
“Addio, Sicilia; addio, Valsanìa; Girgenti che si vede da lontano, lassù, alta; addio, campane di San Gerlando, di cui nel silenzio della campagna m’arrivava il ronzìo; addio, alberi che conoscevo a uno a uno… Voi non vi potete immaginare, come da lontano vi s’avvistino le cose care che lasciate e vi afferrino e vi strappino l’anima!
Io vedevo certi luoghi, qua, di Valsanìa, proprio come se vi fossi; meglio, anzi; notavo certe cose, che prima non avevo mai notato; come tremavano i fili d’erba alla brezza grecalina, un sasso caduto dal murello, un albero un po’ storto a pendìo, che si sarebbe potuto raddrizzare, e di cui potevo contare le foglie, a una a una… Basta!”.
Prendiamo spunto da questa struggente pagina de “I vecchi e i Giovani” di Luigi Pirandello per sottolineare il profondo legame del premio Nobel di Agrigento con la sua terra.
Per Pirandello quei luoghi e quei particolari della sua città natale, non sono “visti da lontano” – in questa pagina e nella sua vita – solo geograficamente (spesso Pirandello è rimasto a lungo a Palermo, a Bonn, a Roma e in giro per il mondo), ma anche nel tempo.