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Presenza e valore della memoria nel romanzo di Luigi Pirandello

13 Agosto 2022 //  by Elio Di Bella

Dice Hofmannstal che il presente è veramente grandioso perchè in esso sono contenuti tanti passati come esistenze ma­gicamente vive e che anzi il destino dell’ar­tista appare quello di sentire se stesso come espressione di una pluralità che riconduce al lontano passato

A me sembra che a pochi scrittori si possa meglio che a Pirandello ricondurre questo pensiero dello scrittore viennese, vuoi per l’accenno alla molteplicità dei passati che vivono in ognuno di noi nella magia di un presente sofferto, sia per quel proiettarsi dell’io come pluralistica espressione: insomma un « io », un « nes­suno » e un “centomila” visti nella di­mensione più ampia dì tempo e di spazio.

Perciò mi pare un vaniloquio l’opera critica di chi fruga nelle pieghe del pen­siero e dell’arte di un autore.

compiuto almeno il tentativo di ricondur­lo alla sua genesi e senza averlo inve­rato nel tempo in cui visse oppure calato nella realtà dell’ambiente’, della società, del gusto, delle tendenze che accompa­gnarono le vicende della sua vita e della sua opera.

Non importa, poi, se quell’ambiente sia stato angusto o se abbia avuto un nome profetico, se sia stato maldicente e retri­vo, scarsamente impegnato sui vari li­velli delle conquiste dello spirito: persi­no lo stile di un’epoca afferma Walter Jens, nasce in spazi angusti e ciò che vuole affermarsi nel tempo, esige tanto il segno di un’ora irrepetibile, quanto l’e­sattezza della topografia. Non l’ubiquità, ma il colore locale crea lo stile, il grande comincia piccolo, verificabilità e provin­cialismo sono entrambi in giuoco quando qualcosa vuole durare. Ciò che ai po­steri appare classico, è ricco di allusioni, presuppone familiarità, si fonda su un’in­tesa e richiede una cerchia ristretta: sicché è facile comprendere come l’oc­casione di una grande opera d’arte perpiù modesta e talvolta banale, diviene accettabile mentre nell’incontro con le memorie il nostro presente esce spesso dagli enigmi e si fa decifrare .

Perciò uno scrittore, a volte crucciato e tormentato anche nella maniera infor­me del l’orgasmo, dopo di avere affondatosuo sguardo nel pozzo del passato ed aver misurato, come dice ancora Jens, l’altezza della sua utopistica torre di so­gno, si rivolge poi al presente, con oc­chio più sgombro: allora il suo tormento si placa, come succede al Foscolo che si smemora nella lucida visione della sua terra, oppure questo tormento diventa più consapevole e più umano e si fa poesia e s’immerge nella temperie dell’arte, co­sì come avviene in Pirandello.

DIALOGO CON IL PASSATO

Insomma l’uomo tiene con il suo pas­sato un dialogo che difficilmente riesce a spezzare e di cui non sa prevedere la fine: un dialogo alla Eliot, il teorico del correlativo oggettivo, un dialogo che, ri­percorrendo a ritroso la via, ha la ca­pacità di individuare il motivo e il valore di una particolare emozione attraverso una serie di oggetti e una successione di fatti.

Così egli va nella soffitta delle memorie non tanto per crogiolarsi nell’immutato dolore della vita, ma per rinvenire un frammento di pianto ed anche di riso che non appartenga soltanto a noi ma sia di tutti e che non possa essere fis­sato solo nel tempo remoto così acuta­mente indagato, ma al quale si riesca a dar vita fuori di quel momento e a dargli respiro e dimensioni universali e costan­ti, accettabili da tutti e in ogni epoca.

Quando uno scrittore riesce a far que­sto, ha davvero compreso il valore di un messaggio da consegnare in nome suo alle generazioni venienti, un messaggio su cui poter meditare, sentire, sognare e soffrire anche.

COLLOQUI CON I PERSONAGGI

Questo è, poi, il sesso più ovvio del colloquio con il tempo che Pirandello ha voluto dare al primo dei suoi « colloqui con i personaggi » e, tra questi ,con il più ostinato: « un ometto piccolo e mezzo cieco, chiuso nella sua realtà ideale, fuo­ri delle transitorie contingenze del tem­po » e che naturalmente non sa e non vuol capire l’avviso che l’autore ha attaccato alla porta.

« Sospese da oggi le udienze a tutti i personaggi, uomini e don­ne, d’ogni ceto, d’ogni età, d’ogni professione, che hanno fatto domanda e presentato titoli per essere ammessi in qualche ro­manzo o novella.

N.B. Domande e titoli sono a disposizione di quei signori per­sonaggi che, non vergognando­si d’esporre in un momento co­me questo la miseria dei loro casi particolari vorranno rivolgersi ad altri scrittori, se pure ne troveranno ».

E mentre Pirandello s’affanna a spie­gargli che c’è la guerra nell’aria, che so­no già state rotte le relazioni diplomati­che con l’Austria e la Germania, lui che fa? guarda fuori, con faccia beata, i ci­pressi e i pini dorati dal sole, ascolta ra­pito il chioccolio della fontana, e il fitto cinguettio degli uccelli. La sua delizia fa passare all’Autore momenti di rabbia fe­roce che si alternano a stupore, nausea ed avvilimento, ma quella faccia beata gli ferma in bocca i vituperii e le ingiurie. Non sa nulla lui di guerra; poi, ha forse colpa se gli uccelli che, come lui non com­prendono il «momento come questo » con­tinuano a cantare?

