IL POTERE E LA FOLLIA
Di Franco Bellanti
“La nuova Terra di Palma”: Nascita di una città paranoica. I Tomasi: Ascesa, declino e scomparsa di un mondo.
“E’ stato tramandato che gli antichi han no fondato le città illustri sempre in zone fertili, capaci di assicurare una alimentazione abbondante alle popolazioni, cosicché essendo queste ben nutrite, possano mantenersi unite, concordi e tranquille. I saggi non hanno trascurato di fondare le città in luoghi salubri, esposti al sole,do ve i venti e le nebbie nocive, superando a stento le montagne, possano abbattersi difficilmente sull’abitato.
Questi criteri furono seguiti fin dalla prima civiltà greca: a Talete di Mileto, per aver saputo scegliere – dietro suggerimento dell’oracolo di Delfo – i luoghi più adatti per la fondazione, fu donato dai pescatori di Mileto un tripode d’oro.
Euripide disse che la terra, resa feconda dalle piogge, abbia generato gli uomini e tutte le specie di animali. Nell’antichità vi fu un tale che trasformò il monte Athos in mura altissime per difendere la città dai venti e dai flutti del mare. Insomma,1’esemplare saggezza degli antichi ci ha insegnato che una città sfornita di terre fertili non può vivere, come non può vivere il bimbo senza il latte materno.
Così, pertanto, Don Carlo De Caro e Thomaso, Barone dell’antico Castello e dei feudi di Montechiaro e Signore di Lampedusa, avendo avuto in animo da tempo un progetto del genere, si orientò appunto verso un luogo situato nelle vicinanze dello stesso suo Ca stello, già ereditato in virtù della concessione del Serenissimo Re Alfonso per i servizi resi, ancora gloriosi nella memoria,da Giovanni De Caro il Primo(…), ed avendone avuta licenza, in questo luogo appunto riconobbe di dover costruire la nuova Terra di Palma, giacché si tratta di una contrada
fertilissima, ricca di sorgenti, accarezzata da venti placidi e sereni, i quali spirano senza alcuna violenza tra i nume rosi anfratti delle colline, serpeggiate qua e là da numerosi ruscelletti.
Il luogo si eleva alquanto come una terrazza(…), alla quale soggiace una meravigliosa pianura, vasta, circondata da dolci colline, che si estende piacevolmente per circa trenta stadi, in mezzo a terreni ubertosi e assodati, guardando sempre sul mare: un sito perciò singolarmente bel lo, dove gli occhi,ovunque si guardi, riposano su qualcosa che procura dolcezza; senza dire poi dei boschi, dove abbonda ogni specie di cacciagione, cosicché possiamo ripetere con Properzio che qui la natura pose ogni bene.”
Nella poetica traduzione riportata da Andrea Vitello(l), questa prima parte del l’ACTUS SOLEMNIS BENEDICTIONIS ET FUNDATIO NIS PRIMARIS LAPIDIS ECCLESIAE INTEMERATA VIRGINIS DEIPERE SACRATISSIMI ROSARIJ NO VE TERRE PALME, redatto dal notaio licatese Baldassare Pecorella, il 3 maggio del 1637 alla presenza dei più notabili e ragguardevoli uomini di Sicilia, con una descrizione del luogo poco reale ed alquanto di maniera, sigillava la nascita di una nuova città.
“La nuova Terra di Palma”
Nascita di una città paranoica
La paradisiaca descrizione anche a quelli che allora la redassero e la lessero dovette sembrare assurda e ridicola; non solo per il fatto che la terra in cui si doveva costruire la città non era per niente la terra nella quale “la natura po se ogni bene” – anzi, forse era tutto il contrario -, ma anche perché con ogni prò babilità conoscevano il vero motivo per il quale Carlo Tornasi firmò 1 ‘ atto di fon dazione in quella domenica del 3 maggio 1637. Che era uno soltanto: l’obbedienza ad un preciso indirizzo politico spagnolo, consistente soprattutto nel riordina mento della politica feudale, nel ripopo lamento delle campagne deserte.
Esclusivamente per queste ragioni, storiche ed insieme economiche, Filippo IV conce deva la licentia populandi con il “mero e misto imperio” a Mario Tomasi che l’aveva chie sta a nome del nipote Carlo, a cui apparteneva la Baronia di Monte chiaro, comprendente diecine di feudi fra Licata ed Agrigento e 1’omonimo Castello sopra citato.
