“Sulla metà di questo mese (aprile) furono visti uscire da Girgenti alla spicciolata e con diversi intervalli di tempo circa 90 carabinieri, 40 guardie di P.S. a cavallo e una cinquantina di soldati di fanteria.
Tutti questi agenti della Forza pubblica si riunirono poi al punto denominato “Quatrivio”, distante due chilometri dalla città. Ivi ponevano le baionette in canna e prendevano la via che mena a Favara.
Verso mezzanotte una carrozza fermatasi fuori delle porte di Favara e ne scendeva il Procuratore del re.
Poco dopo dalla cennata forza pubblica venivano circondate diverse case di Favara ed erano tratti agli arresti, per mandato di cattura, ben quaranta individui, i quali erano subito condotti alla caserma dei Reali Carabinieri e dopo essere sottoposti ad interrogatorio venivano spediti in queste grandi prigioni.
Nella stessa notte in altri paesi di questa provincia erano eseguiti altri non pochi arresti per lo stesso oggetto.
Si vuole che il numero degli arresti arrivi a 150.
Costoro avevano sodalizio di mafia che, serbata la debita proporzione, potrebbe paragonarsi alla setta della “mano Nera” della Spagna: di fatti si vuole che abbiano per titolo:”la mano fraterna”.
Così la stampa nazionale ( questa nota è stata pubblicata il 30 aprile del 1883 sul quotidiano “Il secolo d’Italia” di Milano) presentava all’attenzione dell’opinione pubblica il blitz delle forze dell’ordine che sbaragliò una delle più potenti ed organizzate cosche mafiose siciliane: La Fratellanza di Favara. Che la società fosse ben ramificata si capì nei giorni seguenti.
A Canicattì sei appartenenti alla Fratellanza vennero arrestati per l’omicidio del calzolaio Calogero Camilleri, che era scomparso da casa il giorno 11 febbraio 1883, rimase prigioniero nella casa di suo zio Alaimo Martello Rosario e pochi giorni dopo strangolato e sepolto in un castello abbandonato perché “l’infame” aveva parlato al delegato di polizia del suo paese dell’esistenza della Fratellanza (vedasi note conservate presso l’archivio di Stato di Agrigento, inventario 28, fascicolo 2). Il delitto era stato compiuto da Guarneri Agostino, Puzzangara Pietro, Montante Luigi, Di Franco Salvatore, Trupia Domenico. Tutti elementi ben noti alla giustizia. Il disgraziato calzolaio fu probabilmente il primo a mettere la polizia sulle tracce della Fratellanza, ma non fu l’unico. Un mese dopo, nel marzo del 1883, un ferroviere si presentò alla polizia per far sapere che da un muratore era stato invitato ad entrare in una società repubblicana segreta denominata La Fratellanza. Aveva appreso che la società aveva particolari segni di riconoscimento necessari per riconoscere gli altri fratelli ed evitare di essere attaccato da altri affiliati. Il ferroviere si rese presto conto dei propositi criminali della Fratellanza e spifferò tutto la delegato di P.S. Quest’ultima testimonianza fu utilissima per illuminare alcuni gravissimi fatti di sangue avvenuti a Favara all’inizio 1883 e che sono all’origine della Fratellanza.
In un’osteria del paese si tenevano il primo febbraio del 1883 i festeggiamenti per un battesimo. Fuori due individui incappucciati da diverse ore erano in agguato. D’un tratto durante il festino per futili motivi scoppiò una rissa tra gli invitati. La stessa notte dinanzi la stesa osteria fu trovato il cadavere di un uomo, freddato a colpi di pistola. Faceva parte del gruppo mafioso chiamato in paese “La Cavalleria”. Vennero subito interrogati tutti coloro che avevano partecipato al ricevimento. Ma l’omertà l’ebbe vinta. Si seppe comunque che qualche giorno prima il capo della “Ganna”, una locale banda di malviventi, aveva avuto un diverbio con un affiliato della cosca mafiosa “La Cavalleria” ed in piazza davanti a tanti ebbe ad esclamare:” vu fazzu vidiri iu cu sugnu”. Quello che era accaduto il primo febbraio sembrava dunque una resa dei conti. Il giorno seguente la rissa all’osteria e il brutale omicidio, in paese venne trovato morto un membro della banda rivale della famiglia che aveva organizzato la festa nell’osteria, un uomo cioè del sodalizio della Ganna. Un colpo alla schiena e un orecchio tranciato di netto. A Favara scoppiò così la prima guerra di mafia che si ricordi. Ma improvvisamente la pace tornò in ogni angolo del paese. Si saprà che una terza famiglia mafiosa, i Cappuccia, intervenne a mediare e a portare la pace tra le famiglie rivali. Fu in quella circostanza che si decise anche di fondere le tre famiglie mafiose favaresi (Ganna, Cavalleria e Cappucci) in un’unica cosca, che ebbe nome La Fratellanza.
Una società mafiosa che per molti aspetti ricordava la mafia palermitana. La Fratellanza si organizzò presto su base intercomunale: uno o più capi-testa comandavano più capi-decina, ognuno dei quali aveva sotto di sé non più di dieci affiliati. Era formata soprattutto da zolfatari, minatori, artigiani, contadini, mugnai, pastori Al momento dell’ingresso nell’associazione, avveniva una vera e propria iniziazione. Ai nuovi membri veniva punto l’indice, per poi tingere col colore rosso del sangue un’immaginetta sacra che veniva bruciata, mentre l’iniziato recitava queste parole:” giuro sul mio onore di essere fedele alla fratellanza come la fratellanza è fedele con me; come si brucia questa santa e come queste poche gocce del mio sangue verso, così verserò tutto il mio sangue per la fratellanza; e come non potrà tornare questa cenere di nuovo nel proprio stato e questo sangue un’altra volta nel proprio stato, così non posso rilasciare la fratellanza”.
Uccidere, razziare e minacciare furono le principali attività con cui la Fratellanza si garantiva il controllo del territorio e degli affari. Nascendo dall’unione di tre bande poté contare su 500 associati. Proprietari terrieri, nobili e borghesi dell’agrigentino rappresentavano una garanzia e offrivano la loro protezione a questi mafiosi. Nonostante ciò la giustizia arrivò presto sulle loro tracce e il blitz di Favara dell’aprile del 1883 fu determinante per portare altri affiliati dei paesi vicini alla sbarra. Il processo alla Fratellanza si svolse in una chiesa sconsacrata di Girgenti, la chiesa di Sant’Anna. Si tenne dal 2 marzo al 31 marzo del 1885 e riguardò il solo reato di associazione a delinquere. Vennero processati 168 affiliati, ma ad essi sono da aggiungere 23 imputati per omicidio. Può essere pertanto considerato, con 191 imputati, il primo maxiprocesso contro la mafia. I mafiosi proveniva oltre che da Favara da altri dodici paesi dell’agrigentino e da Caltanissetta e Castellaccio. Il tribunale li ritenne tutti colpevoli e furono comminate naturalmente condanne a pene detentive diverse. L’organizzazione sopravvisse a se stessa, perché il suo modello organizzativo fu ripreso da molte cosche e si diffuse ovunque.