
Parlare di REALMONTE è parlare del « mio » migliore paese della fanciullezza; del paese delle mie vacanze estive; del luogo dei miei padri che lo hanno scoperto ed amato con passione e privilegio.
Quando dalla mia « casino » tra la Stazione ferroviaria ed il Casello, mi recavo al paesello per qualche commissione …avevo l’impressione di attraversare valli e monti per quella salita erta di trecento metri che si inerpicava dritta, dritta fino alla piazza grande …Il paese, allora era allegro e pieno d’incantesimo ai miei occhi stupiti… quattro case, con altrettante vie che la solcavano facendone un quadrato …erano tutto il paese ma vivo, vivace e chiassoso e l’aria era buona… e c’era il panorama da ammirare da Carricacina… in quel piano dove arrivavo. Era uno spettacolo pieno di meraviglie dove l’occhio si perdeva nella gamma verde della campagna ed il mare all’orizzonte …con a fianco la montagna di Monterossello dalle mille leggende. Oggi, in parte questo suggestivo panorama per volontà di uomini imprevidenti è cambiato …per via del cemento e per via di una fioritura di alberi d’alto fusto …e da lì, non si vede più la casa notaro e parte di quel panorama è impedito. Il posto dove mi trattenevo e che frequentavo sempre, venendo al paese, era la bottega di Don Vincenzu Arnone, di cui mi fa onore la memoria, calzolaio di grande intelligenza ed uomo di cuore, amico di fiducia di mio nonno, il notaio Alfonso Gaglio.
La fermata in quella bottega era d’obbligo non solo per lo scambio di messaggi e saluti ma perché la conversazione che vi si conduceva era dì tale piacevolezza ed interesse… che chi si accostava ne rimaneva deliziosamente coinvolto.
Seduto su quelle mezze sedie senza spalliera, come erano allora d’uso presso gli artigiani, davanti al suo dischetto lavorando di spago e di trincetto, Don Vincenzo A. teneva banco di conversazione-giornale sui piccoli avvenimenti del paese ma anche sui …grandi. Ascoltavo incuriosito quel dialetto siciliano forte, pieno di arguzie e mi perdevo… tanto pendevo dalle sue labbra. Era per me una figura emblematica …più del parroco Velia che essendo sacerdote buono ed aperto …era amico di mio nonno, ateo. Quella bottega era al centro del paese di fronte all’orologio comunale che segnava le ore e le mezz’ore con quel particolare suono di campana fessa. Sotto l’orologio teneva bottega di generi vari, certa « gintuzza » timorata che aveva uri nomignolo particolare, ma tutti al paese di Realmonte, allora avevano un nomignolo molto preciso che li distingueva… Accanto alla bottega, all’angolo con un’altra via c’era il barbiere-medico con la giara dove allevava le sanguisughe… Ricordo che allora non c’era l’acqua… e c’era il tracoma… ed il Dott. Sidoti, specchio di galantuomo e di medico valente, si prodigava di casa in casa… Si faceva « il carico » di acqua anche da noi alla casina… con le quartare da riempire alla stazione. Ciò era per l’acqua da bere, per riempire « bummuli e cocò » da tenere al fresco della sera.
Per l’altra acqua ci fornivano i mulattieri con 2 carichi di quattro barili ognuno. Era la vita di allora e c’era anche la fame.
Ricordo ancora le passeggiate e gli incontri sullo spiazzo della piazza grande con gli amici Di Salvo, Valenti, Augello …in lungo ed in largo …a parlare, a chiacchierare e a contestare… senza sapere dove andare. Ricordo i maestri più in vista del paese… Fanara, Romano, il direttore Tamburello persone di sapere e piene di comprensione… qualcuno di essi… mi avrà dato lezioni… ma io allora, rifiutavo. Parlare di Realmonte… è ancora parlare della mia innocente infanzia in cui credevo di vivere in paradiso andando in cerca di farfalle e grilli per farne dono d Cav. Francesco Valenti, segretario comunale di Siculiana che veniva a villeggiare nella sua casina sotto la nostra campagna.
Mio carissimo Dott. Giovanni, amico dell’dtra parte di me stesso, tu mi hai invitato a scrivere qualcosa …ma io non sono storico …sono un uomo che ha avuto la fortuna di essere vissuto e vivere a Realmonte anno dopo anno …e la ricordo come la propria terra, come una mia casa …su cui sta scritto un distico di mio nonno che non sì può dimenticare:
NON E’ IL MORIR MA IL PERDERTI CHE MI ADDOLORA TANTO
Sa di epitàffio amoroso non solo verso quel sito ma verso quel paese dove è morto mio padre.
di Alfonso Gaglio