« E che c’entro io, scusi, se il merlo canta? se le rose ridono nel suo giardinetto? Corra a met­tere la museruola a quel merlo, se le riesce e strappar queste rose! Non credo, sa, che se la lasceranno mettere la museruo­la gli uccellini; e tutte le rose di questo maggio da tutti i giar­dini, non le sarà mica facile strapparle   Mi vuol fare sal­tare dalla finestra? Non mi farò male: e le rientrerò nello stu­dio dall’altra. Che vuole che im­porti a me, agli uccellini, alle rose, alla fontanella, della sua guerra? Cacci il merlo da quella acacia; se ne volerà nel giardi­no accanto, su un altro albero, e seguiterà di lì a cantare tran­quillo e felice. Noi non sappia­mo di guerre, caro signore. E se lei volesse darmi ascolto e dare un calcio a tutti codesti giorna­li, creda che poi se ne lode­rebbe.

Perché son tutte cose che passano, e se pur lasciano trac­cia, è come se non la lasciasse­ro, perché su le stesse tracce, sempre, la primavera guardi: tre rose più, due rose meno, è sempre la stessa; e gli uomini hanno bisogno di dormire e di mangiare, di piangere e di ride­re, d’uccidere e d’amare: pian­gere su le risa di ieri, amare so­pra i morti d’oggi. Retorica, è vero? Ma per forza, poiché lei è così, e crede per ora ingenuamente che tutto, per il fatto della guerra,  debba cambiare.

Che vuole che cambi ? Che contano i fatti?  Che enormi che siano – sempre fatti sono. Passano. Pas­sano, con gli individui che non sono riusciti a superarli. La vita resta, con gli stessi bisogni, con le stesse passioni, per gli stes­si istinti uguale sempre, come se non fosse mai nulla: ostina­zione bruta e quasi cieca, che fa pena. La terra è dura, e la vi­ta è dura, e la vita è di terra.

Un cataclisma, una catastrofe, guerra, terremoti la scacciano da un punto; vi ritorna poco dopo, uguale, come se nulla fosse sta­to. Perché la vita, così dura co- m’è, vuole se stessa lì e non altrove, ancora e sempre ugua­le. E, vorrà anche il cielo, per tante cose; ma soprattutto, cre­da, per dare respiro a questa terra. Lei si agita in questo mo­mento; freme, s’arrabbia contro chi non sente come lei, contro chi non si muove; vorrebbe gri­dare, far capaci tutti gli altri del suo stesso sentimento. Ma se gli altri non lo hanno?  

……… Ciò che realmente importa è qualche cosa di infinitamente più piccolo e infinitamente più grande: un pianto, un riso, a cui lei, o se non lei qualche altro, avrà saputo dar vita fuori del tempo, cioè superando la realtà transitoria di questa sua passio­ne d’oggi: un pianto, un riso, non importa se di questa o d’al­tra guerra, poiché tutte le guer­re su per giù sono le stesse; e quel pianto sarà uno, quel ri­so sarà uno ».

IL DUE DI NOVEMBRE (spunto da una novella)

Dialogo dell’anima con le memorie: lo stesso atteggiamento, tra il triste, l’ironico e il trasognato, di Pirandello ci spiega questo continuo ricamare avanti e indietro nella grande stagione della sua vita e del tempo trascorso.

Ora lo vediamo, ad esempio nella novella LA SCELTA riandare alla Sicilia del due novembre, la strana e assurda festa dei bambini che giocano sulle strade coi nuovi giocattoli, mentre si snoda­no dai formicai dei paesi le lunghe teo­ria di persone che vanno a piangere i loro cari al cimitero. Il ricordo gli è nato dalla contemplazione del suo ritratto di bambino e dalla memoria del suo aio Pinzone che lo conduceva alla fiera dei giocattoli e si ostinava a voler comprare per lui dei paladini che non fossero ladri e traditori o millantatori, finché il ven­ditore rispondeva seccato: «Ma insomma, signor mio! è certo che ci vuole il tristo e il buono, il paladino fedele e Gano il traditore, se no la rappresentazione non si può fare »

Ed anche ora Pirandello confessa di andare alla fiera, ma ad una fiera più grande, per scegliere i suoi personaggi e risente con stizza la voce di Pinzone che gli va ripetendo:

« Vedi che malinconia di fiera? Nè credere a coloro che te la dipingono tutta d’oro: d’oro in cielo, d’oro gli alberi, d’oro il mare… Oro falso, figliolo mio! Cartapesta indorata! E vedi che razza d’eroi t’offre oggi la vita? Trionfano solo i ladri, gl’ipocriti, i birbaccioni! Scegli un eroe onesto? Sceglierai per necessi­tà un impotente, un vinto, un meschino; e la tua rappresenta­zione sarà fastidiosa e affliggente. Praticando con te, a tua insaputa, mi sono venuto man mano istruendo un po’. Or io ti domando: Credi tu che per i po­steri possa valer la scusa che la arte tua ha rispecchiato la vita del tuo tempo? Siamo giusti: che valore avrebbe dinanzi alla no­stra estimativa estetica questa medesima scusa se, a mo’ di esempio, ce la presentasse tutto dai pensieri nostri dissociati, dalle azioni nostre impulsive e h quasi senza legge, dai sentimen­ti nostri disgregati e nella di­scordia dei più opposti consigli: questi miseri, inani, affliggenti fantocci che può offrirti soltan­to la fiera odierna? »

Enzo Lauretta, Presenza e valore della memoria nel romanzo di Luigi Pirandello, in L’Amico del Popolo, 16 novembre 1975

Categoria: Senza categoriaTag: agrigento, luigi pirandello

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