Di Calogero Ravenna in Accademia di Lettere Arti e Scienze di Agrigento. Atti 1947
Questo è un lato del grande scrittore quasi interamente ignorato nella sua stessa citta natale e fuori; forse perchè —nonostante la copia di approfondite e ben connesse informazioni che di Lui hanno dato al gran pubblico il Nardelli, il Lo Vecchio Musti e l’ Antonelli — altri aspetti della sua complessa figura rimangono ancora non interamente in luce. Per la qualcosa Pirandello come cittadino agrigentino riesce ancora poco conosciuto e quasi incompreso.
Per la sua lunga dimora fuori di Agrigento, in Italia e all’ estero, e per le sue abitudini di vita appartata che conduceva anche nei brevi soggiorni nella sua stessa città, appariva alle nuove generazioni dei suoi concittadini come un estraneo e addirittura come un forestiero; mentre profondi vincoli di nascita e di vita lo legarono ad Agrigento.
Biografia.
Luigi Pirandello nacque, come è risaputo, alla casina del Caos (Agrigento) il 28 giugno 1867 da Stefano, garibaldino, carabiniere genovese e da Caterina Ricci Gramitto, mentre infieriva ad Agrigento l’epidemia colerica.
Il padre, ultimo dei 18 figli di Andrea Pirandello da Pra (Genova) a 23 anni seguì Garibaldi sino al Volturno. A Girgenti in un giorno di esultanza patriottica, conobbe donna Caterina Ricci Gramitto, che aveva 28 anni, e la sposò il 28 novembre 1863.
La madre. apparteneva ad una delle più vecchie famiglie di Girgenti di belle tradizioni per dottrina e patriottismo. Il nonno materno. Giovanni Ricci Gramitto, avvocato di grido e patriota fece parte del governo provvisorio del 1848, fu condannato a morte ed esule a Malta.
Luigi studiò nel ginnasio di Agrigento. Nel 1882 si trasferì o Palermo, dove compì gli studi liceali. Debuttò nel mondò letterario con un volumetto di liriche : Mal Giocondo, edito da Pedone Lauriel di Palermo. Nel 1888 s’iscrisse all’Ateneo romano e fu allievo di Ernesto Monaci, il quale poi lo indirizzò al Fòerster docente di filologia romanza all’ Università di Bonn am Rhein in Germania.
Pur non conoscendo una parola di tedesco, imparò in pochissimi tempo la lingua, che scriveva poi e parlava elegantemente come un vero tedesco. I professori ne furono ammirati e gli affidarono la lettura dell’ Inferno di Dante in quella Università.
Durante la permanenza a Bonn pubblicò un libriccino di versi: Pasqua di Gea (1891), che dedicò con una lettera in tedesco a Jenny, la piccola bionda figliuola della sua padrona di casa.
Luigi Pirandello si laureò a Bonn il 31 marzo 1891.
Dopo la laurea, che scrisse nella lingua di Heine, trattando un tema irto di difficoltà — Suoni e sviluppi di suoni nella parlata di Girgenti —. ebbe, nella stessa Università dì Bonn, la cattedra di dialettologia comparata, che tenne per sei mesi. Ma si ammalò e per fare una buona convalescenza tornò a Girgenti.
In patria Luigi Pirandello si adoperò per aiutare il padre nei commerci. Ma finì per rinunziarvi. A questa rinunzia egli si decise in cambio di un assegno mensile vitalizio che gli fu concesso a patto di non pretendere alcun diritto nell’eventuale eredità paterna. Nell’azienda il padre aveva associato gli altri figli Enzo e Giovanni.
L’assegno vitalizio gli assicurò una vita libera, ma modesta e così avvenne che Luigi Pirandello andò a stabilirsi a Roma, dove si orientò nel mondo letterario che allora faceva capo al giornale : il Don Chisciotte, diretto da Gandolin.
Indotto da Luigi Capuana a scrivere in prosa, il Pirandello si ritirò a Monte Cavo (Roma) e scrisse il romanzo Marta Ajala (1893) (I) (Ricomparve rifallo col titolo L’Esclusa (1901) e col medesimo titolo si trovò nell’ edizione definitiva Tutti i romanzi di L. Pirandello. Mondadori 1941.)
Nel gennaio 1894 sposò Antonietta Portulano, bella gentile ragazza, con la quale si stabilì definitivamente a Roma.
Nel 1895 pubblicò le Elegie renane, che dedicò al poeta messinese Edoardo Giacomo Boner e nel 1896 tradusse, conservando intatto il metro, illustrate da Ugo Flores, le Elegie romene del Goethe.
Nel 1897 fu nominato dapprima supplente e poi titolare della cattedra di Commento Dantesco all’Istituto Superiore di Magistero.
