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Periferie di Agrigento. Uno studio

27 Dicembre 2016 //  by Elio Di Bella

 

villaggio mosè

Teresa Cilona

Università degli Studi di Palermo

 

Agrigento, nota come la città dell’edilizia incontrollata e dell’abusivismo, considerata come una delle “teste di ponte” delle relazioni tra l’Italia, le coste africane e quelle medio orientali, si è sviluppata, purtroppo, senza seguire un disegno, una forma, un modello riconoscibile.

L’espansione della città a seguito della frana del 19 luglio 1966(che ha determinato il trasferimento degli abitanti sinistrati da Agrigento a Villaseta), è avvenuta a partire dagli anni settanta, secondo due direttrici; una a nord del centro urbano, con la nascita di quartieri periferici privi di una propria identità e attrattività, come Fontanelle, San Michele(nella zona industriale), San Giusippuzzu; l’altra verso sud­est, dal Villaggio Mosè al mare(San Leone).

I processi di urbanizzazione, frammentari e disorganici, hanno determinato l’odierno assetto urbanistico della città, o per meglio dire l’attuale “disordine urbanistico”.

Particolarmente interessante il quartiere satellite di Villaseta, sito a sud-ovest del centro di Agrigento, che per le sue caratteristiche geografiche e di risorse del territorio, è un luogo strategico per la città, nonostante si registrino fenomeni di degrado e di emarginazione sociale.

villaggio mosè agrigento

INTRODUZIONE

La città antica, compatta, circondata da mura, perfettamente definita non ammetteva sfrangiature, sviluppi poco controllati, invasioni del territorio agricolo; consentiva solo piccoli borghi semirurali extra-moenia con ruoli precisi di “tramite” tra città e campagna.

Lo sviluppo urbano, accelerato degli ultimi secoli, ha dato invece origine alle periferie, luoghi dove la città si allarga in maniera tendenzialmente casuale, inglobando i vecchi borghi e le aree agricole.

In Italia, la formazione delle prime periferie caratterizza la città post-unitaria, tardo ottocentesca, e, con la stabilità politica e la sicurezza interna del nuovo stato, si accompagna alla demolizione delle mura e delle porte medioevali e alla realizzazione delle nuove stazioni ferroviarie.

In molti casi il primo quartiere periferico è proprio quello, a carattere misto artigianale – industriale ­residenziale, che congiunge la città antica alla stazione ferroviaria.

Nei decenni successivi le periferie si allargano, sorgono nuclei residenziali popolari d’iniziativa pubblica e privata, e poi realizzazioni edilizie di ogni genere comprese quelle industriali.

Le periferie recenti (della seconda metà del XX secolo) presentano quasi sempre i connotati di spazi poco strutturati, eccessivamente dilatati e monofunzionali, spesso isolati dal contesto generale. Esiste quindi il problema del loro rimodellamento, puntando sulla creazione di una continuità urbana inesistente, tramite il miglioramento del sistema dei collegamenti e dei servizi, la trasformabilità di aree e di volumi, la creazione di un sistema del verde pubblico efficace.

Oggi la periferia è un concetto e una dimensione esistenziale molto diversa rispetto a pochi decenni fa, definita come «… “luogo-non-luogo” della contemporaneità, espressione tanto della cultura bassa che della cultura istituzionale e rappresenta attualmente il territorio privilegiato di situazioni  contraddittorie che fioriscono spontaneamente sfuggendo a piani regolatori, a controlli e alle leggi

i …»

villaseta agrigento

L’INDAGINE

A questo punto, è spontaneo domandarsi come sia possibile “sfuggire” agli strumenti urbanistici.

La risposta è data dall’assenza di questi.

Il Piano Regolatore Generale, strumento fondamentale per la sorte di un centro urbano e del suo territorio, in molti comuni siciliani è ancora un obiettivo da raggiungere.

Forse per colpa degli amministratori, forse per le lentezze causate da un macchinoso e complicato iter di approvazione (che in media richiede tra cinque e dieci anni), forse perché, spesso, bisognerebbe fare delle scelte coraggiose capaci di migliorare le città di cui nessuno si vuole assumere la responsabilità.

