Il territorio di Agrigento è molto vasto: comincia già alle soglie di Porto Empedocle, si estende sino a lambire Cattolica Eraclea e raggiunge le pendici del monte su cui è posta, in invidiabile posizione, Naro nonché le terre desolate che separano Palma di Montechiaro dal capoluogo.
Già venendo da Porto Empedocle dopo aver lasciato il ripido pendio, e, una volta raggiunta la pianura si presenta al viaggiatore la prima borgata della città: Villaseta.
Ma lasciamo parlare Pirandello il quale, ne i “Vecchi e i giovani”, cosi la descrive:
« Era già in vista della Seta, casale d’una cinquantina d’abituri allineati sullo stradone, fondachi e taverne per carrettieri, la maggior parte, da cui esalava un tanfo acuto e acre di mosto, un tepor grasso di letame, e botteghe di maniscalchi, di mugnai, di carrai, con una stamberguccia in mezzo, ridotta a chiesuola per le funzioni sacre della domenica ».
Da allora Villaseta non si può dire gran che cambiata: il tempo trascorso, quasi un secolo, sembra non aver lasciato traccia alcuna: si è vero che sono scomparsi i fondachi e quasi tutte le taverne dei carrettieri, è vero che la stamberguccia in cui fino al 1956 era ospitata la chiesuola, è stata di recente trasformata in una chiesetta vera e propria, grazie all’attività dinamica e provvidenziale del giovane parroco, ma tutto sembra mancare: dalle strade interne alle fognature, alla illuminazione pubblica, veramente preistorica; sicché la borgata costituisce un tremendo biglietto da visita e di benvenuto degli agrigentini al turisti e ai forestieri che provengono dalla statale che congiunge il capoluogo agrigentino agli altri centri turistici di Trapani, Selinunte e Sciacca.
Ma a due passi, ancora altri problemi; un edificio imponente e mozzo che fa una miserabile mostra di sé, aggrappato disperatamente sé, aggrappato disperatamente ad una collina: scheletro, che va sempre più deteriorandosi, di un edificio a carattere sanitario che è rimasto incompiuto, quando, quindici anni fa, finirono i fondi o l’impresa fallì, (la storia vera è un mistero!)
A stretto contatto con Villaseta sta sorgendo ora un moderno quartiere che forse è destinato a far da ponte tra la parte occidentale della città e la sua borgata: sta a vedere quando verrà completato e con quanto entusiasmo ci andranno ad abitare quei fortunati che si vedranno assegnata laggiù la loro casa.
Sulla parte sud della piccola borgata, sorge una contrada dal nome misterioso e pieno di fascino: il Caos.
Qui è la casa di Pirandello ricostruita dopo la fine della guerra ed una strada nuova la congiunge con la statale: qui c’è un piccolo parco che è destinato ad allargarsi dopo la recente contrastata decisione del demanio regionale di acquistare degli appezzamenti di terreno vicini; qui è la tomba dell’Agrigentino all’ombra del pino solitario il quale, purtroppo, si avvia a morte lenta; qui è un piccolo conteso museo di cimeli a cui vi può guidare un custode assunto nel 1956 dal Comune di Agrigento e che, dopo circa dieci anni, continua a ricevere lo stesso modesto salario forfettario di allora; qui comunque, alita l’anima li Luigi Pirandello in uno scenario aspro e
Affascinante che lo Scrittore ha fermato più volte nelle sue pagine.
Vediamone lo squarcio paesistico tratto dalla novella «Lo scialle nero»:
«Si apriva di là la magnifica vista della spiaggia sottostante all’altipiano, fino al mare laggiù. Vi si recò i primi giorni accompagnata, al solito, da Gerlando e da Gesa poi senza Gerlando, infine sola.
Seduta su un masso, all’ombra di un ulivo centenario, guardava tutta la riviera lontana che s’incurvava appena, a lievi lunate, a lievi seni, frastagliandosi sul mare che cangiava secondo lo spirare dei venti; vedeva il sole ora come un disco di fuoco affogarsi lentamente tra le brume muffose sedenti sul mare tutto grigio, a ponente, ora calare in trionfo su le onde infiammate tra una pompa meravigliosa di nuvole accese, vedeva nell’umido cielo crepuscolare sgorgar liquida e calma la luce di Giove, avviarsi appena la luna diafana e lieve: beveva con gli occhi la mesta dolcezza della sera imminente e respirava, beata, sentendosi penetrare fino in fondo all’anima il fresco, la quiete, come un confronto sovrumano».
Questo è il luogo veramente da valorizzare da parte della Fondazione Pirandelliana specie in vista delle celebrazioni dei 1967: battersi per una sollecita definizione della pratica del Parco, per la creazione di un teatro all’aperto e per l’arricchimento dei cimeli che suscitano l’immenso interesse dei visitatori che oggi affollano, in commovente pellegrinaggio. il luogo dove il Maestro nacque.
Enzo Lauretta, anno 1966