La prima costruzione della città fu una chiesa, che oggi è quella del Monastero Benedettino, nel benedire la nascita della nuova città Don Diego La Feria tutto poteva immaginare, forse, tranne che quella sarebbe stata per più di due seco li la sede di governanti che anche nel lo ro mecenatismo,moltissimo delle cose del cielo si curarono e pochissimo delle cose terrene, cadendo nella più nevrotica delle fissazioni religiose.
E la storia di questa cittadina, così come la natura di gran parte della cultura popolare palmese ed il formarsi con esse di determinate concezioni del mondo, tuttora riscontrabili nei palmesi, sarebbe poco comprensibile se non si desse il dovuto rilievo all’efferato misticismo dei Tornasi,alla disumanità spirituale del loro atteggiamento verso il mondo.
Una monomania, quella dei Tornasi,che de finire isterica e sconcertante è un un puro eufemismo per le forme aberranti e in controllate che spesso assunse.
Scrissero la loro vita non solo col potere ma anche col sangue e la follia: e la loro paranoia, per secoli, prima che una malattia delirante in ritardo coi tempi, fu considerata il carattere preminente di chi è stato chiamato da Dio.
Il mito dei Tornasi è ancora vivo tra il popolo di Palma che da sempre li ha amati e venerati come solo si possono amare e venerare uomini potenti che per tutta la loro esistenza altro non fecero che corteggiare dannatamente la Provvidenza, tra un popolo che ha visto nel loro ir ripetibile sacrificio la salvezza e la santità di questi luoghi, la sua predestinazione, in armonia con lo spirito de gli antichi governanti.
I Tornasi furono tutto per Palma di Monte chiaro, almeno fino al la cacciata dei Borboni. Possiamo comprendere le ragioni storiche e politiche della loro presenza in questa terra; ma alla luce della sto ria trovare motivazioni che giustifichino o diano un senso alla loro visione del mondo e degli uomini è pressoché impossibile.
Eppure, i Tomasi meritano di essere ricordati: e, certo, non soltanto perché la loro vita è legata indissolubilmente a questo paese, ma anche perchè, pur sconfinando la loro “religiosità” – nel secolo del l’Illuminismo e delle grandi rivoluzioni – nel paganesimo più spietato e in una con dizione umana crudele ed avvilente,la loro storia singolare fu ad un tempo così tragicamente e straordinariamente europea.
Ascesa declino e scomparsa di un mondo.
I Tomasi venivano da lontano. Araldisti molto compiacenti e poco seri affermano che questa nobile casata derivi addirittura dall’imperatore romano Vespasiano, altri ne fanno risalire l’origine a Bisanzio. Alla stessa stirpe sarebbe appartenuto anche il famoso poeta Leopardi e lo stesso scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Continuare a parlare della vicenda dei Tornasi nel corso del Medio Evo è poco importante ai fini del nostro studio: basta solo dire che al ramo mistico dei Tornasi italiani apparterranno i Tornasi che si trasferiranno in Sicilia, e cioè i Tornasi di Lampedusa.
II fondatore di Palma di Montechiaro fu Carlo Tornasi, ma l’ispiratore fu uno zio di quest’ultimo, Mario, Capitano del Santo Uffizio dell’Inquisizione.Carlo, primo Duca della “nuova Terra di Palma”, è anche il primo di una lunga serie a rifiutare il Ducato per lasciarlo al fratello gemello Giulio, per dedicarsi a cose meno montane e più impegnative, secondo la sua filosofia; intraprese una via che con più certezza lo avrebbe sistemato stabilmente in Paradiso.(Già a 14 anni intendeva diventare cappuccino, cosa che gli fu impedita dallo zio).
Diventò teologo e filosofo, vestì a Palermo l’abito teatino, se ne andò in giro per l’Italia e si fermò infine a Roma,dove fu intimo amico di molti cardinali e di alcuni papi. Fu pure un confidente della Regina di Spagna. Scrisse, e tanto. A dispetto del Dio che lo chiamava insistentemente a sé, ebbe il tempo in due anni di governo, di iniziare l’opera di bonifica della valle di Montechiaro mediante le prime concessioni enfiteutiche. Gracile e malaticcio, la tisi portò via con sé un uomo ridotto ad uno scheletro. Il Servo di Dio fu oggetto di venerazione e molti ammalati sarebbero stati guariti da lui . Lasciò inoltre al mondo 73 opere di teologia, ascetica e morale.