È questo il “caso” di Agrigento, culla di antiche civiltà, decantata e amata da storici, studiosi, letterati, definita da Pindaro come «la più bella fra le città dei mortali», ma altrettanto nota come la città dell’edilizia incontrollata e dell’abusivismo che, a causa delle lungaggini burocratiche di approvazione del Piano Regolatore, vede sempre più lontana la possibilità di riqualificare il proprio territorio.

Attualmente, lo strumento urbanistico vigente, oramai inadeguato e superato, risale al secolo scorso e precisamente al lontano 19782. Un Piano che prevedeva l’espansione della città secondo due direttrici, una a nord del centro urbano, con la nascita di quartieri satellite come Fontanelle, San Giusippuzzu e San Michele (nella zona industriale); l’altra verso sud-est, dal Villaggio Mosè al mare.

Queste previsioni e i relativi processi di urbanizzazione frammentari e disorganici hanno determinato l’odierno assetto urbanistico della città, o per meglio dire l’attuale “disordine urbanistico”.

Agrigento, considerata come una delle “teste di ponte” delle relazioni tra l’Italia, le coste africane e quelle medio orientali, si è sviluppata, purtroppo, senza seguire un disegno, una forma, un modello riconoscibile.

La città e il territorio comunale presentano molte disfunzioni, ben note anche ai non addetti ai lavori. Ne citiamo alcune: edilizia abusiva diffusa, accentuata dalle leggi di sanatoria (1985, 1994 e 2003); attrezzature e servizi insufficienti ed in alcuni casi inesistenti; centro storico in cattivo stato di conservazione; una fascia costiera occupata in buona parte dal quartiere marinaro di S. Leone (praticamente invivibile nel periodo estivo) e da alcune aree naturalistiche di grande pregio ma in precario equilibrio; uso prevalente del trasporto privato e conseguente congestione del traffico nelle strade principali; un’attività turistico ricettiva del tutto al disotto delle potenzialità dei luoghi, limitata alla sola visita giornaliera della Valle dei Templi e del museo archeologico, del tipo “mordi e fuggi”3 .

Ecco perché si attende con fiducia l’approvazione del nuovo P.R.G. da parte del C.R.U., auspicando nuove opportunità di crescita economica, sociale e culturale per l’intera comunità e indirizzi adeguati per la riqualificazione della città e del territorio.

montaperto agrigento

Si spera in un nuovo strumento urbanistico che possa: inquadrare correttamente le problematiche della stabilità del territorio e del rischio idrogeologico; ridare “senso”, “qualità”, “organicità”, “identità” all’insediamento urbano e ai quartieri satellite; determinare una organizzazione qualitativamente e quantitativamente accettabile delle attrezzature e dei servizi pubblici; valorizzare l’impareggiabile area archeologica della Valle dei Templi, riconosciuta dall’UNESCO nel 1997 patrimonio mondiale dell’umanità.

Il nuovo Piano Regolatore, redatto alla fine degli anni novanta (1997 — 2000) dal gruppo Imbesi —Politecnica è stato adottato dal C.C. e successivamente pubblicato con delibera n. 54 del 29/04/2004.

Nelle “Direttive”4 predisposte per la redazione del nuovo P.R.G., l’Amministrazione Comunale precisa quale deve essere il ruolo dello strumento urbanistico e vengono presentati i seguenti obiettivi: sviluppare le risorse economiche; razionalizzare l’attuale sistema insediativo; recuperare i parchi; ripopolare il Centro Storico unitamente allo sviluppo delle attività commerciali e artigianali; sviluppare il turismo della fascia costiera e la sua integrazione con il centro storico attraverso il Parco Archeologico; alleggerire il traffico urbano; potenziare il ruolo della città correlandolo allo sviluppo turistico ed alla creazione del polo universitario; formare un tessuto connettivo di ricucitura tra i quartieri periferici.

Tale processo di ricucitura, enunciato nelle direttive del piano, tra il centro urbano, le periferie e il parco archeologico5, è poco chiaro. Non è specificato come questo possa avvenire anche perché i quartieri satellite di Fontanelle, San Giusippuzzu, San Michele, Villaseta, Monserrato sono privi di una propria identità e attrattività; i cittadini non sono molto interessati a risiedere in quelle zone e preferiscono, invece, abitare nel versante sud-est della città, al Villaggio Mosé o San Leone.

