Pochi anni della storia d´Italia moderna sono stati, come il biennio 1918-20, anni di profonda e generale crisi della società e dello Stato e di fermento rivoluzionario. Gli storici hanno chiamato questo periodo “biennio rosso”, per l´ansia rivoluzionaria da cui fu pervaso e per il ruolo preminente avuto dai movimenti socialisti e per il fascino che in quei mesi sembrò avere sul proletariato italiano la recente rivoluzione russa del 1917. Appena conclusa la prima guerra mondiale, si era riaccesa tra gli italiani l´attesa di grandi cambiamenti. Ma fu subito evidente che profondamente mutate erano le condizioni delle province italiane all´indomani della grande guerra. Alle disillusioni causate dalla vittoria “mutilata”, si aggiunse il duro impatto con una grave crisi economica. Il deficit statale fece registrare una grave impennata.
L´Italia conobbe in misura mai vista prima il fenomeno dell´inflazione. Con la fine del conflitto e la conclusione della politica di controllo sui cambi stabilita nel luglio del 1918 dai governi Alleati, la lira registrò un crollo sui mercati valutari. Se nel giugno del 1914 per comprare un dollaro bastavano cinque lire e 18 centesimi, alla fine del 1920 ne occorreranno 28 lire e cinquanta¬sette centesimi ( sei volte di più). Risentirono soprattutto della crisi economica le categorie a reddito fisso. Il va¬lore reale dei salari scese di circa il 40% dal 1914 al 1917. La bilancia commerciale registrava nel 1919 un forte deficit di 10 miliardi e mezzo di lire, dovuto in gran parte all´importazione di svariati prodotti dall´estero. L´Italia ha bisogno di importare dall´estero non solo carbone e petrolio, ma persino grano. Ma spesso questi beni non arrivavano nei piccoli centri della provincia di Agrigento (che allora si chiamava Girgenti) a sufficienza.
A Grotte venne imposto dal Comune con delibera del 4 febbraio 1919 il razionamento di alcuni generi alimentari e del petrolio. La frustrazione tra le famiglie crebbe anche perché spesso mancavano i generi di prima necessità. A Canicatti il farmacista Diego Cigna scriveva sul giornale locale “La Valanga” il 27 luglio 1919: “Non c´è più olio, non c´è formaggio, non c´è carne, non c´è frutta, non c´è vino, non c´è nulla. Quando ne usciremo da questa tremenda situazione?”.
Una situazione che andava aggravandosi a partire dalla primavera del 1919 quando i prezzi ebbero un´impennata straordinaria. ” I generi alimentari crescono ogni giorno di prezzo e non vi sono fonti oneste che bastino a sopperire ai bisogni urgenti”, sottolinea un cronista sul giornale agrigentine “Il Reduce” (cfr. Scioperi su scioperi, Il Reduce, 15 giugno 1919). Un altro periodico, Il Corriere, riporta spesso i nuovi rincari: la carne nella nostra provincia agrigentina era salita da lire 2,25 al Kg nel 1915 a lire 6,50 nel 1918; la pasta da lire 0,60 al kg a lire 0,70. Il bollettino della Camera di commercio e industria della provincia di Siracusa segnale che dal 1918 al 1920 il prezzo del grano duro era passato da lire 59 per quintale a lire 100; quello dei fagioli da lire 70 a lire 200; quello della fave da lire 65 a lire 90. Complessivamente in Italia l´indice del livello generale dei prezzi, considerando che fosse 100 nel 1913, passò a 409 nel 1918 e a 591 nel 1920.
A partire dalla metà del 1919 si moltiplicano i tumulti popolari contro il caro vita e l´occupazione delle terre incolte dei grandi latifondisti, da parte di quei contadini ai quali era stata promessa un´ampia riforma agraria come ricompensa per i sacrifici sopportati durante il conflitto. Si trattò di un´agitazione “tumultuosa, anarcoide, priva di direzione, di vedute d´insieme, di chiari e precisi obiettivi. Ogni città fece per proprio conto. I negozi furono assaltati, saccheggiati i forni, s´imposero calmieri del 50% sui generi più vari di consumo. Molte merci furono distrutte”(Pietro Nenni).
