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Pirandello e la Casa al Caos

23 Agosto 2016 //  by Elio Di Bella

pino di pirandello

Come non sentirsi stregati dalla terra e dal mare di Sicilia?

Gli aromi tutti, provenienti dai lidi salati dei litorali e dai mille arbusti che allignano sui pendii, si accumulano, si concentrano e, così fusi, si lasciano trasportare come  una lieve nuvola che inebria i pensieri, e invita a sognare. Ricordate Kaos, il poeticissimo film dei fratelli Taviani, che offre e svela per immagini di rara bellezza e intensità alcune novelle di Pirandello? In particolare, ho in mente le scene che rimandano ai suoi struggenti Colloqui con i personaggi, quelle con i bimbi che scendono balzellando da una montagna polverosa di bianchissima pomice e si immergono tra le onde in una tavolozza di colori che varia tra il bianco accecante, il verde smeraldo, il blu oltremare.

La scena, accompagnata da una colonna musicale sulle note di Mozart, potrebbe apparire gioiosa, serena, e invece non manca di mettere in luce una profonda ferita che sprigiona dolore e malinconia. Quei bimbi stanno andando per mare a trovare il loro padre condannato al confino. E il Colloquio con la madre morta? Rivedo la sequenza del ritorno a casa del grande drammaturgo, ormai famoso: la casa è spaziosa, immersa tra gli aranceti. Il vento soffia e sbatte le persiane appena accostate. La stanza, prima in penombra, si schiarisce, e Pirandello vede, o crede di vedere, seduta e ripiegata su se stessa sua madre.

“Ma come mamma? Tu qui? … Curva, tutta ripiegata su se stessa per schermire gli spasimi interni con le pugna sui ginocchi e su le pugna la fronte sta qua, su quel seggiolone che le ricorda tutte le cure della casa ed il tormento dei lunghi pensieri, nell’ozio forzato, i viaggi dell’anima tra le memorie lontane e il lungo soffrire ed anche, sì, le sue ultime gioie di mamma. Alla mia domanda: ma come mamma? tu qui?

Alza la fronte dai ginocchi e mi guarda con quegli occhi che hanno ancora la luce dei vent’anni, ma in un bianco, che è voluta venire per dirmi quello che non potè per la mia lontananza, prima di staccarsi dalla vita. … Solleva con pena le palpebre e atteggia il volto a un sorriso di pena, tenendosi sul grembo le povere piccole mani che tanto hanno lavorato, quasi per nascondere il male… La vita, figlio, tu lo sai: noi la diamo ai figli perché la vivano loro e ci contentiamo se qualche cosa ancora di riflesso ne venga a noi; ma non ci sembra più nostra. …”

Il colloquio prosegue, dolce e triste, ma dignitoso e senza lamento, tra il figlio e il fantasma della madre: è il racconto di un ritorno a casa, uno dei tanti ritorni, ora nella casa avita, ora in città, ora in un altro luogo dove, comunque, il drammaturgo avrebbe potuto trovare qualche frammento di vissuto, qualcosa che ancora lo avrebbe legato a una persona, a un oggetto, a un’esperienza incancellabile.

Qualche anno fa, trovandomi in Sicilia, ad Agrigento, mi  venne il desiderio di conoscere la casa nella quale Pirandello era nato. 

Ed è così che ho scoperto il Caos, lembo di terra distesa tra l’antica Girgenti e la marina di Porto Empedocle. Strano nome, Caos, dato a una località: mescolanza di tutte le cose, accostate tra loro senza una comprensibile logica. È qui che Pirandello ritorna, a rimanervi per sempre, privo di vita, polvere combusta racchiusa in un’urna greca, murata in una rozza pietra, all’ombra del pino marittimo svettante con la chioma a ombrello sulla campagna. pirandello5

Alla sorella Annetta, il giovane Luigi aveva scritto da Bonn nel 1889: “Salutamela, codesta mia terra natale, nel cui grembo, quando che sarà, vorrò riposare per sempre, senza un nome che mi rammenti su un sasso agli uomini, i quali forse un giorno potrebbero venire a disturbarmi”.

È tra le mura di questa casa, e nei sentieri circostanti, che si era formata in nuce, fin dalla fanciullezza, la visione del mondo pirandelliana. Su una lapide, all’ingresso, si legge: “ 28 giugno 1867. Una notte di giugno/ caddi come una lucciola/ sotto un pino solitario/ in una campagna/ d’olivi saraceni/ affacciata agli orli/ d’un altipiano/ d’argille azzurre/ sul mare africano”.

Nelle stanze della casa, tra gli arredi di famiglia, i souvenir, i fogli dattiloscritti messi sotto teca, le locandine alle pareti reclamizzanti le opere teatrali del romanziere e drammaturgo, che restituiscono tutto intero il sapore di un’epoca, ecco incorniciato sotto vetro un sonetto che svela stati d’animo, intimi pensieri ed emozioni di Pirandello in rapporto ai luoghi che gli hanno fatto da dimora:

RITORNO

Casa romita in mezzo a la natìa

 campagna, aerea qui, sull’altipiano

d’azzurre argille, a cui sommesso invia

fervor di spume il mare aspro africano,

 

te sempre vedo, sempre, da lontano,

se penso al punto in cui la vita mia

s’aprì piccola al mondo immenso e vano:

da qui – dico – da qui presi la via.

 

Da questo sentieruolo fra gli olivi,

di mentastro, di salvie profumato,

m’incamminai pe’l mondo ignaro e franco.

 

E tanto e tanto o fiorellini schivi

Tra l’erma siepe, tanto ho camminato

Per ricondurmi a voi deluso e stanco.

 

Pirandello sente prossima la fine. Stende allora su un foglio le sue ultime volontà. Soprattutto egli vuole che la sua morte sia un ritorno a casa, per sempre, nella campagna del Caos, dove era nato:

MIE ULTIME VOLONTA’

 

“Sia lasciata passare in silenzio/ la mia morte./ Agli amici, ai nemici preghiera,/ nonché di parlarne sui giornali,/ ma, non farne pur cenno./ Né annunzi, né partecipazioni.

Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga,/ nudo,/ in un lenzuolo. E niente fiori/ sul letto e nessun cero acceso.

Carro d’infima classe, quello dei/ poveri. Nudo./ E nessuno m’accompagni, né parenti/ né amici./ Il carro, il cavallo, il cocchiere e/ basta.

Bruciatemi. E il mio corpo, appena/ arso, sia lasciato disperdere, perché/ niente, neppure la cenere, vorrei/ avanzasse di me. Ma se questo non/ si può fare, sia l’urna cineraria/ portata in Sicilia e murata in qualche/ rozza pietra nella campagna di Girgenti/ dove nacqui.”

                                                                                                                                                                 ( Luigi Pirandello )

fonte

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento racconta

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