Luigi Pirandello negli anni giovanili, ancora studente, svolge il suo tirocinio commerciale presso l’azienda paterna il Banco Stefano Pirandello & C., uno dei più grossi depositi di zolfo del Molo di Girgenti, pesando i pani di zolfo prima che questo venisse imbarcato sulle spigonare e quindi sulle navi.
Viene così a contatto con la realtà abbastanza misera degli uomini di mare, dei carrettieri, dei mozzi delle spigonare, dei giovani di magazzino, dei pesatori e degli scaricatori, sentendone quasi vergogna, lui così pigro e sfaccendato ad andare per via, dove s’urta, si muove, si rincorre un popolo di lavoratori impolverati, abbruttiti dal sole, sudati e sudati…
Ha altresì modo di conoscere direttamente tutte le difficoltà della vita del mondo delle miniere, le quali risultano essere generalmente prive dei necessari mezzi di protezione per la sicurezza dei minatori, perchè quasi sempre affidate nella gestione alla improvvisazione di proprietari, gabelloti, capi mastri, partitanti e commercianti, interessati tutti in certa proporzione all’estrazione dello zolfo. La limitata durata delle gabelle e l’avidità di guadagno non invogliavano, infatti, ad effettuare quegli investimenti di capitali che, ammodernando i processi di sfruttamento, potessero nello stesso tempo migliorare la produzione e garantire la sicurezza dei lavoratori.
Luigi rinuncia consapevolmente e con grande determinazione a un futuro nel commercio dello zolfo a cui il padre avventuroso e accorto mercante lo ha destinato.
Scrive, infatti, in una lettera al padre: io non avrei più pensato non solo all’Arte, ma neanche agli studi che avevo incominciato all’Università; che me ne sarei venuto a Porto Empedocle, presso Te, per darmi tutto al commercio, e che avrei sposato come prima guadagnavo tanto da poter mettere casa… E me ne venni ricordi?, a Porto Empedocle, e ti esternai il desiderio di mutare indirizzo di vita…
Questo avveniva nell’estate del 1887… l’Arte mi sorrideva di più, con la passione nel riso, e l’anima come atterrita dalla bionda crudezza di quel zolfo di cui Tu la mattina m’insegnavi il nome e la qualità,… Cominciai a lottare per sottrarmi all’Arte, … ma rimasi vinto. Il commercio non era per me; io non potevo rinunziare all’Arte – meglio alla vita!
Tuttavia, le suggestioni legate a questa esperienza non cessarono mai di agire sulla sua stessa conce zione della vita, fornendogli alcune costanti tematiche per l’elaborazione di numerose sue opere narrative.
Luigi sa che l’agiatezza in cui visse da giovane e la successiva situazione di disagio hanno relazione con lo zolfo.
La vicenda non tanto misteriosa della produzione dello zolfo Pirandello la esplora e la descrive minuziosamente fin dall’inizio permeata e illuminata sempre dal suo sentimento di umana pietà. Comincia col descrivere la tipologia del terreno nel quale lo si rinviene, che si presenta marnoso; ecco che le creste in cima, di calcare siliceo e, a volte più in giù, il briscale degli affioramenti lo davano a vedere.
Quando gli indizi esterni sembrano indicare la sua presenza si fanno i lavori di ricerca del minerale, con i rilievi, l’assaggio fino ad arrivare alle cave, ai posti a zolfo, alla galleria a scala, o alle buche, profonde fino a duecento, a trecento metri.
Trovato lo zolfo si inizia la coltivazione della zolfara secondo particolari metodi di lavorazione ad archi o a colonne, o a pasture; si costruiscono le gallerie per la ventilazione, i pozzi per l’estrazione e l’eduzione delle acque, gli acquedotti e le macchine per la eduzione delle acque sotterranee e le pompe.
… Tutt’ora mi par di sentire ripercossi nel mio cervello quei colpi uguali cavernosi misurati delle pompe, come i lenti battiti di cuore nel rantolo affannoso dell’agonia.