Queste manifestazioni spesso spontanee si intrecciano con gli scioperi organizzati che coinvolgono pra¬ticamente tutte le categorie sociali.
Nel corso del 1918 si registrarono 303 scioperi con 158.036 scioperanti e 906.471 giornate di sciopero; ma già nel 1919 gli scioperi sono 1.663, gli scioperanti 1.049.438 e le giornate di sciopero 906.471; nel 1920 gli scioperi furono 1.881, gli scioperanti 1.267.953, le giornate di sciopero 16.398.227. A capo di tali moti di protesta vi erano non solo leader socialisti, ma anche le organizzazioni sindacali cattoliche. A Girgenti in prima fila troviamo anche i soldati tornati dal fronte che si raccoglievano in tutti i centri della provincia in una associazione che diffondeva un settimanale (Il Reduce) e partecipava alla vita politica locale. In un incontro al Circolo Feace a Girgenti i presidenti di tutte le associazioni operaie della città chiesero l´istituzione di un calmiere, la requisizione di generi di largo consumo e provvedimenti legislativi “per condurre al costo di produzione il valore delle merci, concedendo guadagni leciti ai produttori e ai rivenditori” (Cfr. ll Reduce, Girgenti, 3 agosto 1919).
Queste dinamiche associazioni locali ed i sindacati organizzati un po´ ovunque ottennero qualche successo, anche di iscritti e strapparono qualche miglioramento salariale, ma nonostante ciò non mutò di molto la condizione della gran parte delle famiglie italiane. Il governo impose allora anche un calmiere, per ridurre il rincaro dei prezzi, ma ciò non arrestò la curva ascendente del costo della vita.
Ma vediamo adesso gli episodi più eclatanti registratisi nella provincia di Girgenti e che possiamo ben conoscere perché nell´archivio di Stato di Agrigento si conservano ancora i relativi atti processuali.
Il 7 e 8 luglio a Girgenti, pochi giorni dopo la festa di San Calogero, si svolsero manifestazioni popolari contro il caro vita durante le quali “i proprietari di negozi ed esercizi furono costretti ad apporre sulle rispettive porte d´ingresso il cartellone nunziante un ribasso del 50% sui prezzi correnti. Dette manifestazioni furono intorbidite da cittadini pregiudicati e da monelli che si diedero ad atti vandalici, danneggiando negozi e commettendo furti nei negozi scassinati “. (Archivio di Stato di Agrigento, sentenza n.597 dell´11 agosto 1919, inv. 9 fascicolo 53). Una dozzina andarono alla sbarra e furono condannati a pene diverse, che variano da un anno e mezzo a sei mesi di reclusione.
Nel piccolo centro di Sant´Elisabetta, “il 12 luglio 1920 si svolgeva nella piazza san Carlo una dimostrazione popolare per protestare contro il deficiente invio di grano e sfarinati dal Consorzio granario di Girgenti “. Avvennero gravi disordini durante I quali ” furono spezzati il filo telefonico interprovinciale e un palo che lo sosteneva e danneggiati l´orologio e i fanali del Comune”, (sen-tenza n. 145 del 19 marzo 1921). Vennero rinviati a giudizio 9 dimostranti, ma solo uno venne condannato e ad una pena lieve (16 giorni di reclusione).