L’uomo politico
Per la sua ritiratezza di studioso (e per la riserbata compostezza che manteneva inalterata in tutte le sue manifestazioni, anche nelle più sentite e vivaci), potè sembrare alieno dalla politica anzi addirittura apolitico; mentre vigile e fine era la sua sensibilità politica, e mentre la sua partecipazione alla politica locale di Agrigento e alla nazionale era, quanto dignitosamente riserbata, altrettanto impegnativa e militante : era la politica garibaldina dei patriotti suoi avi, politica di siciliano girgentino. politica di anima e di spirito saggio e superiore.
A venticinque anni luigi Pirandello prese porle olle lolle politiche di Giranti, e sostenne la candidatura del Salvioli contro quella del concittadino marchese Luigi Contai mi,
La Riforma Sociale giornale politico girgentino, diretto dall’ avv. Francesco De Fuco, nel supplemento al n. 8, pubblicò il manifesto che portavo, fra le altre firme, quello del Pirandello. Questi, nel far parte del Comitato elettorale, cosi ne aveva telegrafato da Roma il 25 novembre 1892 : “ Se voti di animo andassero urna, i miei soli assicurerebbero trionfo Prof. Salvioli “, e si metteva a fianco di Francesco De Luca, l’ affascinante oratore e animatore dei Fasci dei lavoratori di Girgenti e provincia.
Fautore e sostenitore delle idee del suo amico, anche lui studiò al lume degli ideali sociali del De Luca la “ questione siciliana , anche lui sì occupò degli interessi di Girgenti con fede di apostolo, con entusiasmo di neofita, anche lui amò la storia della suo terra, millenaria per tradizioni, per cultura e per arte.
Ma diversi furono gli strumenti di lotta.
Il De Luca si servì della parola, del giornale e degli opuscoli per mettere sul tappeto le questioni più ardenti che agitarono i Girgentini della seconda metà dell’ Ottocento; il Pirandello si valse di una tribuna più alta, quella eminentemente letteraria dei generi della prosa narrativa e della drammatica per fare della secolare “ questione ” il dramma vivo e pulsante di una generazione.
Nei vecchi e i giovani il Pirandello trovò appunto la scena più adatta per svolgere tutto quel groviglio di situazioni e di passioni che agitarono il popolo di Girgenti per trarre in ballo gli uomini più rappresentativi del suo tempo e della sua terra, e farli rivivere agitati dalle loro passioni, animati dai loro interessi, per rievocare con drastica commozione il dramma di un popolo che seppe vivere e fare la sua storia.
Pirandello in questo romanzo è il Girgentino che parla dei suoi concittadini, che ne rileva le passioni più cocenti, che ne drammatizza i dissidi più spinosi, che ne stigmatizza talvolta il carattere apparentemente scettico ed apatico.
Non svolse una lesi; ma rappresentò il dramma storico a cui partecipò egli stesso con tutta lo schiettezza della sua anima, con tutta la passione di girgentino.
Passalo quel periodo cruento il De Luca lasciò come ricordo e dedicò ai suoi compagni di prigionia un opuscoletto : I fasci e la questione siciliana (1894). edito dalla Biblioteca della “Critica sociale” e un caro volumetto : Prigionie e processi, nei quali fa la sintesi di quel periodo drammatico della nostra storia.
Il Pirandello, in seguito, datosi alla narrativa, sulle orme del De Luca, rappresentò quel dramma ne 1 vecchi e i giovani, dramma che, vivificato dal puro soffio dell’arte, rimane a testimonianza di un periodo che fu dei più tragici e tormentosi della storia girgentina.
Per i profondi suoi vincoli colla sua terra natia e per gli aviti suoi sentimenti politici, risolutamente e delicatamente patriottici, Luigi Pirandello, oltre che poeta, novelliere, romanziere e, (nel senso più originale, più modernamente umano) commediografo, volle anche essere il ricostruttore dello storico dramma della sua terra, della sua famiglia e del suo stesso spirito di patriotta nuovo.
In questo senso Luigi Pirandello deve annoverarsi fra gli storiografi di Agrigento per via del romanzo I vecchi e i giovani da lui ideato in modo così aderente alla realtà storica da riuscire storia dell’ ambiente agrigentino, siciliano e italiano, e ancora più, in un preciso e tragico momento della vita nazionale, biografia di sè e dei suoi, salva la necessaria dissimulazione dei veri nomi.

I VECCHI E I GIOVANI
Il romanzo fu concepito dal Pirandello verso il 1894 e la stesura dovette essere iniziata subito dopo, quando cioè I’amico suo, Francesco De Luca, pubblicò quell’aureo librello I Fasci e la questione siciliana, le cui pagine dovettero commuoverlo.
