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Raimondo Borsellino, il medico agrigentino che salvò Togliatti

19 Luglio 2017 //  by Elio Di Bella

la Repubblica.it > 2007 > 03 > 16 > il chirurgo che operava sui tavoli

Nell’ultimo romanzo di Andrea Camilleri, “Le pecore e il pastore”, uscito ieri, un posto determinante della storia è svolto dal chirurgo Raimondo Borsellino. Era mio zio quell’ uomo silenzioso e talentuoso, che fece dell’ understatement una regola e del salvare uomini una missione da compiere sempre e comunque. La sua vita rappresenta un pezzo di storia di una Sicilia che non c’ è più.

Per questo vale la pena ricordarne il profilo umano e professionale, che in parte Camilleri ha magistralmente tinteggiato nel romanzo. Raimondo Borsellino era nato a Cattolica Eraclea il 26 aprile del 1905. Allievo del professore e senatore Alessandri, clinico chirurgo dell’ Università di Roma, a soli 29 anni era primario dell’ ospedale di Sulmona.

Rientrò in Sicilia per desiderio del padre, grande medico anche lui, come primario di Sciacca ed Agrigento. Il chirurgo che operava ovunque, anche su un tavolo da cucina, con i ferri sterili che portava con sé, come è descritto da Camilleri nel suo libro, non è una invenzione letteraria, ma in realtà erano procedure che Borsellino usava per operare più persone in una provincia vasta e con ospedali assai poco ricettivi. Si trovano ancora ritagli di vecchi giornali che narrano di “175 atti operatori” compiuti dal chirurgo di Cattolica Eraclea in un sol giorno.

Casi di ogni tipo: piccole ernie, appendiciti, ascessi, drenaggi, affondamenti di ulcera, resezioni intestinali, tiroidectomie e altro ancora. Non so se i numeri di vecchie cronache siano attendibili, di certo io lo ricordo instancabile, mai tirarsi indietro davanti a un intervento da compiere. Dall’ alba a notte fonda. In occasione dell’ attentato a monsignor Peruzzo, vicenda che costituisce parte importante del libro di Camilleri, egli lo soccorse e lo operò anche al polmone, intervento per quei tempi (1945) non praticato in nessun ospedale siciliano.

La popolarità e la stima dell’ uomo nasceva dall’ assoluta disarmante semplicità dei comportamenti e dal fatto che i siciliani apprezzavano uno che «faceva», invece di parlare. Questa popolarità lo portò ad essere eletto, con un consenso inaspettato, alle elezioni per la Costituente nel 1946 e poi in seguito confermato alle successive elezioni al Parlamento per due volte (’51 e ’55) nelle fila della Democrazia cristiana. Fu anche sindaco del suo paese natale, Cattolica Eraclea, carica che ricoprì con equilibrio e probità in un momento di grande asprezza politica. Aveva senso dello stato e principi etici di cattolico praticante, ma non amava la vita parlamentare. A Roma preferiva andare al Policlinico per assistere a nuove operazioni e si recava alla Camera solo per votare.

E proprio in occasione di un suo ritorno a Montecitorio, si trovò nel pieno dell’ attentato a Palmiro Togliatti che, come medico, soccorse con prontezza. Consigliò quindi a Nilde Iotti e a Massimo Caprara che il paziente fosse immediatamente condotto al Policlinico dove aveva appena lasciato il professor Valdoni in sala operatoria. Ricordo la prima volta che andai a Roma, ospite suo: mi portò a colazione in un ristorante romano importante all’ epoca, “Il Fagiano”, e fummo invitati da alcuni ministri e uomini d’ affari.

Dopo la colazione andando verso l’ albergo Santa Chiara, lui, quasi a precisare l’ impressione che potevo avere avuto dell’ incontro, mi disse: «Vedi Benedetto, questa non è la politica, questi signori fanno solo affari». Chirurgo infaticabile ed essenziale, aveva risultati clinici straordinari per la grande manualità di cui era dotato: l’ assisteva ai ferri una suora silenziosa e bravissima, Suor Settimia, dell’ ospedale di Agrigento. Anche lei non conosceva la parola stanchezza. La notte del sabato l’ ospedale diventava quasi un ospedale di guerra perché dai paesi vicini, Favara, Campobello, Siculiana, Raffadali arrivavano tanti pazienti coinvolti in risse, facilitate dal vino, e una grande quantità di «spanzati», perché l’ uso di particolari coltelli da duello rusticano provocavano lesioni addominali gravissime.

Raimondo Borsellino, dotato di una grande onestà materiale ed intellettuale, oltre a profondere la sua arte chirurgica e a insegnare a giovani chirurghi, ha rappresentato come una sorta di collante sociale in un momento di conflitti esasperati. La presenza in ospedale e sul territorio di un medico che prestava la sua opera con grande generosità, era per la gente come una certezza che poteva riscattare dalle miserie quotidiane. Ha operato sino ad ottant’ anni. E’ morto a novantatré in una stanzetta della clinica Madonna delle Grazie ad Agrigento, così chiamata come l’ Ospedale di San Giovanni Rotondo che con grande generosità economica (era figlio spirituale e medico di Padre Pio) contribuì a costruire.

BENEDETTO MARINO

fonte

Categoria: Agrigento Racconta

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