La Corona di Spagna premiò invece l’opera del continuatore di Carlo, il gemello Giulio. Da Maria Anna d’Asburgo-Austria fu eletto Principe di Lampedusa. Il Duca fece un Monastero del suo palazzo, e ne costruì uno nuovo; poi fondò la Chiesa Madre detta Duomo, eresse molte altre chiese. Dicono scrupolosi biografi che egli si sia distinto in numerosi campi, come la finanza, l’agraria, l’assistenza sociale, l’educazione; cercò tra le altre cose di re dimere le prostitute che a quanto pare non dovevano scarseggiare in quel tempo insieme a ladri, assassini, fornicatori e delinquenti di ogni genere che molti ritengono i primi abitanti di Palma, portati qui da paesi limitrofi.
Dove abbia trovato il tempo per fare tutto ciò ancora oggi non è facile spiegare. Infatti non è che al Duca piacesse molto quel misero governare giorno per giorno le sue terre. Anch’egli era uno spirito mistico, e si ritirava nel sacrificio e nella meditazione nel nuovo palazzo, dove vigevano le regole dei chiostri per cui i figli cominciavano a conoscere il diavolo prima ancora di parlare. Egli stesso si castigava e pregava. Contemplava. Aveva deciso insieme con la moglie di dedicarsi soltanto a Dio, lei entrando nel Monastero, non dopo avere assicurato al marito l’erede, lui rimanendo nelle segrete stanze del suo palazzo nell’astinenza più assoluta, lavando e baciando i piedi ai poveri, martoriandosi con catene e palle di piombo, castigandosi con ogni mezzo più impensato.
Lo trovarono quando morì, con cicatrici, lividi e con tutte le ossa rotte, con piaghe che Satana stesso non avrebbe potuto fargliene di peggiori. Tra meditazioni, digiuni, preghiere, offerte alla Madonna, processioni e torture e conducendo una esistenza ascetica e miserabile il Duca Santo fu pure un protettore. (Sotto i Tornasi vissero uomini oscuri e grandi: G.B. Odierna, astronomo, fisico, matematico, una specie di scienziato del Rinascimento in ritardo coi tempi, molto conosciuto in Europa; F.E. Cangiamila, che scrisse un famoso trattato di ostetricia e si occupò anche di pedagogia,di letteratura e di giurisprudenza; D. Provenzani, se non un genio,un buon decoratore ed un pittore grande artigiano del pennello).
Suor Maria Crocifissa e la “lettera del Diavolo”.
Delle quattro figlie del Duca, una fu famosa, e passò alla storia come Suor Ma ria Crocifissa della Concezione, dichiarata Venerabile da Pio VI, in seguito a processo di Beatificazione.
Pure lei, sin da piccola, ad appena 14 anni e malata, scelse la via del cielo, rifiutando le tentazioni del mondo,quel mondo che non aveva mai conosciuto. Nel Monastero la salute della fanciulla peggiorò, in un delirio di febbre fisica e spirituale, lacerandosi lei stessa e mortificando la sua debole carne. Per le sue penitenze divenne una suora modello. La poveretta, più degli altri Toma si, fu continuamente tormentata dal Diavolo, che non volle sentirne di darle un po’ di pace nemmeno per un solo giorno;le buttava sassi e le ordinava di firmare lette re scritte da lui stesso.
Dal Monastero Benedettino si conservano ancora i resti della Beata, il famoso”sasso” e l’altrettanto celeberrima ” lettera del Diavolo”, che da tre secoli nessun grottologo è riuscito a decifrare e che secondo noi consiste in un’accozzaglia di semplici segni grafici dettati dalla malattia e da una condizione esistenziale degradante e perversa.
Suor Maria Crocifissa, al secolo Isabella Tornasi, si flagellava e cadeva in estasi; si dissanguava con bastoni di piombo e “acute rosette di rame” e sveniva, martoriava il suo corpo ogni giorno per ore ed ore: queste penitenze e il troppo amor di Dio della Beata avevano indispettito il Demonio!
Per i palmesi delle classi popolari Suor Maria Crocifissa della Concezione è la più venerata e la più invocata nei momenti di pericolo. E’, infine,la migliore intermediazione per salire con minore difficoltà al Creatore. Un’altro figlio del Duca Santo, Giuseppe, seguì la vocazione religiosa che lo por tò sulla via vicina alla santità,poiché oggi chi ne difende la sacra causa spera e crede che sia imminente la Canonizzazione. Fu uomo di cultura europea e per la sua santità molti personaggi insigni si rivolsero a lui. Ebbe la stima di ben tre pontefici e della Regina di Svezia,Cristina. Conosceva una mezza dozzina di lingue e scrisse innumerevoli opere. Modesto, avrebbe voluto rifiutare il Cardinalato, ma, suo malgrado, fu costretto ad accettare; tutta l’Europa lo credeva già Papa, ma non fece in tempo, perché nel 1713 all’età di 64 an ni si spense.