Alcuni critici dell’arte pirandelliana (I), nel rispondere a Manlio Lo Vecchio Musti, che negò a I vecchi e i giovani unità fantastica , per il fatto “ che uno dei migliori episodi (Il pentimento di Giannette, Parte II, Cap. I) fu pubblicato come novella nel Marzocco del 12 luglio 1903 col titolo Pianto segreto, asseriscono che nulla vieta anzi tutto conferma di pensare che il Pirandello già fin dal 1903 (anche molto prima: verso il 1894, affermiamo noi) avesse cominciato a concepire I vecchi e i giovani e a darne la stesura, finendo di compilarlo con lentezza nel 1909 quando il romanzo fu per la prima volta pubblicato a puntate nella Rassegna contemporanea. (Per lo stesso motivo cui si accenna più sopra, noi siamo d avviso che la stesura del romanzo fu iniziata verso il 1901 e non nel 1903 per il fitto che una delle più belle ‘ descrizioni (Rupe Atenea, sacrario dei numi proiettori. Parte I, Cap. IV) fu pubblicala il 25 febbraio 1902 su Vita ed Arte nella lirica Templi d’ Akragante. Senza dire che il Pirandello in questa pagina fa sua la tesi di S. Bonfiglio : L acropoli agrigentina, 1897)
Luigi Pirandello amò il paese natìo e molto lo studiò nelle tradizioni, nelle costumanze, nella vita e nell’ arte, nella storia.
In quegli anni in cui la topografia e l’ archeologia girgentina erano materia di discussione fra i papaveri dell’intellettualità paesana e straniera, anche lui si appassionò a questi problemi e ne fece ragione di studio per il suo romanzo su cui lavorava da tempo.
La passione storica e il desiderio di cimentarsi coi grandi maestri conterranei dipintori di masse a molteplici e girevoli azioni come il Verga, il De Roberto e il Capuana, dovettero spingere il Pirandello a scrivere il suo romanzo, che stese lentamente e a varie riprese, nei periodi di ferie che egli veniva a passare in Girgenti, nella villa del suocero Calogero Portulano, nei pressi di Bonamorone, la moderna ” Colimbètra “ del romanzo.
I vecchi e i giovani, dopo varie vicende, comparvero, come abbiamo detto, a puntale, su la Rassegna contemporanea di Roma (gennaio—novembre 1909) e poi, nel 1913, in occasione delle nozze d oro dei suoi genitori, furono editi in due volumi dalla Casa editrice Fratelli Treves di Milano (t).
Una copia del romanzo, offerta in omaggio ai proprii genitori, porta la seguente dedica manoscritta, d’ indole intima e quasi riservala : Ai miei non vecchi genitori, perchè di cuore e di mente più giovani di me, nella festa delle loro nozze d’oro, 28 novembre 1863 – I913, quest’ opera in cui i loro nomi Stefano e Caterina vivono eroicamente o. d. c.
Nella stampa il romanzo porta la dedica: Ai miei figli — giovani oggi vecchi domani. Lì parla il figlio, qui il padre.
Con questa ultima il Pirandello lasciava ai propri figliuoli il retaggio delle memorie più sacre di famiglia, il ricordo dei luoghi dove egli nacque e visse gli anni della sua fanciullezza e quello degli amici più affezionati, che eternò nelle pagine più geniali e imperiture.
Figlio di garibaldino, nipote di un martire dell’indipendenza, Luigi Pirandello in questo suo libro, il più caro, quello per cui spese le sue cure più affettuose e le sue maggiori fatiche e per cui fu sinceramente geloso, accomuna i fatti della patria con i guai proprii. Fonde cioè la propria autobiografìa nella storia municipale e questa nel movimento nazionale.
Nelle pagine più impegnative egli ricorda il passato come lo vide nei ricordi dello mamma, cioè germogliato e connesso con i fatti della patria, e riesce o riprodurre, con arte somma, lo stato d’animo della generazione che aveva formato l’Italia una, di fronte olle prime clamorose manifestazioni dell’idea socialista, il movimento dei fasci siciliani,
L’ azione del romanzo si apre in Girgenti il 22 settembre 1892 e coincide perfettamente con le lotte politiche agrigentine di quell’anno.
Il paesaggio.
Sin dalle prime battute del romanzo, il paesaggio agrigentino si presenta ai nostri occhi in quell’ alba livida sotto la pioggia fra il vento gelido che spira a raffiche, in una visione che ha della tragicità shakespeariana.
Girgenti, nei resti miserevoli dello suo antichissima vita, si leva silenziosa e attonita superstite nel vuoto di un tempo senza vicende, nell’ abbandono di una miseria senza riparo (1).
