
AGRIGENTO, — Il processo contro i ventitre amministratori agrigentini, chiamati a rispondere del « piccolo sacco » (chiamiamolo così in attesa che venga compiuta l’istruttoria del ben più vasto procedimento che si basa essenzialmente sulla relazione Martuscelli): stamattina il diapason, il punto più alto della parabola processuale è stato raggiunto, appunto, con la deposizione del dottor Martuscelli, chiamato subito dopo la deposizione dell’ex sindaco ed ex presidente della Provincia Lauretta, che su alcuni punti ha smentito il dottor Di Giovana.
All’ingresso in aula del dottor Martuscelli — « testimone di una città » come l’ha riferito :i presidente De Rinaldìs — l’atmosfera si è caricata di colpo e come una ondata ha percorso il gabbione degli imputati a piede libero, stamane particolarmente numerosi.
Si inizia quasi in sordina con una domanda convenzionale rivolta dal presidente: «Lei ricorda bene la sua opera? ».
Alla successiva domanda — che ha costituito praticamente il cardine di tutta l’udienza — l’idillio è cessato bruscamente. La domanda era questa: «Nel corso del processo si è accertato che il regolamento edilizio di Agrigento non prevedeva nessuna zona a verde pubblico. Nella relazione invece molti rilievi e molte inadempienze sono stati accertati come sulla base di transazioni a questo vincolo. Come mai? ».
Su questa domanda si è svolta tutta la successiva polemica tra difensori e testimone, polemica che ha raggiunto spesso toni molti acuti, tanto che, per evitare contestazioni interpretative, il presidente ha disposto che tanto gli avvocati quanto il testimone dettassero direttamente al cancelliere le domande e le relative risposte.
MARTUSCELLI: Il vincolodi verde pubblico noi lo ab-
biamo ricavato dalla planimetria scala 1:5000 di cui il comune ci fornì una copia vistata. La planimetria costituisce una norma possiamo dire, grafica, se aggiunta alle note scritte. Tali norme definiscono il contenuto di alcuni punti del documento urbanistico, ma non sempre: in particolare per le zone a verde pubblico è sufficiente l’elemento grafico. Secondo la mia lunga esperienza della materia, posso dire che gli strumenti urbanistici (piani “regolatori e programmi di fabbricazione) non contemplano in genere norme specifiche sul verde pubblico.
PRES. Il programma di fabbricazione costituisce criterio orientativo o vincolante?
MARTUSCELLI: Secondo l’indirizzo sempre seguito dal Ministero, vincolante. Faccio presente inoltre che la commissione, prima di dare inizio ai lavori, si trovò ad affrontare e risolvere alcuni criteri interpretativi da tenere a base dei lavori. In ciò la commissione, si avvalse della competenza e della dottrina del prof. Giuseppe Guarino, ordinario di diritto amministrativo all’Università di Roma e componente della commissione stessa.
A questo punto, la prima contestazione dell’avvocatessa Caruselli, dettata direttamente al cancelliere. Era accaduto che, nel corso dei preliminari esplicativi, chiamiamoli così, della risposta. Martuscelli aveva accennato allo indirizzo oscillante della giurisprudenza in materia.
La contestazione è questa: si chiede che sia verbalizzata l’affermazione del teste in ordine all’esame che la commissione fece sulle decisioni giuresprudenziali oscillanti del Consilio di Stato, adottando con il conforto del Dr. Guarino il criterio che si legge nella relazione. Si chiede anche che sia verbalizzata la “intestazione mossa dall’avv. Salvato, mirante a rilevare si dovere della commissione di informare il Parlamento cui la relaziono era diretta, di tali oscillazioni giurisprudenziali.
MARTUSCELLI: Io non escludo che ci fosse una giurisprudenza oscillante anche prima della frana, sull’efficacia vincolante di alcune norme che prevedono dei vincoli per determinate zone, come quelle a verde pubblico per esempio. In sintesi la vicenda del verde pubblico e della planimetria si nuò sintetizzare in questi termini: la commission» Martuscelli lavorò su una planimetria su scala 1:5000 fornitagli dal comune. Però tale planimetria non era tra quelle allegate originariamente al regolamento edilizio (erano su scala 1:2000 e 1:10 000) ma solo su una carta che era stata approvata dal consiglio comunale, ma non aveva ancora ultimato l’iter burocratico necessario che poteva renderla esecutiva.
Le planimetrie originali, per altro, non sono mai state trovate. Quindi secondo la difesa tutta la relazione Martuscelli sarebbe fondata su un documento non valido. Questo lo sfondo, per così dire, sul quale si sono mossi gli
Avvocati. Come ha risposto Martuscelli ?