Analizziamo nel dettaglio alcuni casi.

Il quartiere di Fontanelle, previsto e regolamentato dal Piano Regolatore Generale del 1978, nasce intorno ai primi anni ottanta e pur essendo di recente costruzione appare oggi, più di ogni altra frazione, il simbolo del quartiere dormitorio costituito prevalentemente da palazzi pluripiano. Come la maggior parte delle periferie è carente di tutti quei servizi e di tutte quelle attrezzature utili a soddisfare i bisogni e le necessità dei residenti; da qui la definizione di quartiere dormitorio.

La stessa condizione si registra nel quartiere del Villaggio Mosè, sorto come piccolo borgo a carattere semirurale destinato ad alloggi per operai zolfatai, in quanto vicino alle miniere di Ciavolotta, Lucia e Baucina, trasformato negli ultimi anni da un’edificazione residenziale incontrollata.

Il nuovo Piano Regolatore Generale, individua il Villaggio Mosè, come “città mercato” destinato ad ospitare, oltre alle funzioni direzionali pubbliche e private quelle terziarie. Scelta, quest’ultima, che lascia dei dubbi in quanto si accentua una funzione che sta già provocando da un lato, l’abbandono del centro urbano da parte di molti esercizi commerciali e dall’altro, un aumento del flusso veicolare sul quartiere stesso.

Particolare attenzione va rivolta al quartiere di Villaseta.

Villaseta è una delle periferie di Agrigento, sita a sud-ovest del centro urbano, lungo la strada 115 che ricalca l’antico tracciato viario greco Akràgas – Selinunte, che consente il collegamento con Porto Empedocle. Secondo taluni studiosi, le origini di questo borgo vanno ricercate nell’etimologia stessa del nome: “a sita”, che deriva dal greco “le biade”, e che richiama la sua antichissima vocazione rurale. Secondo altri, invece dall’arabo “sita” (sida) ovvero “signora”: così lo storico Giuseppe Picone, nel suo libro dal titolo “Memorie Storiche Agrigentine”, ci descrive Villaseta, come una contrada a due miglia  a sud-ovest di Agrigento. O ancora, pare che il nome debba ricollegarsi alla coltura, nei luoghi piuttosto intensa, del baco da seta.

I primi segni di civiltà sono testimoniati dalla presenza di tracce pre-elleniche, come le tombe a “forno” o a “camera”, proprie del culto dei morti fra le genti sicule, che indicano una frequentazione del sito fin da epoche molto remote. Scavi più regolari, effettuati a partire dagli anni Sessanta, dimostrano che resti funerari, risalenti alla fine del V sec. a.C. a Poggio Giaché, qualche chilometro più ad est di Villaseta, possano appartenere all’estremo lembo sud-occidentale della più estesa necropoli di Akragas (Pezzino) oppure, addirittura, costituire una struttura cimiteriale autonoma; e questo darebbe al luogo il carattere di pròastion, cioè di grosso borgo, come quello di Montelusa o del Villaggio Mosè. Il grande drammaturgo Luigi Pirandello, ne “I vecchi e i giovani”, racconta di Villaseta della fine del 1800, o meglio la “Seta”, così lui la chiama, come «…un casale d’una cinquantina d’abituri allineati sullo stradone, fondachi e taverne per i carrettieri, la maggior parte, da cui esalava un tanfo acuto e acre di mosto, un tepor grasso di letame, e botteghe di maniscalchi, di magnani, di carrai, con una stamberguccia in mezzo, ridotta a chiesuola per le funzioni della domenica…». Secondo le fonti storiche il primo borgo rurale nacque nel XVII secolo; ad esso si affiancò negli anni ’50, un primo nucleo di case popolari, 262 alloggi, raggruppati in 23 edifici (Legge n.33 del 1956).