In questo preludio introduttivo è la premessa della tragedia agrigentina. Dell antica città-stato, e antichissima metropoli mediterranea, non resta che la città nuova (città medievale e moderna ridotta sotto gli arabi in abbandonati campi di rovine) e la miseria economica e politica che si è legato alla grande Patria italiana.
La miseria del presente è in contrasto con la gloria del passato, e quale passato
Il paesaggio, man mano, si restringe. Ecco Porto Empedocle, ” borgata di mare, cresciuta in poco tempo a spese dello vecchia Girgenti ”; ecco la Civita, il cuore dell’ antica città; ecco i templi che si raccolgono austeri e solenni nell’ombra; ecco l’ Hypsas, il fiumicello di povere acque, secco d’ estate e ragione di malaria; ecco Villa Sita, d’una cinquantina d’ abituri allineati sullo stradone; ecco il pino solitario, al Caos nativo, laggiù dove l’altipiano strapiomba sul mare, ecco il Camerone con le persiane dei due terrazzini e delle finestre sempre chiuse: lutto il suo mondo, oggetto della sua ansia e del suo tormento.
Ecco Girgenti moderna, ” dominata, in vetta al colle, dalla antica cattedrale normanna (t). dedicata a San Gerlando, dal Vescovado e dal Seminario ; la Via Atenea, come le altre angusta e tortuosa, frequentala da molli sfaccendali della città, che vanno su e giù ” sempre duri passo, cascanti di noja, con I automatismo dei dementi; ecco la Salita S. Spirito, salirvi per “ angusti vicoli sdruccioli, a scalini, malamente acciottolati, sudici spesso , dalle catapecchie delle povere donne, che passano le giornate a seder su l’uscio, le giornale tulle eguali “vedendo la stessa gente alla stess’ora, udendo le solite liti che s accendevano da un uscio all’ altro tra due o più comari linguacciute per i loro monelli che, giocando, s’erano strappati i capelli o rotta la testa ecco la “vecchia triste,, casa dei Pirandello (casa Lauricella-Bonadonna, parenti dello scrittore) “sotto la Badia Grande, coll’angusto “giardinetto pensile. Ed ecco l’ antico palazzo dei Gubernatis, dove il Pirandello trascorse i giorni della sua spensierata fanciullezza con l’amico d’infanzia Antonio De Gubernatis, Ninì De Vincentis del romanzo; la vecchia Girgenti attediata “nel vuoto desolato dei lunghi giorni tutti uguali, sempre con quel giro di visite delle tre o quattro famiglie conoscenti”, “fra le spiritosaggini solite dei soliti giovanotti eleganti. anneghittiti, immelensiti nella povera e ristretta vita provinciale”(2).
L’ ambiente cittadino.
L’ambiente. cittadino è ritratto in tutta la sua realistica ve rito, con vivezza di colori e con anima di demopsicologo,
Nell’anima e nei costumii delle gente è rimasta l’accidia taciturna, la diffidenza più ombrosa, la gelosia.
In Piazza Sant’Anna (il vecchio Tocco, ora Piazza Nicolò Gallo), ove sono i tribunali, s’affollano i clienti di tutta la provincia, “gente tozza e rude, cotta dal sole, gesticolante in mille guise vivacemente espressive : proprietarii di compagna, e di zolfare in lite con gli affittuari o coi magazzinieri di Porto Empedocle, e sensali e affaristi e avvocati e galoppini ”, si affollano “ storditi i paesani zotici (in quei tristissimi anni!) di Grotte o di Favara, di Racalmuto o di Raffadali o di Montaperto, solforai e contadini, la maggior parte dalle facce terrigne e arsicce, dagli occhi lupigni, vestili dei grevi abiti di festa di panno turchino, con berrette di strana foggia : a cono, di velluto; a calzoni dì cotone, o padovane; con cerchietti a catenaccetti d’oro agli orecchi; venuti per testimoniare o per assistere i parenti carcerati ”, Parlano ” tutti con cupi suoni gutturali o con aperte protratte interiezioni…”. E con loro hanno le donne, ” madri e mogli e figlie e sorelle, dagli occhi spauriti o lampeggianti di un’ansietà torbida e schiva, vestite di baracane, avvolte nelle brevi mantelline di panno, bianche o nere, col fazzoletto dai vivaci colori in capo, annodato sotto il mento, alcune coi lobi degli orecchi strappati dal peso degli orecchini a cerchio, a pendagli, a lagrimoni; altre vestite di nero e con gli occhi e le guance bruciati dal pianto, parenti di qualche assassinato
E fra queste, quando son sole, s’aggira “occhiuta e obliqua qualche vecchia mezzana a tentar le più giovani e appariscenti ” (‘‘Occhiuta e obliqua”: in due aggettivi è il ritratto vivo e palpitante di una mezzana dell’ultimo Ottocento girgentino: Nina Calafato), che avvampano per l’onta e che pur non di meno talvolta cedono e sono condotte, ” oppresse d’ angoscia e tremanti, a fare abbandono del proprio corpo, senza alcun IORO piacere, per non ritornare al paese a mani vuote, per comperare ai figliuoli lontani, orfani, un pajo di scarpette, una vesticciuola(1),
L’ intreccio del romanzo è semplice e lineare. L azione nella parte prima, formata di otto capitoli, si svolge in Girgenli.