Oltre al “Cardinale Santo” abbiamo alla fine un “Principe Santo”, tanto per concludere coi santi. Fu Ferdinando I (1651-1672). Secondo Principe di Lampedusa e Terzo Duca di Palma a soli 19 anni, Ferdinando, come il padre Giulio le come tutti i suoi “pii” parenti, non si sentiva particolarmente attratto per le cose terrene, e a 21 anni, dopo la morte della moglie, credette fosse giunto il tempo di ritirarsi in preghiera e in sacrificio, delegando ad altri le cure di Palma.
Il Signore questa volta lo accontentò risparmiandogli infinite ed interminabili sofferenze e dopo pochi mesi lo prese con sé. Il Cielo non si conquista esclusivamente con le opere, sembrò voler far capire Dio, fiutando quello che sarebbe dovuto accadere da lì a pochi anni: e i Tomasi capirono. D’ora in avanti i “santi” saranno decisamente più rari. I Tornasi si occuperanno un pochino di più dei vassalli e un po’ meno dei Monasteri.
E mentre quasi tutti i Tomasi perseguitavano a svenarsi nel Monastero palmese, a digiunare, a tagliarsi le carne con coltelli infuocati, a macerarsi con cilici tessuti di peli di cavallo, con chiodi e catene, Giulio II, il successore di Ferdinando, fondò un Istituto delle Scuole Pie, affidato ai padri Scolopi, dove si insegnarono la filosofia e le lettere. Con Ferdinando II che nel 1699 assume i poteri, i Tomasi Di Lampedusa raggiungono il punto culminante della loro ascesa: la sua morte, nel 1775, segnerà l’inizio del loro inarrestabile declino.
Con lui i Tomasi si stabiliscono definitivamente a Palermo, tramonta il loro provincialismo, respirano un’aria laicamente più europea. Cercò di valorizzare il feudo di Lampedusa, fu un grande mecenate (Cangiamila e Provenzani furono suoi protetti), fondò l’Accademia dei Pescatori Oretei, ricoprì importanti incarichi sotto Carlo VI d’Asburgo e Carlo III di Borbone, fu Grande di Spagna.
Dopo i successori Giuseppe II e Giulio III i Tornasi decadranno. Riscattati in parte dall’ultimo di loro, il grande scrittore. Con Giuseppe III (1767-1833?) grossi avvenimenti storici accadevano. I baroni di Sicilia rinunciavano a tutti i loro privilegi di carattere feudale: i feudi erano trasformati in proprietà senza più oneri e pesi. I beni si potevano finalmente commerciare, ma proprio per questo tanti nobili cadevano in rovina.
Anche il maggiorascato veniva abolito e il patrimonio dei nobili veniva spezzettato tra i figli fino a scomparire. Un’intera classe moriva. I Tomasi non facevano eccezione, i Toma si che così tanto si erano preoccupati di assicurarsi un posticino in cielo trascurando la loro missione terrena, e adesso si trovavano impreparati: assaliti dai creditori, vendevano.
Giulio IV è l’ultimo dei grandi Toma si, l’ultimo di una famosa e potente aristocrazia siciliana che contemplò la sua non molto lenta ed inesorabile rovina. Non per niente Giuseppe Tornasi di Lampedusa, suo nipote, ne fa il protagonista del famoso romanzo. E’ lui IL GATTOPARDO Con l’entrata di Nino Bixio nella cittadina verso la seconda metà del giugno 1860, si concludeva la vicenda storica dell’antica famiglia a Palma di Montechiaro. Per completare il quadro, diremo che un altro Tomasi. Pietro, sarà varie volte ministro prima dell’avvento del fascismo e Ambasciatore a Londra poi; Presidente del Senato nel 1944 e senatore della Re pubblica nella prima legislatura.
L’ultimo dei Tornasi.
La grande casata si estingue con colui che la fa conoscere al mondo, col suo più grande rappresentante: lo scrittore Giuseppe Maria Fabrizio Vittorio Tornasi Principe di Lampedusa. Indelebilmente l’ultimo dei Tomasi legò il suo nome e quello dei suoi avi a Palma di Montechiaro. Il romanzo “Il Gattopardo” è 1’epopea di una famiglia e di una società: la società aristocratica e feudale vista nel momento del suo trapasso, del suo declino. il protagonista è Fabrizio Corbera Principe di Salina, vale a dire il bisnonno dell’ autore,Giulio IV(1815-1885)simbolo di una famiglia concepita “in una fase delirante della creazione.