano; ma per quanto affabile e lodevole possa essere la loro intenzione, essa infastidisce più che aiutare uno straniero, dato che attenzione e cortesia diventano tediose e impertinenti quando chi le dimostra non ha né l’arguzia per divertire, né la conoscenza per insegnare. Questo vale per i girgentini come per il resto dei siciliani. La loro naturale vivacità di temperamento li rende indaffarati e curiosi, ma per mancanza d’istruzione essi diventano rozzi e impertinenti. Dispiace di dover rifiutare cortesie che vengono offerte con l’intenzione di far piacere e tuttavia non si può sprecare tutto il proprio tempo per rispondere a domande stravaganti e ascoltare osservazioni insignificanti.
Il territorio di Agrigento e fertile per grano e ulivi, ma tutto l’olio siciliano è di pessima qualità per mancanza di abilità nella produzione. Si allevano anche cavalli eccellenti, per i quali la città era anticamente famosa.
DI LÌ L’ALTRA AGRIGENTO, UN TEMPO NUTRICE DI
NOBILI CAVALLI, RIVELA ALL’ORIZZONTE LE SUE MURA
PODEROSE”.
dal viaggio di Richard Payne Knight in Sicilia (1751 – 1824), archeologo e numismatico inglese.
titolo del testo Expedition into Sicily. Venne ad Agrigento il 10 maggio 1777
Fonte: Richard Payne Knight: Some Unpublished Correspondence
R. W. Liscombe The Art Bulletin, Vol. 61, No. 4 (Dec., 1979)
Storia di Agrigento,
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Templi di Agrigento,
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