CAP. I. — Placido Sciaralla, capitano dei campieri borbonici del Principe Ippolito Laurentano, a cavallo e sotto la pioggia, va dalla Colimbetra ( cioè Villa Portulano, dietro Bonamorone, a recapitare una lettera del suo padrone al di lui fratello D. Cosmo alla Valsanìa (= al Caos) Il Principe con quella missiva prega il fratello di ospitare la moglie e la figlia di D, Flaminio Salvo (Don Luzzu Porlulano , suocero dello scrittore, ricco banchiere di Girgenti), per la prossima villeggiatura, durante la quale intende fare la conoscenza della signora D. Adelaide Salvo, avendo deciso dì condurla a seconde nozze. Don Cosmo consente con signorili riserve.
CAP. II. — L’Avv. Ignazio Capolino (Marchese Luigi Contarini, dall’alta e distinta statura e dalla corta barbetta a pizzo rivoltata lievemente in su, nonché dai modi distintissimi animati sempre da maschia dolcezza, già cognato del Salvo) , e Nini De Vincentis (Cav. Antonio De Gubernatis) suo giovane amico di famiglia, incaricati anch’essi da D. Flaminio si recano il giorno dopo a dare le opportune disposizioni per i preparativi di detta villeggiatura alla Valsanìa. E quivi, mentre i preparativi fervono si apprende la notizia della venuta da Roma di Roberto Auriti (Rocco Riccci Gramitto, segretario alla Prefettura a Roma, zio dell’autore), deciso di porre la sua candidatura a deputato nelle imminenti elezioni politiche, nel primo collegio di Girgenti, lasciato vuoto dall’On. Giacinto Fazello (Luigi La Porta), già ritiratosi dalla vita politica.
CAP. III. — In città, intanto, mentre in casa di Mons. D. Pompeo Agrò (mons.. Pompeo Spoto,) cima indiscussa e influentissima dell’alto clero girgentino, che non in faceva mai un passo per la città se non nel suo landò chiuso e tirato per prammatica ecclesiastica, da due mule) cominciano a svolgersi commenti e approcci elettorali a favore dell’Auriti; l’ Empedocle, giornale locale dell’Avv. Capolino, pubblica un articolo contro l’Auriti, intitolato : Patrioti per affari di famiglia, in seguito al quale si hanno due clamorosi incidenti: uno rea quest’ultimo e Marco Preola (Nocio Tasca, uno spiantato ex ufficiale di cavalleria), autore dell’articolo, e l’altro tra l’avv. Guido veronica, aderente dell’Auriti e il Capolino che ha posto anche lui la sua candidatura con l’appoggio di D. Flaminio Salvo.
CAP. IV – Donna Caterina Laurentano in Auriti (Anna Bartoli, nonna materna dello scrittore), indignata di questo sistema di lotta elettorale, si reca in carrozza alla Colimbetra per far conoscere al fratello Principe Ippolito (personaggio composto: in esso l’autore ha fuso le caratteristiche proprie di due note personalità girgentine: il Barone Genuardi e il barone Giudice) l’articolo incriminato e protestare contro il figlio di lui segretario, Marco Preola, autore dell’articolo medesimo. Il Principe, che in quel momento si trovava a discutere con don illuminato Lagaipa (mons. Antonio Lauricella, dottissimo storiografo e distinto oratore girgentino) intorno all’ubicazione dell’antica acropoli agrigentina, alla visita inattesa e inconsueta della sorella, con la quale non si vedevano per dissensi politici da ben 43 anni, appresa la pubblicazione dell’insolente articolo, provvede senz’altro energicamente, ma si riserva di fronte alla sorella di non derogare dai suoi principi politici legittimisti e di agire nella lotta elettorale in coerenza con se stesso.
