Pasquale Panvini è stato il più celebre studioso siciliano del colera morbus, un luminare nel suo ramo
PANVINI Ab. Cav. PASQUALE
Poichè abbiam preso il non facile in pegno di ragionar di que dotti che con vennero al VII congresso, ci è caro parlar di un uomo, che dalla pubblica opinione è tenuto in somma onoranza, perchè ha consacrata la sua vita al conforto della umanità e al progresso della scienza. E questi l’abate Cav. Pasquale Panvini.
Nacque egli in Santa Caterina di Sicilia ai 17 maggio 1786 da Filippo e Domenica Gallina. Giovanissimo diede si interamente agli studi, che confortano la mente, ed il cuore, ed avviano a compiuta sapienza. Per l’indole modesta, per i savi esemplari che trae va dai suoi onesti parenti, e per lo stimolo di emulazione, che davagli la memoria di quel suo celebre antenato onofrio Panvini, lodatissimo autore di opere classiche, del quale fanno meritato encomio il Sigonio e il Maffei, pervenne a tale che fu diletto a professori, ai conoscenti carissimo.
Nei pubblici esperimenti, e nelle dispute delle scuole fu sempre il primo. Si fece egli distinguere per ingegno non comune e per memoria fe race. Avea quattordici anni quando di propria elezione vestì l’abito clericale, e fu ricevuto alunno nel Seminario di Girgenti.
Ivi apprese le filosofiche, e teologiche istituzioni dando opera in pari tempo alle matematiche, alla giurisprudenza canonica, al diritto di natura e delle genti. Diede pruova delle durate fatiche in una pubblica disserta zione intorno alla spiritualità dell’ani ma, accolta con plauso universale, e riguardata come il primo saggio di una mente che sà elevarsi dalla sfera delle intelligenze comuni. Fatto suddiacono nel 1806 tornò in patria, ove per rendersi utile ai suoi concittadini prese ad insegnar filosofia e matematica. Lo seguiva in quel modesto ritiro l’amicizia, e la stima dei suoi compagni, fra i quali ci basta nominare il Comm. Benintende Consultore di Stato, l’abate Giuseppe Scavone, i vescovi di Girgenti e di Monopoli Lo Jacono e Giamporcaro, sapienti in ogni genere di scienze.
Immolava la prima volta nel 1809 l’ostia incruenta, e poiché conobbe che il sacerdote è un apostolo nella società, scrisse e recitò diverse orazioni panegiriche che lo fecero distinguere per la purità di dettato e per quella e mozione, che non si acquista che dal lo studio profondo della bibbia e dei santi padri. Pensò trasferirsi in Palermo per attendere con maggior agio e con minori distrazioni a preparare un quaresimale. Chiuso nel silenzio della sceltissima biblioteca, che i PP. Della Compagnia di Gesù offrivano al giova ne sacerdote, studiò un anno intero, e venne al termine dell’ apostolico suo lavoro.
La Provvidenza però che destinava quest’uomo a correre per altre vie, gli si palesò per mezzo di una scia gura preparatagli dalla malignità de gli emuli. I suoi scritti, frutto d’immense fatiche gli vennero improvvisamente involati. Pianse, si afflisse, ma infine rassegnandosi alla sventura, scuorato di rifare il suo lavoro, cambiò di repente scopo, nei mezzi solo, non già nel fine di esser utile all’umanità.
Era in quei tempi nella università di Palermo professore di patologia generale Domenico Greco. Al magisterodi questo insigne cattedratico, che gli stranieri chiamarono Demostene per la parola, Boerhave per la scienza, affida vasi l’abate Panvini.
Avea egli aperto l’animo suo a quell’uomo egregio che lo accolse, e lo confortò a correre quella strada, che dovea quindi fruttargli onorificenze, e fortune. S’in tesero le anime loro, ed era una bella gara fra maestro, e discepolo: l’uno nell’accordare protezione, insegnamento e assistenza, l’altro nel corrispondere a quelle cure con una applicazione profonda, e indefessa.
