
Ancora oggi molta gente del popolino si rivolge con fede a San Gerlando per scongiurare venti e tempeste.
“San Giullannu senza dannu”, dicono quando fulmini e tuoni turbano la pace degli agrigentini.
Anche la scelta del luogo su cui sarebbe sorta la cattedrale è affidata ad un episodio leggendario: per ricambiare con un atto di cortesia la visita che il cugino conte Ruggero aveva fatto a lui già Vescovo nella sede di S. Maria dei Greci, Gerlando lo accompagnò con il suo seguito fino al vicino castello dove il cugino dimorava. Qui, colpito dallo spettacolo della natura che sollecitava lo sguardo fino ad orizzonti alquanto lontani, si dice abbia esclamato: « Qui deve innalzarsi la chiesa di Maria! La porta del cielo! Tutti la vedranno, tutti udranno il suono delle sue campane, voce di Dio! ».
A questi racconti popolari se ne aggiungono altri, di cui si ha notizia in un’opera manoscritta del XVI sec. di G. Sicomo e Morelli. In essa si parla di una ragazza cieca, figlia di giudea, e di una giovane ebrea indemoniata, entrambe guarite per intercessione del Santo; si narra anche della guarigione di un familiare di Federico Chiaramonte, ferito gravemente cadendo da un’alta rupe, durante una battuta di caccia e guarito per avere invocato S. Gerlando.
Alcuni racconti, poi, si arricchiscono di particolari avvincenti, come nel caso di una donna maltese, che — dopo avere ucciso il fratello addossando ad altri la colpa — fu invasata dal demonio e non se ne liberò, se non dopo essere venuta in Agrigento a pregare S. Gerlando. Si narra ancora che un uomo nobile di Agrigento, caduto in povertà per colpa dei figli che ne avevano dilapidato i beni, aveva raggiunto un compromesso con Lucifero: gli avrebbe ceduto la sua anima in cambio di nuove ricchezze. Sul punto di firmare il contratto, fu liberato da S. Gerlando, che — per volontà di Dio — mentre pregava in visione aveva visto ciò che stava accadendo.
Straordinario anche il contenuto di un racconto, in cui S. Gerlando risuscita il figlio di una giudea, ucciso da uno degli attentatori di un tale Federico della famiglia di Montaperto, rimasto gravemente ferito e rifugiatosi in casa della donna.
Fin qui i racconti e le leggende più rappresentative, che danno del Patrono di Agrigento un’immagine per alcuni aspetti confermata nell’iconografia gerlandiana.
In alcune tavolette votive conservate nell’Archivio Capitolare, infatti, il Santo, oltre ad essere rappresentato nei tradizionali abiti pontificali, viene raffigurato coi tocchi di un’arte primitiva nell’atto di compiere miracoli e — come dice De Gregorio — « mentre allontanava i venti e le tempeste e calmava il mare ».
Nei paliotti in argento sbalzato dell’altare maggiore della cattedrale ed in quello dell’Urna, invece, S. Gerlando viene rappresentato nell’atteggiamento del predicatore, così come in due incisioni di rame dell’Ottocento, opera del Politi, ed ancora in un affresco della Cappella del seminario vescovile del pittore Galizzi.
Ma, nell’iconografia gerlandiana, certamente aperta ad un ulteriore aggiornamento,
non potevano mancare singole oleografie come quella conservata al palazzo vescovile o l’altra fatta eseguire per la cattedrale di Acireale da mons. Gerlando Genuardi e l’altra ancora realizzata nel 1980 in Agrigento dalla scuola del prof. Prado nonché quella di Vincenzo Dongiovanni collocata nella cattedrale di Agrigento tra meravigliosi stucchi di arte barocca.
Di grande interesse un dipinto del XVII sec., ordinato sotto l’episcopato di Vincenzo Bonincontro e di cui resta una riproduzione nel palazzo vescovile: qui, però, S. Gerlando viene riproposto in mezzo agli altri Santi Vescovi agrigentini.
Nell’ambito della raffigurazione del Santo Patrono di Agrigento non mancano neppure le immagini di S. Gerlando tra le anime del Purgatorio, come per le formelle lignee del pulpito della chiesa S. Lorenzo di Agrigento, o nella gloria del Paradiso come lo ha pensato per la cattedrale del capoluogo Michele Blasco da Sciacca, che nella seconda metà del XVII sec. lo ha dipinto in ginocchio, col piviale, davanti alla SS. Trinità e la Madonna.
Il più antico ritratto di S. Gerlando, tuttavia, è quello in mosaico del duomo di Morreale (XII sec.); in Agrigento, invece, la più antica opera d’arte risale alla fine del 400. primissimi del 500: si tratta di una statua lignea, oggi conservata presso il Museo Regionale della Città dei Templi. Un’altra statua di legno, di epoca successiva ugualmente vicina al ritratto del Santo accreditato dalla tradizione, è quella che si onora nella omonima cappella della cattedrale. Qui, di particolare interesse si rivelano anche l’immagine gerlandiana dipinta nel soffitto ligneo intorno alla metà del 500, sotto l’episcopato del card. Cybo, ed il mezzobusto-reliquiario in argento, esposto solamente in particolari occasioni. Un discorso a parte meritano l’urna argentea, più volte saccheggiata dai ladri, ed il cosiddetto « altarolo » o altarino portatile, di cui pare si sia servito S. Gerlando e che — a dire del De Gregorio — « è uno degli oggetti più preziosi del tesoro della cattedrale di Agrigento. ».
Alfredo Scaglia