Cap. V. — Dal giorno in cui la famiglia Salvo s’installa alla Valsania, Mauro Mortara (Gaetano Navarra, fiero campagnolo, inteso nella città: Tanu ‘u Monacu è persona di fiducia della famiglia Gramitto) s’ ecclissa. completamente, nascondendosi in fondo alla vigna, sotto un caprifico coi suoi tre mastini, guardingo e aggrondato per non vedere D. Flaminio che ritiene un sanfedista, una spia. Dei nuovi ospiti, installati nella villa, si affeziona unicamente alla gentile Dianella (Antonietta y figliuola di D. Luzzo Portulano, indi sposa del romanziere) e ad essa sola consente di visitare il camerone, la famosa stanza del Generale Laurentano, alla penombra della quale narra la sua vita avventurosa, appassionata, e anche quella del Generale e grande patriotta Gerlando Bianchini.
Cap. VI. In quei giorni più che delle imminenti elezioni politiche, gli sfaccendati parlavano del duello del candidato Capolino col Veronica, e la vertenza così dibattuta aveva grandemente appassionato la cittadinanza, tra la quale d’improvviso s’erano scoperti tanti calorosi dilettanti di cavalleria. Intanto Luca Lizio (Avv. Francesco De Luca, affascinante oratore e animatore dei fasci lavoratori in Girgenti e provincia) e Nocio Pigna (Rodolfo Adriano Bonfiglio, noto propagandista dei socialisti), a dispetto delle autorità politiche e militari, erano riusciti a mettere su in Girgenti il Fascio dei lavoratori e avevano preso in affitto il vasto magazzino di un pastificio abbandonato in piano di Gamez,( Questo locale era la sede del fascio comunale mentre il fascio provinciale aveva sede in Via Atenea (Casa Granet oggi Casà ), allora con entrata in Via Vela. intronato dalle strombettate dei cinque fratelli addetti alla fanfara, i quali, per dire la verità, erano un’ira di Dio.
Cap. VII Donna Nicoletta Spoto (Checchina Ferro in D’Alessandro come si vedrà nella sua identificazione),pur dissimulando il prossimo duello del marito, accompagna D. Adelaide Salvo alla Valsania. Il vecchio cascione per l’occasione è parato a festa. Il primo ad arrivarvi è il Vescovo Mons. Montuoro (mons. Gaetano Blandini) (2) accompagnato dal suo giovane segretario, poi il Principe D. Ippolito e, in ultimo, D. Nicoletta e D. Adelaide. Dopo i convenevoli e la sontuosa cena, Mons, Montuoro, con un forbito sermoncino, dichiara la promessa formale del prossimo matrimonio. Ma la tesi è interrotta dalla notizia del ferimento del Capolino in duello, per la quale Nicoletta, il Principe e D, Flaminio Salvo lasciano la Valsania per correre in vettura alla Colimbètra, dove il ferito era stato ricoverato.
CAP.VIII Le elezioni politiche sì concludono con la vittoria di Ignazio Capolino c con un’affermazione politica del perito minerario Giuseppe Zappalà (Prof. Giuseppe Salvioli, allora docente di storia del diritto alla Università di Palermo , la cui candidatura all’ ultimo momento, era stata presentata da Luca Lizio). Dopo le elezioni, Mauro Mortara parte per Roma per persuadere Lando Lamentano ad assistere alle prossime nozze del Principe, suo padre. Seguono il vecchio garibaldino, Roberto Auriti, che ritorna disilluso e dimentico in braccia alla sua donna, e Antonio Del Re (Luigi Pirandello, allora studente universitario a Roma e già identificato dall’ autore dell’ Uomo Segreto, Ing. Federico Nardelli), il quale si mette sotto le ali dello zio Roberto per continuare i suoi studi universitari a Roma
L’azione della parte seconda, anch’essa formata di otto capitoli, si svolge a Roma e si chiude a Favara colla patriottica morte di Mauro Mortara.
CAP. I — S. E. Francesco D’Atri (Francesco Crispi, capo del governo in quel momento politico che fu uno dei più tristi e dei più difficili della vita italiana ) da tre giorni è occupato nella compilazione relazione finanziaria. Roma è appestata dallo scandaloso fallimento della Banca Romana nella quale sono compromessi molti uomini della Rivoluzione Italiana, tra questi, Roberto Auriti. Il ministro per salvare Roberto, suo vecchio compagno d’armi, invita Giulio Auriti (che adombra uno dei fratelli di Rocco Ricci Gramitto) per procurare le quarantamila lire da Roberto avallate da una cambiale dell’On. Selmi (ON. Corrado De Zerbi) e correre così al salvataggio di quest’ultimo che pure è implicato in una scandalosa relazione amorosa con la moglie del D’Atri, la quale viveva in un lusso avventato, Sottratto tutte le carte che avrebbero potuto perdere il Selmi, era rimasto esposto, senza difesa, e compromesso l’innocente Roberto Auriti.