« Noi — ha detto — avevamo avuto la copia della planimetria dal sindaco, e poiché su quella planimetria il comune si basava per concedere le licenze edilizie e in genere per tutta la sua attività urbanistica, la commissione non aveva alcun motivo di effettuare indagini sull’iter amministrativo da essa seguito.
Avv. SALVATO: Ma il regolamento edilizio vigente, fa riferimento esplicito alle planimetrie su scala 1:2000 e 1:10.000, e non a quella 1:5000 sulla quale ha lavorato la commissione.
MARTUSCELLI: Ripeto, la copia è l’unica fornitaci dal Comune; del resto la relazione è molto chiara e spiega i termini della questione.
Le due successive domande dell’avvocatessa Caruselli e dell’avv. Salvato non ven gono ammesse dal Presidente perchè « implicano considerazioni da parte del teste ». Le domande in sintesi miravano a sapere se il dottor Martuscelli si rendesse conto che quella planimetria non avendo compiuto lo iter amministrativo prescritto, non era altro che un pezzo di carta, senza alcun valore giuridico.
Avv. SALVATO: Avevate tenuto conto della giurisprudenza del Consiglio di Stato, che è ben ferma nello stabilire che il regolamento edilizio non può prevedere vincoli a verde pubblico? Faccio questa domanda perchè evidentemente il Consiglio comunale si è attenuto a questa giurisprudenza. In tal caso perché la commissione non lo ha fatto rilevare nella sua relazione ?
MARTUSCELLI : Viene detto più volte nella relazione che il consiglio comunale non può disattendere un atto sin quando non sopraggiunge revoca sancita dalla stessa autorità del Consiglio o da autorità superiore.
Tornando ai fatti più direttamente legati col processo, l’avvocatessa Caruselli chiede quale sia stata la prassi adottata dalla commissione nell’esame delle pratiche edilizie e in particolar modo quella adottata per la cooperativa Casa del Vigile.
MARTUSCELLI: In linea generale, per ogni pratica è stato fatto un esame accuratissimo, di tutti gli atti. Per quanto riguarda la Casa del Vigile, ricordo che l’esame è stato condotto sugli atti esistenti al Comune Ma mi sembra di ricordare anche che il fascicolo della Casa del Vigile era stato sequestrato dalla Procura della Repubblica.
CARUSELLI: Ma la procura non sequestrò i documenti, ne rilevò solo l’elenco, lasciando il fascicolo in deposito nell’archivio comunale.
MARTUSCELLI: Molti accertamenti venivano condotti dalla segreteria tecnica, quindi non sono in grado di riferire se la pratica della Cooperativa, essendo stata sequestrata fosse rimasta nell’archivio comunale e fosse completa di tutti i documenti.
Avv. TEDESCO: Può affermare che nella sua relazione sulla Casa del Vigile, si parla una volta sola?
MARTUSCELLI: Mi sembra di ricordare di sì.
Nella udienza di ieri sono accaduti tre fatti che al cronista sembrano importanti : il dott. Bosco ha concluso la sua deposizione-fiume, durata quasi ininterrottamente per due udienze: è stato sentito l’ex presidente della commissione provinciale di controllo, Lucio Barbera, già deputato dc e attuale presidente della Giunta di Giustizia amministrativa : ha deposto il vice prefetto Di Cara, che fu uno degli ispettori inviati dalla Regione dopo la frana. Si è avuta l’impressione che dopo gli ultimi due, i difensori abbiano tirato un sospiro di sollievo: sul piano strettamente processuale, infatti, è sembrato che i due funzionari abbiano fatto segnare qualche punto alla difesa. Al cronista sembra un’ arma a doppio taglio, si vedrà in seguito perchè.
Concludiamo con la deposizione Bosco («Non sono un eroe positivo — ha detto alla fine dell’udienza il dott. Bosco al cronista: solo uno che in quel marasma — ma come rendere a parole la sua smorfia sprezzante? — ha voluto fare il suo dovere. Esausto il testimone, che pur conservava intatta memoria eccezionale per le date e i numeri di protocollo, esausti il presidente e gli avvocati, le ultime battute sono state in tono minore, ma non per questo meno importanti. Ne riferiamo una sola, su domanda dell’avv. Sclafani. La domanda era questa: «Come mai il teste si decise solo nel maggio del ’66 a mettere al corrente il sindaco Ginex della relazione dell’ing. Messina? ».