Compiuto il corso degli studi medici ebbe la laurea dalla università Palermitana l’anno 1812. E questa, che per molti è riposo, invitò il Panvini ad uno studio doppiamente laborioso. Egli avvalorava le teorie con la pratica, e per togliersi alla mediocrità non rifuggì scrutare i segreti della natura vivente. Entra allora in pubbliche discussioni patologiche, addestra l’occhio nelle cliniche sale, va col coltello anatomico esaminando quella tela organica che svela il prodigio della vitalità, e così acqui sta credito e nome. Avea già nel 1811 esordito con una dissertazione, che a
voto unanime fu coronata dall’Accademia medico-chirurgica di Palermo. Il dott. Bettoni lo dichiarò sostituto nel suo studio di medicina pratica, e sostituto nella Cattedra di chimica lo nominò l’illustre siciliano Giovanni Meli, filosofo profondo e poeta celebratissimo. Invitato in Napoli l’anno 1815 dal le generose offerte del Maresciallo Cancellieri, e di molti Principi, vi si condusse e divenne caro a Cotugno, Amantea, Sementini, Santoro ecc. Datosi a
tutt’ uomo all’esercizio della professione salutare acquistò fama di valoroso, e questa voce non dubbia corse per tutta Italia, e si ebbe numerosi diplomi accademici, inviti onorevoli, sino ad ottenergli che il Duca di Modena lo chiamasse nel 1832 a suo Archiatro, e direttore dell’ospedale; lusinghiero ufficio, al quale generosamente rinunciava, perchè onorato da un comando del Re delle due Sicilie, che a proposta del suo augusto germano il conte di Siracusa Luogotenente generale della Sicilia lo inviava a Parigi e a Londra per istudiarvi i tremendi effetti del Cholera morbo per bene della patria.
In Parigi poichè esaminò la natura di quel morbo, e fece gli studi e le osservazioni opportune pubblicò una memo ria col titolo. Riflessioni mediche sul Cholera che fu accolta con plauso dall’Accademia di medicina. Tornato fra noi diede in luce assennatissime osservazioni col titolo. Cholera morbus, suo carattere essenziale, sua sede nell’animale economia, sua indole, e metodo curativo. L’egregio prof. Bartoli ne fece un brillante rapporto all’Accademia Medica Palermitana.
Ne parlarono con elogio vari giornali, fra i quali il Dagherrotipo anno 1 n. 27. Venne spedito quell’anno stesso in Sicilia ad arrestarvi i progressi di una orrenda febbre tifoidea, che mietea vittime, e vantaggiose riuscirono le sue cure. Il morbo asiatico invase più tardi le terre oltre il Faro.
Vi fu spedito di nuovo il Panvini, che appartenne a tutte le commissioni sanitarie, fu creato Ispettor generale degli ospedali, e giovò immensamente nel disastri di quell’ orribile flagello. Ma la sua terra natale era quella, che stavagli più a cuore: erano scarsi gli ajuti, era manifesto il pericolo dei suoi fratelli. Sensibile al pubblico dolore, commosso alle voci supplichevoli dei concittadini, implorò dal Governo di esser trasferito colà per servire gratuitamente la Patria sua.
Una ministeriale onorevolissima in data dei 2 giugno 1827 partecipavagli che era accolta ed ammirata la sua nobile offerta. Senza por tempo in mezzo volò fra i suoi, portando seco anche i farmaci salutari e tutti i soccorsi atti a
debellare quel flagello. Fece mostra il Cav. Panvini di prudenza, di zelo, di umanità, di coraggio e sempre con pro speri risultati. Grata a tanti benefici la patria con reale approvazione ad eterna memoria del fatto facea coniare nella zecca di Napoli una medaglia che presenta da un lato il ritratto dell’illustre concittadino con la leggenda. La patria grata all’Abate Cav. Pasquale Panvini e dall’altro un onorevole epigrafe, che ricorda come pel suo sapere fu nella terra di S. Caterina spento in pochi giorni il Cholera. Il monarca delle due Sicilie, volendo premiare gli utili servigi da esso resi alla società, gli accorda va una pensione in segno di soddisfazione reale.