CAP. II – Mauro Mortara, che si trova a Roma da una ventina di giorni, recatovisi per assolvere la commissione di D. Ippolito Laurentano, gira da solo LA capitale, felice di vederla; ma ignaro della turpe gazzarra – di quei giorni, in cui i rivenditori dei giornali vociano per le vie di Roma, il nome di questo o quel deputato, con lo squarciato bando di una truffa – o di uno scrocco a carico di questa o quella banca. Giulio Auriti, dopo il diniego del cugino Lando Lamentano, corre a Girgenti dove spera di trovare in prestito quella somma presso i suoi parenti.
CAP:III L’ingegnere Costa (un giovane ingegnere di P. Empedocle, anche lui a Roma per interessare la deputazione siciliana al disegno d’un consorzio obbligatorio tra tutti i produttori della Sicilia) accompagnato dall’On. Capolino, è sconcertato dalla indifferenza con cui è accolto quel suo progetto e, nella stizza di veder mandato a monte quel disegno, telegrafa al Salvo.
- Flaminio, assecondando l’ingegnere per suoi fini riposti, dopo una settimana giunge a Roma con la figliuola.
Nicoletta Capolino, che nutriva una segreta simpatia per Aurelio Costa, gelosa per l’improvviso arrivo di D. Flaminio e di Dianella, si accorda con l’amante e decide di lasciare per sempre il marito e di partire subito per Girgenti.
Cap. IV. L’on. Corrado Selmi, accusato di frode bancaria, dopo aver sfidati e assaliti nell’aula del parlamento i suoi accusatori, schiacciato Dall’accusa esce livido e stravolto dalla Camera; mentre si reca a casa decide di farla finita col suicidio, sente strillare l’edizione straordinaria di un diffuso giornale ramano, lo compra d sulla prima pagina, dopo il resoconto parlamentare, vede spiccare il suo nome, tra accuse e ingiurie. Alla seconda pagina gli occhi gli vanno su un’intestazione a grossi caratteri -Ieri l’eccidio di Aragona in Sicilia, che lo mette a giorno della tragica morte della supposta moglie del Capolino e amante dell’ Ingegnere Costa. Frattanto Roberto Auriti viene arrestato alla presenza di Mauro Mortara il quale, indignato delle losche manovre operate nella capitale, calpesta le sue medaglie. Il nipote dell’Auliti scappa alla casa del Selmi, per ucciderlo, e quando lo trova : non t’incomodare – gli dice il Selmi – vedi? Ho fatto da me – intendendo manifestargli di essersi già avvelenato. Infatti poco dopo muore.
CAP. V. — Due giorni dopo questi fatti, arriva a Girgenti, inatteso e funebre, l’On. Capolino.
Dianella, già pazza per la tragica morte di Aurelio Costa, accompagnata da Mauro Mortara e seguita dal Flaminio e da Antonio del Re, rientra pure a Girgenti, seguita da Lando Lamentano che si era messo in viaggio per recarsi a Palermo per le imminenti decisioni dei Fasci Socialisti. Mauro Mortara, appena liberatosi da Dianella, corre in casa di D. Caterina, ove trova Antonio Del Re ancora fra le braccia della madre e Giulio Auriti, trattenuto dallo stato grave della moribonda madre. Quando è introdotto nella camera della morente e la chiama forte per scuoterla con la sua voce, la nobile donna muore.
CAP. VI. — Per donna Adelaide e don Ippolito era cominciato, fin dalla prima sera ch’erano rimasti soli alla Colimbetra, un vero supplizio. Fortuna che, pochi giorni dopo, si era presentato alla villa D. Salesio Marullo (D. Salesio Marioli, prò zio materno dello scrittore), che, sin dal primo giorno, diviene cavaliere di compagnia di donna Adelaide. La notizia dell’eccidio di Aragona e dei torbidi contro il governo giunge alla Colimbetra con gli effetti di uno scoppio di fulmine e così pure quella della morte di D. Caterina portata da Mons. Montuoro, sceso alla villa in visita di condoglianza. L’On. Capolino, chiamato dal Principe Laurentano, scende alla Colimbètra col proposito di vendicarsi del Salvo, che a suo tempo gli viveva negato la mano di donna Adelaide, sua sorella, diniego che era stato la causa di tutte quelle amarezze, e concepisce l’ idea di una fuga con donna Adelaide, la quale, già stanca del marito, si decide a fare lo sproposito. La scena dell’accordo si chiude con la comica morte di D. Salesio Marullo.