A seguito dell’evento franoso del 19 luglio 1966 che distrusse alcuni quartieri del centro storico di Agrigento, l’Assemblea Regionale Siciliana stanziò, con la Legge n. 21 del 29/07/1966, un miliardo di lire come intervento straordinario per la costruzione, nella frazione di Villaseta, di 114 alloggi prefabbricati.

Lo Stato, e per esso il Ministero dei LL. PP., affrontò con impegno e celerità la vicenda dei sinistrati della frana di Agrigento. Nell’arco di otto anni si costruirono numerosi alloggi prefabbricati. Nel 1966 la popolazione agrigentina residente era di 51.370 abitanti. La richiesta di case era notevole. Furono anni molto difficili e precari a causa dei cantieri sospesi; molte le manifestazioni di protesta davanti agli uffici del Genio Civile e della Prefettura.

Intanto, un centinaio di famiglie occuparono le case popolari di Via Macello, abbandonate dagli originari inquilini in quanto ricadenti nella zona colpita dalla frana.

Va sottolineato che la frana di Agrigento produsse su scala nazionale un vero choc.

Ma anche e soprattutto effetti politici. Si discusse dentro e fuori il Parlamento animatamente, vennero varate leggi che tendevano a regolare l’uso del territorio sul piano edilizio ed urbanistico.

Gli anni Sessanta costituirono una straordinaria stagione di grandi fermenti politici.

La frana di Agrigento mise l’Italia di fronte al grande problema dello sviluppo della città, contro qualsiasi forma di sfruttamento intensivo del suolo a scopi edificatori. Agrigento era divenuta l’emblema del dissesto urbano in Italia. L’allora Ministro dei Lavori Pubblici affidò al Direttore Generale dell’Urbanistica, Michele Martuscelli, il compito di condurre un’inchiesta sulle cause della frana.

Dopo mesi di indagini, Martuscelli tracciò la storia del dissesto urbano di Agrigento.

La sua relazione fu un vero atto di accusa contro la classe dirigente locale. Si cercarono i responsabili della disastrosa attività amministrativa della città. Nel 1974 si celebrò un processo, ma tutti i numerosi imputati furono assolti. Eppure, fin dalla metà degli anni Cinquanta, la rocca su cui sorgeva il nucleo storico di Agrigento era stata circondata da un anello di “palazzoni” che si elevano con altezza fuori da ogni regola, distruggendo tra l’altro, con le fondazioni, gli ipogei acragantini.

Con la legge n. 749 del 28/09/1966, si provvedeva al trasferimento degli abitati disastrati nel nuovo quartiere di Villaseta e alla realizzazione di 310 alloggi.

Il Ministero dei Lavori Pubblici e poi l’I.S.E.S. (Istituto Sviluppo Edilizia Sociale) chiamarono diversi professionisti: A. Bonafede, R. Calandra, V. Calzolai, S. Lenci, coordinati dall’ing. Mario Ghio; e, in assenza di uno strumento urbanistico, furono edificate nuove costruzioni su 12 lotti.

In particolare circa 348 nuovi alloggi, una chiesa, un centro commerciale, 4 scuole dell’obbligo.

In un secondo tempo, a questo nucleo residenziale, si affiancarono delle attrezzature sportive di livello comprensoriale, sovradimensionate rispetto all’utenza effettiva: campi da tennis, stadio, palestra, pista di atletica leggera, piscina coperta e, su alcune aree, nuovi spazi per i Vigili del Fuoco, la Pretura ecc..

Gran parte delle attrezzature, testè citate, sono oggi mal gestite dall’amministrazione e poco utilizzate dalla collettività.

Villaseta, conta una popolazione di circa 3.3526 abitanti, ed è costituito prevalentemente da alloggi popolari con edifici in linea e a schiera. Oggi si presenta, come un quartiere privo di identità, abbandonato a se stesso, dove si registrano anche fenomeni di degrado e di emarginazione. Percorrendo le vie dell’abitato sono evidenti: l’inappropriato uso delle aree a parcheggio; sottopassaggi “discarica”; l’insufficiente qualità delle attrezzature; la mancanza di strutture ricettive; la frammentarietà delle aree a verde; l’inadeguatezza dei percorsi pedonali.