A colpi di piccone e piccozze, e per le rocce più dure, con l’impiego delle mine, i picconieri estraggono il minerale nei varii posti a zolfo, sottoterra, … gente che si affannava.., a scavare, a scavare… sepolti laggiù, a cui non importava che su fosse giorno o notte, poiché notte era sempre per loro.
Gli sterri del metalloide estratto si portano in superfice meccanicamente, mediante l’uso del piano inclinato, oppure a spalla dai carusi, poveri ragazzi oppressi, schiacciati da un carico superiore alle loro forze, su e giù per le gallerie e le scale della buca… esposti continuamente alla morte, giorno e notte nel modo più brutale, fino a stillar l’anima in sudore per un tozzo di pane… sottoterra il crudo tenebrore della zolfara a malapena veniva rotto dalle lucerne e dalle lumierine ad olio, collocate nella rimboccatura del sacco su la fronte del minatore.
Il minerale allo stato grezzo viene separato dalla sua ganga con la fusione nei forni o calcheroni, dai calcheronai e dagli orditori e poi fatto colare dentro ai giornelli che servivan da forme. Ma, il fumo prodotto dalla fusione è devastatore, s’aggrappava alla gola, fino a promuovere gli spasimi più crudeli e le rabbie dell’asfissia. Anche il paesaggio ne è sconvolto, le coste aride, livide di tufi arsicci non avevano più da tempo un filo d’erba, sforacchiate dalle zolfare come da tanti enormi formicai e bruciate tutte dal fumo. Lo zolfo prodotto, solidificato in balate, tocchi, tocchetti, ecc. viene trasportato fino ai porti d’imbarco per l’esportazione dai carrettieri… direttamente, dalle zolfare vicine con i carri, senza molle, ferrati, traballanti sul brecciale fradicio dello stradone polveroso popolato di magri asinelli bardati, che arrivavano a frotte, anch’essi con due pani di zolfo a contrappeso, o tramite ferrovia con i vagoni Lo zolfo abbassato fino ai porti d’imbarco viene accatastato lungo la riva, sulla quale si allineava la maggior parte dei magazzini all’aperto.
Sotto alle calaste s impiantavano le stadere, sulle quali lo zolfo era pesato e quindi caricato sulle spalle degli uomini di mare protette da un sacco commesso alla fronte. Scalzi, in calzoni di tela, gli uomini di mare recavano il carico alle spigonare, immergendosi nell’acqua fino all’anca, e le spigonare, appena cariche, sciolta la vela,andavano a scaricar lo zolfo nei vapori mercantili ancorati nel porto o fuori.
Il percorso del giallo minerale che risplende come oro sulle cupe spiaggie Pirandello lo conclude con un’amara considerazione:
Sono stato anch’io nelle zolfare; ho studiato attentamente le condizioni dell’industria zolfifera, le ragioni complesse della sua crisi; e vi so dire che, se nelle condizioni presenti quelli che hanno men da sperar sono i solfaraj, picconieri e carusi non meno tristi sono però le sorti dei coltivatori delle miniere e dei proprietarii;
Chi erano, infatti, per la maggior parte i produttori di zolfo? Poveri diavoli, senza il becco d’un quattrino, costretti a procacciarsi i mezzi, per coltivar la zolfara presa in affitto, dai mercanti di zolfo delle marine, che li assoggettavano ad altre usure, ad altre soperchierie… l’ignoranza degli usi a cui quel minerale era destinato e dei profitti che se ne potevano ricavare, il difetto di grossi capitali, il bisogno o l’avidità di un pronto guadagno, erano cagione che quella ricchezza del suolo, che avrebbe dovuto esser ricchezza degli abitanti, se n ’ andasse giorno per giorno ingojata dalle stive dei vapori mercantili inglesi, americani, tedeschi e francesi, lasciando tutti coloro che vivevano di quell’industria e di quel commercio con le ossa rotte dalla fatica, la tasca vuota e gli animi inveleniti dalla guerra insidiosa e feroce, con cui si eran conteso il misero prezzo o lo scotto o il nolo della merce da loro stessi rinvilita….
Guerra, dunque, odio, fame, miseria per tutti.