CAP. VII. — Nella sala del palazzo Vescovile, intanto, Mons. Montuoro legge e commenta ai Canonici la sua pastorale, scritta per quegli avvenimenti Frattanto sopraggiunge il Segretario del Vescovo che viene a comunicargli il proclamato stato di assedio E il disarmo. Il Vescovo corre alla Colimbetra e non può credere tra quelli che egli aveva chiamati pazzi era il figliuolo del Principe Landò Laurentano. Lo stato d’assedio col conseguente disarmo, mette in esasperante preoccupazione i De Vincentis a causa di un fucilaccio antico che tengono in casa, ma che non hanno a chi consegnare. Frattanto Jaco Pàcia (un usuraio d’identificazione
riservata), l’amministratore dei De Vincentis, comunica guai piu grossi: le difficoltà per ritrovare gli incartamenti delle terre di Milione e l’ostinazione di Don Flaminio Salvo che non vuole pagare le spese dell’atto di compra del detto fondo, trattandosi di un gran favore e li incoraggia a vendere, essendo il Ninì entrato nelle buone grazie del Salvo, il quale era disposto a dargli ormai in isposa Dianclla, e promette di occuparsi lui dello sgombro del fucilaccio.
Cap. VIII. — Mauro Mortara, dopo la visita a donna Caterina rientra a testa bassa alla Valsania. Invano Don Cosino (Prof. Vincenzo Ricci Gramitto, zio dell’autore e, nel romanzo, fratello del Principe Lamentano) per circa una settimana cerca di scuoterlo e di farlo parlare. Intanto Don Cosmo apprende la fuga, avvenuta quella notte, di D. Adelaide con l’ On. Capolino. All’improvviso, mentre D. Cosmo e Mauro finivano di cenare, i fautori della rivolta, capeggiati da Lindo Laurentano, giungono alla Valsania per pigliare il volo per Malta. Mauro Mortara, snidato da quelle quattro canaglie, dopo quegli avvenimenti, non poteva più vedersi in quei luoghi tanto amati e testimoni della sua passata esaltazione patriottica. Così vecchio, con i suoi compagni d’ armi vorrebbe ritornare a combattere contro i nemici della patria, e a tal fine si avvia a Girgent. Verso le tre del mattino si trova presso gadetta del val Sullano (= Quadrivio) e si accoda a due compagnie di soldati che accorrevano d’urgenza a Favara per sedarvi i rivoltosi. Anche lui vorrebbe far qualcosa, ma l’ illuso garibaldino, nel subbuglio scoppiato a Favara, vi lascia la vita.
Come è vero che I vecchi e i giovani sono il “centro ideale dell’attività artistica del Pirandello”, “il polo attorno a cui si aggira la sua produzione poetica, narrativa, drammatica” (l) è altresì vero che questo romanzo è storico, in quanto il Pirandello nel descrivere gli avvenimenti di un periodo storico della Girgenti dell’Ottocento (l892-1894), riesce con magistero d’arte a rappresentare lo storico dramma di quell’età, mescolando fatti veri con circostanze immaginarie, vestendo fatti d’invenzione con circostanze storiche.
Storicistico si potrebbe dire in questo senso il romanzo se si volesse considerare la storia come una realtà che va da sé, ciò che in sé ha i suoi compensi e le sue giustificazioni., Ciò che è, bene è.
Il trascendere o il pretendere di trascendere le leggi e gli influssi della storia : distacco dalla storia, futuro senza passato, non è storico.
Ma anche senza volerlo, noi siamo dentro la storia, perchè di storia è permeato tutto il romanzo: dal paesaggio allo ambiente, agli avvenimenti che il Pirandello descrive con rara efficacia rappresentativa .
Storici sono alcuni episodi : le elezioni politiche del 1892, il duello, il manifesto dei Fasci socialisti del 3 gennaio 1894. la pastorale del Vescovo; storico lo scandaloso fallimento della Banca romana e storici ancora sono alcuni personaggi : Luca Lizio, Nini De Vincentis. Mauro Mortara, Roberto Auriti, Francesco D’Atri, il Vescovo Montuoro. il Can. Pompeo Agrò. D. Cosmo e D. Caterina Laurentano, Antonio Del Re, Corrado Selmi.
Non a caso il Croce nel giudicare I vecchi e i giovani dà all’opera una valutazione storica e politica: ma già Rosso Di San Secondo aveva attribuito al romanzo valore storico, considerandolo la sintesi rappresentativa dei “caratteri disperati degli anni che si aggirano su per giù dagli scandali della Banca romana ai cosidetti Fasci socialisti (l).
Niente di più astratto nel considerare I vecchi e i giovani “ romanzo storico soltanto nel senso che il narratore non ha documentalo una cronaca, ma risolto lo vicenda umano in un rapporto di causalità dipendenza e continuità (I).