Antonino Arancio non è più fra noi. E’ passato, serenamente, a miglior vita, lasciando ai suoi concittadini il dolore sulle labbra: la sua morte ha lasciato di sale tutti quegli amici e semplici conoscenti che ne avevano ammirato l’amore per Agrigento, la pazienza con cui era riuscito a completare per le stampe difficili studi particolarmente
Le parole vengono difficili; le frasi più semplici si compongono stentatamente. Il timore, ben fondato, di non poter rendere su queste colonne, desolatamente fredde, per come vorremmo quel caldo amore con cui Antonino Arancio parla di Agrigento, ci impedisce di parlare.
Ho tra le mani due fra le più recenti pubblicazioni di Antonino Arancio: una di esse si apre con una breve composizione in versi, dell’Autore, che suona così: Agrigento / della Sicilia è il tesor / intercalata d’azzurro verde e d’or / posta / tra l’arte e la natura / tra la storia e la coltura / tra l’incanto e il sogno, Antonino Arancio credeva fermamente nella grandezza dell’Italia, in una epoca, non dimentichiamolo, zeppa di tanti detrattori da dozzina: « L’Italia è il più bel giardino profumato del mondo. La Sicilia è l’angolo suggestivo e pittoresco del paradiso italiano ».
Con questo amore in cuore, Antonino Arancio, ancor giovanissimo, fu preso dal fascino dei colossali monumenti che, come gemme, illuminano il più bel luogo del mondo, la Valle dei Templi. Lui non aveva maestri presso i quali studiare quelle meraviglie. Un giorno comprò un libro, poi un’altro, finché capì che non avrebbe potuto abbandonare mai più gli studi artistici. Una bella mattina conobbe il prof. Pirro Marconi che doveva divenire, di lì a qualche tempo il suo Maestro. Ma infondo Antonino Arancio fu un autodidatta che imparò gli elementi fondamentali da se, con l’aiuto della buona volontà e dell’amore per i Suoi templi, la Sua Valle, i suoi gioielli dei Musei. Partecipò attivamente agli scavi di Imera e di Gela e, raccontano i Suoi amici, quando il piccone restituiva alla luce del sole un vaso, o un piccolo coccio era felicissimo, il più felice di tutti.
Antonino Arancio era nato ad Agrigento il venticinque febbraio del lontano 1888. Aveva partecipato alla Grande Guerra ed era stato ferito. Nel ’24 era stato assunto presso la Soprintendenza alle Antichità e sette anni addietro si era ‘ritirato in pensione’: ma Egli era sempre lì, fra i suoi templi, i suoi mosaici: non si stancava di ammirarli. Si intratteneva cordialmente coi turisti e illustrava loro la storia di ogni monumento.
Parlava il tedesco, l’inglese, il francese ed il greco antico.
Per l’opera svolta in favore di Agrigento Antonio Arancio si era meritata la medaglia d’oro al merito turistico. Fra una visita e l’altra, attendeva umilmente alla stesura dei suoi volumetti, semplici ma completi e di grande utilità per chi vuole capire l’Agrigento di due mila anni addietro. Questi studi Gli procurarono anche una certa reputazione, molte pubblicazioni portano le Sue opinioni e non solo in Italia.
Adesso Egli non è più. Il buon Dio se l’è chiamato in Cielo, la Sua missione era terminata. Ma se Egli non potrà -più salire i gradini del Grande Tempio, la Sua anima di certo si librerà sempre fra la poesia di quelle meravigliose colonne. E il Suo nome vivrà ancora.
N.V.
Pubblicato in Sabato sera, settimanale, 27 febbraio 1967