A Racalmuto la sera del 7 agosto 1920 appena si sparse la notizia che nella vicina cittadina di Grotte la gente stava assaltando i negozi per protestare contro il caro vita e contro la riduzione dei salari degli zolfatari, un corteo si avviò lungo il corso principale e puntò verso la sede del circolo dei civili, l´Unione. I manifestanti lanciarono sedie contro la porta del circolo. Una di queste colpì il vice commissario di Pubblica Sicurezza Filippo Cordova, accorso coraggiosamente, da solo, per placare gli animi (sarà dichiarato guaribile in otto giorni). “Non riuscendo ad entrare nel circolo dell´Unione, alcuni scalmanati cominciarono ad incitare la folla contro il Sindaco, la forza pubblica e persone agiate, dicendo di queste che avevano i magazzini pieni di grano”. Ma ecco finalmente giungere la forza pubblica che riuscì a far ritornare l´ordine in paese. Vennero denunziate cinque persone per rispondere di violenza privata contro i soci del circolo Unione. ( sentenze penali del tribunale di Girgenti inv.9 fascicolo n.55, sentenza n. 405 del 29 settembre 1921 ).Tutti dichiararono di essere assolutamente innocenti e di non aver preso parte alla violenta dimostrazione. Ma le prove di molti testimoni (soprattutto gli agenti di pubblica sicurezza intervenuti) inchiodarono i cinque denunziati alle loro responsabilità. Furono condannati a pene diverse (ma a non meno di tre mesi di reclusione), a pesanti multe e al pagamento delle spese processuali.
Pochi giorni dopo, la sera del 20 agosto, ” due autocarri del consorzio granario carichi di farina diretti a Sciacca passavano per lo stradale adiacente all´abitato di Siculiana. Alla vista dei sacchi di farina molte persone improvvisamente si riversarono sulla strada rotabile- ci dice la sentenza del tribunale penale di Girgenti, n. 444 del 30 dicembre 1920 – ostruendone il passaggio e gridando: “Fermi, fermi, anche noi dobbiamo mangiare!”. Per maggiormente intimorire i guidatori furono lanciati alcuni sassi “. A quel punto interviene la forza pubblica, ma per evitare il peggio e in considerazione del fatto che la folla andava sempre più aumentando, il com-missario prefettizio presente in quella occasione decise di distribuire agli abitanti di Siculiana la farina che era sui carri. Tuttavia i carabinieri denunciarono sei siculianesi che avevano assunto un atteggiamento più minaccioso e questi vennero condannati a pochi mesi di reclusione e ad un multa di 120 lire.
Un episodio simile era avvenuto pochi mesi prima a Cattolica Eraclea. Il 2 marzo del 1920 stavano partendo dal mulino Rondelli per raggiungere Siculiana sei carri di farina. In poche ore un migliaio di Cattolicesi, in gran parte donne, scesero in strada e diedero l´assalto ai carri, sottraendo almeno 30 quintali di farina. Venti i condannati, otto dei quali donne, (sentenza del tribunale penale di Girgenti n. 272 del 22 luglio 1920).
Vogliamo ricordare infine la dimostrazione del 5 luglio 1921 a Favara. Essa avvenne a seguito di un recente aumento del prezzo del pane e vide protagonisti soprattutto gli zolfatari del paese . “Una folla di operai percorse le vie principali della città emettendo grida di protesta, imponendo la cessazione del lavoro e la chiusura del municipio e dell´officio postale. Alcuni dimostranti penetrati per una finestra del circolo detto dei civili ne ruppero vari arredi, guastarono il pianoforte ed il bigliardo. Non fu pure risparmiato il circolo dei sensali, di cui fu divelta la porta e data alle fiamme, unitamente a qualche tavolo e ad alcune sedie, in presenza di pochi carabinieri, che impotenti a reprimere i disordini si limitarono a raccomandare la calma e per lo meno la moderazione. Alcuni negozi, poi, e il magazzino comunale degli approvvigionamenti furono bersaglio di una fitta sassaiola e si cercò di abbattere le porte con grosse pietre e con pezzi di ferro”.( Tribunale penale di Girgenti inv. 9 fase.55, sentenza n. 541 del 24 ottobre 1921). In ventuno vennero processati e quasi tutti condannati, ma solo da uno a tre mesi di reclusione.
Elio Di Bella