I limiti, che ci sono imposti dalla natura del nostro lavoro ci costringono ad ommettere molte cose, che tornerebbero a grande onore di questo cultore delle salutari scienze, ove non parlassero abbastanza le opere, ch’egli fece di universale diritto e delle quali sarebbe lungo tessere il catalogo. Diremo solo di alcune non potendo dare esatto conto di tutte.
Nel 1813 in occasione della peste di Malta scrisse un opuscolo sui veri preservativi della peste e dei rimedi, che distruggono il contagio, che fu di poi nel 1816 ristampato per ordine del go verno napolitano. Questo scritto, che corrispose allo scopo fu giudicato dai dot ti un capolavoro di logica e di esperienza: ne parlarono con molta lode i medici i più accreditati, e i giornali del Governo. Ebbe parte alla raccolta delle Biografie dei re di Napoli pubblicate col l’erudito scrittore Nicola Morelli procuratore del re, e nella Biografia degli uomini illustri di Napoli, e Sicilia. Diede
alla luce un libro col titolo il Forestiere alle antichità di Pozzuoli, Baja, Cuma e Miseno. L’opera è adorna di 51 incisioni. Mosso dagl’infortuni del te po scrisse nel 1820 per la gioventù i ricordi di un maestro al suo allievo, che sta per entrare nella società del gran mondo. Gli amanti dell’ordine, e della pace l’encomiarono giustamente nella Enciclopedia ecclesiastica (Tom.II pag. 49) e ne vari giornali.
Questo libro offerto alla gioventù in un epoca perigliosa mostrò la bruttezza e i rischi di un sentiero, che sembrava sparso di fiori. Inventò un nuovo ed utilissimo letto fumigatorio e ne scrisse la relazione. Abbiamo ancora di lui le osservazioni sul la febbre petecchiale pubblicate nel 1817 che manifestano i dati teoretici del medico filosofo, e i tentativi del medico pratico. Fu intorno a quest’epoca, che il Cav. Panvini intraprese un viaggio in Italia e conobbe le viventi celebrità,
che conservarono a noi il palladio delle scienze, e delle lettere. L’ercole della chirurgia italiana l’immortale Antonio Scarpa, l’autore del contro stimolo, l’insigne Tomassini, e Vacca Berlingeri, e Rasori onorarono il medico Si ciliano.
Conobbe Vincenzo Monti, si strinse in amichevoli rapporti ad Ippolito Pindemonte. Esaminò nell’ospedale di Pisa una rara cancrena da lui detta bronzina, e ne pubblicò una memo ria, che trovasi inserita nella Biblioteca analitica. In questa istessa collezione vedesi riportata una memoria letta all’Istituto d’Incoraggiamento sulla radice di Ratania, ch’egli per mezzo dell’Ambasciatore di Spagna in Napoli, fece venir da quel regno, e fu il primo che la introdusse in Italia. (Vedi Cassola Corso elementare di Chimica Tom.V. Napoli 1825).
Nel 1828 diede in luce la sua Acrateologia per avvertire i giovani e i padri di famiglia sulla principale cagione, che distrugge la salute. Di quest’opera fece onorevole menzione l’Antologia di Firenze (n.° 69 ) con lungo articolo.
Nel 1824 s’introduceva fra noi il sistema dell’Hahnemann. Questa dottrina, che trovò ovunque partigiani s’ebbe in Panvini un oppositore vigoroso, e sennato. Pubblicò le sue riflessioni critiche, seguite da una lettera del Commend. Ronchi archiatro del re. Aperta nel 1829 per sovrano volere nell’o spedale della Trinità una clinica omiopatica, fu il Panvini eletto membro della commissione incaricata a farne l’esame, e pubblicò l’opera col titolo: Iquaranta giorni della clinica omiopatica.
Esquirol per incarico avuto dall’Accademia di medicina di Parigi ne pubblicò il riassunto per combattere le dottrine di Hahemman.