Bosco ha risposto che fu per eccesso di scrupolo, poteva anche non farlo, visto che ormai tutti in consiglio sapevano degli imbrogli di cui era piena la vicenda della Casa del Vigile, ed era stata nominata perfino una commissione di inchiesta comunale, oltre a quella della C. P. C. « Lo feci — ha detto — perchè temevo che il sindaco non si rendesse conto della gravità dei problemi che presentava la vicenda ». Gli avvocati della difesa Ginex straripano dal loro banco « verbalizziamo. verbalizziamo ». Il concetto difensivo sarebbe questo: se il sindaco non si rendeva conto dei problemi, non può essere imputato di interesse privato. Ora, questo può essere utile, anche se certamente ingeneroso — all’ex sindaco Ginex – dal punto di vista processuale, ma è certamente fallimentare dal punto di vista politico. Che ci stava a fare un sindaco che con tutto quel vivamaria suscitato dalla aggrovigliata storia della Casa del Vigile non si era ancora reso conto dei problemi?
E veniamo alle due deposizioni Barbera e Di Cara. Le risposte del primo, sollecitate dagli avvocati difensori, si riallacciano a una dichiarazione del dottor Bosco, questa: la C.P.C solo in casi eccezionali approvava le delibere con la formula « per decorrenza di termini ». Barbera lo ha smentito, ha detto che invece era prassi abituale della commissione, una prassi inaugurata sin dai tempi del primo presidente Venturelli. Tale prassi, ha aggiunto, non significa però che le delibere venissero approvate senza discussione. Era solo una formula usata quando la C.p.c riteneva che le delibere comunali non fossero tanto urgenti da richiedere la pronta restituzione. Quando, invece, venivano esaminate oltre i venti giorni previsti dalla legge, la formula di approvazione usata era “per termini decorsi”.
Che importanza ha questa faccenda ? Dalle deposizione Bosco e dalla stessa sentenza istruttoria, si capiva chiaramente che la C.P.C, per non essere costretta a bocciare una delibera irregolare (nella fattispecie quella con cui la giunta Di Giovanna concedeva il terreno alla cooperativa Casa del Vigile), entrando nel merito, la lascia languire nei cassetti e infine la approvava senza discuterla, cioè appunto per decorrenza dei termini.
Il dottor Barbera ha detto che non era così, e la difesa ha accolto con compiacimento evidente la risposta, ben lieta di avere colto in castagna il lucidissimo testimone della accusa. Però il cronista ha annotato che il dottor Barbera ha aggiunto che la procedura della decorrenza veniva applicata quando la Commissione riteneva che non fosse necessario rinviare subito la delibera al comune. Bene. Però la giunta Di Giovanna aveva adottato quella delibera, « coi poteri del consiglio e con procedura d’urgenza » e non può non apparire quanto meno singolare che la CPC se la prendesse tanto calma, mentre la giunta mostrava di avere una fretta dannata. Quindi, delle due. l’una: o la fretta della giunta non era per niente giustificata e allora la procedura di urgenza appare almeno sospetta; oppure l’urgenza c’era e in tal caso non si capisce come non abbia trovato riscontro nella C.P.C., che non applicò la procedura dell’applicazione più rapida.
Infine — dopo la deposizione interlocutoria di un funzionario della C.P.C., Timineri — è stato chiamato a deporre il vice prefetto Di Cara. Al centro della sua deposizione, per altro molto breve, uno sconcertante paradosso: quando fu inviato ad Agrigento per la frana, il dottor Di Cara rilevò, fra le altre, tutta una serie di violazioni ai vincoli di verde pubblico. Fu un lavoro perfettamente inutile, perchè ad Agrigento, il verde pubblico non si è visto riservare nemmeno un centimetro quadrato nel regolamento edilizio. Allora, come mai il vice prefetto Di Cara rilevò infrazioni ad un vincolo che non esisteva ? Ad Agrigento in campo edilizio può accadere di tutto: al dottor Di Cara accadde che il comune. «per metterlo in grado di fare la sua inchiesta », aveva fornito la copia di un regolamento edilizio diverso da quello vigente. Sembra che fosse uno schema di regolamento discusso dal consiglio, ma approvato poi con numerose modifiche, tra cui l’abolizione appunto delle zone destinate a verde pubblico. Secondo la migliore prassi agrigentina, anche qui c’è una planimetria fantasma: quella del regolamento edilizio, che non si è mai trovata. Anzi, secondo alcuni avvocati della difesa, non sarebbe mai esistita. Ma allora, come è possibile che ci siano le copie (quelle sulle quali hanno lavorato le varie commissioni d’inchiesta) di una cosa che non è mai esistita?
di Mario Genco
pubblicato dal quotidiano l’Ora