Potremmo continuare ancora, ma ci soffermiamo a questi esempi, auspicando una serie di interventi che possano recuperare e valorizzare le potenzialità di Villaseta, periferia degradata, ma non per questo, senza fascino.

CONCLUSIONI

Occorre avviare processi di riqualificazione tesi ad integrare il risanamento del costruito, la riorganizzazione dell’assetto urbanistico e il miglioramento della qualità ambientale, finanziabili con fondi regionali, con la promozione dell’occupazione, dell’iniziativa imprenditoriale locale e di azioni di contrasto all’esclusione sociale, attivabili con altre fonti finanziarie.

Bisogna coinvolgere non solo gli attori tradizionalmente attivi in simili iniziative, ossia i Comuni, gli I.A.C.P. e altri enti pubblici, i professionisti e le imprese, ma anche associazioni, cooperative, organizzazioni sindacali e, soprattutto, gruppi e individui che vivono e operano nei quartieri. Nella redazione delle proposte, pertanto, alla competenza dei tecnici è opportuno che sia affiancata la partecipazione della cittadinanza diffusa depositaria di energie, potenzialità e competenze oltre che di conoscenza dei problemi reali e quotidiani, da cui non si può prescindere se si vogliono produrre politiche rispondenti ai bisogni reali.

In un articolo pubblicato su “La Repubblica” la periferia viene definita come «… il termine che ha perso il suo valore di sostantivo per trasformarsi in un aggettivo volto a qualificare uno spazio “dove i valori della città muoiono. [ …J … l’incontro, il lavoro, lo scambio fisico. Quei valori della città che per estensione diventano urbanità, civitas. E quando mancano producono odio …Intervenire sulla periferia significa lavorare su un tessuto che è insieme fisico e sociale, mirando a garantire una qualità diffusa. Il problema, è più che altro umano, organizzativo. Le periferie sono la promessa della città del futuro. Non si tratta di “griffare un pezzo di città” ma di instaurare un processo, che è per forza di cose lento. Ecco quindi la necessità di un’azione, metaforicamente definita omeopatica, supportata da un forte concetto di fondo e operativamente da una serie di microinterventi, in grado però di innescare dei meccanismi …»7

1 Tratto da www.Exibart.com. “Suburbia – Periferie nel territorio nella mente nella comunicazione” Reggio nell’Emilia – luglio ­settembre 2004.

2 11 PRG vigente viene adottato nel 1978 (Delibera Comunale n.302/78), riceve una prima approvazione nel 1982 (D.A. n. 490/82, poi annullata con C.G.A. n. 202 del 1988); è riapprovato con modifiche, prescrizioni e stralci nel 1989 (D.A. n. 374/89), mentre una sua variante parziale (ristudio zone B) viene approvata, con prescrizioni e modifiche, nel 1993 (D.A. n. 320/93).

3 Secondo alcuni dati tratti da: “Valle dei Templi” Camera di Commercio e UNESCO – un’idea di Parco condivisa e da condividere – Periodico della Camera di Commercio di Agrigento – numero unico – novembre 2005, – nei periodi compresi tra il 1998 e il 2002 si è registrata una diminuzione del numero dei turisti.

4 Si richiama la Delibera di Consiglio Comunale n° 21 del 13 febbraio 1996 di adozione delle Direttive Generali del PRG.

5 11 Parlamento Nazionale con una legge speciale di tutela, la n. 749/66, dichiarava la Valle dei Templi “zona archeologica di interesse nazionale”; con successivi Decreti del 1968 e del 1971 si stabilivano le rispettive perimetrazioni. La zona A (di ettari 1.400), e fasce di rispetto suddivise in zone B, C, D, E. Con la Legge Regionale 37/85, viene individuato il perimetro del Parco Archeologico. A quest’ultima legge ne seguirono altre insieme a norme e decreti, sino ad arrivare alla L.R. n.20/2000 che istituisce il Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi.

6 Dati forniti dal Comune di Agrigento, settembre 2006.

7 Tratto da “La Repubblica” del 22/11/2005.

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Schubring G. (1887), Topografia storica di Agrigento Trad. dal tedesco con note aggiunte del Prof.

Guglielmo Toniazzo, Torino.

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento

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