Molte sono le memorie scientifiche, che ha date in luce, e per mezzo dei giornali, o in opuscoli separati. Sono noti i suoi scritti su di un’argilla smetica utilissima dei contorni di s. Caterina in Sicilia-Su l’avvelenamento dei funghi-Progetto per la formazione di una compagnia di soccorso in Palermo –
Su i danni della mendicità e del modo di eliminarla-Riflessioni critiche sulle dottrine frenologiche di Gall –Se dia letteraria per prevenire gl’incomodi dei letterati- Su di una pianta indiana donata dal Panvini al r. orto botanico di Napoli – E poichè alle cognizioni mediche congiunge altissime no zoni filosofiche e teologiche diede saggio d’ingegno con altri lavori di più sublime argomento. Registriamo fra le opere di questo genere il saggio di conciliazione fra la geologia, e cosmogonia mosaica – Liete speranze sul progresso della nuova civiltà – Saggio di conciliazione della grazia efficace col libero arbitrio – Riflessioni critiche sulla ragione universale di Cousin – Su i fatti della carità cristiana comparati con quelli della filantropia e loro diversità – Riflessioni ad un protestante ec. –
Sulla necessità della educazione religiosa –
Intorno alla liquefazione del sangue di s. Gennaro ecc.
Nel VII Congresso parlò fra i medici di un progetto di rimettere la medicina sulle vie del progresso, e fra i geologi disse su certe rane, che si trovano in piccole cellette nelle cave di pietra del Comiso a 30 braccia di profondità, che mojono all’aria libera. Uomini di lettere, professori di scienze hanno offerte al Panvini le opere loro. Troviamo dedicati al suo nome da un Ministro di Stato due volumi, che si aggirano sul tema esser la Religione Cristiana Cattolica Romana uti le alla tranquillità dei popoli, alla sicurezza dei troni. Il famoso Bally medico in capo dell’Hôtel Dieu di Parigi gli dedicò la sua opera sul Cholera. Il celebre Franck tenne in gran pregio le opere del Panvini, e visitando Napoli ne faceva pubblico attestato, e godea di aver fatta la di lui conoscenza personale.
Giovandosi il nostro A. dell’amicizia dei grandi non per suo vantaggio ma per utile altrui, raccomandò tal volta ad essi chi per vicende dei tempi era scaduto da ogni fortuna, e piombato e in misera condizione, e chi era balestrato dall’invidia, e dalla calunnia. Le preghiere del distinto professore e dell’ottimo sacerdote trovando un eco nel cuordei potenti molte opere di carità si eseguirono con quello spirito cristiano, che impone di far ignorare alla destra quel lo che la mano sinistra dispensa. Si espose a gravi pericoli, soffri traversie e contradizioni immense quando la Sicilia fu invasa dal morbo asiatico.
Fra le scene di pianto e di morte, che turbarono Palermo nei tempi del cholera fu visto il Panvini aggirarsi incessantemente per la città prestando aiuto a quanti potea, dirigendo lo spedale di s. Domenico affidato alla sua cura, e visitando tutti gli altri spedali da Ispettor generale, portando ovunque le parole di conforto, e i soccorsi dell’arte agl’in fermi. Sparvero, la Dio mercè, quei giorni di lutto, e le opere del Panvini con caratteri indelebili furono scritte nell’animo della grata Palermo. In una interessantissima opera manuscritta intitolata: Memorie istoriche delle Catastrofe del Colera di Sicilia, e dei fatti accaduti pel Colera, che darà alla luce presenterà il vero quadro di quell’or renda desolazione.
Tanta dottrina, e azioni così segna late gli schiusero l’adito alle prime accademie estere e nazionali, e gli meritarono vari titoli cavallereschi e Pio IX lo ha aggregrato fra suoi Prelati di onore. Pago di una mediocre fortuna vive ora vita consacrata interamente all’ applicazione, alla solitudine e ai doveri del suo ecclesiastico ministero. E però abbellita la sua esistenza dall’affezione, dal la stima di rispettabili amici, dalla domestica tranquillità, e da una biblioteca ricca di oltre ottomila volumi dove passa i suoi giorni, senza null’altro desiderare, in amene occupazioni scientifiche e letterarie.
in Degli scienziati italiani formanti parte del VII congresso in Napoli nell’autunno del MDCCCXLV, tipografia parigina di a. lebon.1845