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Mafia, documenti segreti confermano: i boss aiutarono gli americani ad invadere la Sicilia

4 Agosto 2020 //  by Elio Di Bella

Molto ambigui furono rapporti tenuti dagli Alleati sbarcati in Sicilia nel luglio del 1943 con  i clan mafiosi.  Un giudizio confermato dai  documenti degli archivi americani, che dimostrano ampiamente i   contatti con la mafia siciliana furono organizzati dal governo americano secondo un  piano prestabilito.

Tali rapporti vanno divisi in due periodi:   al momento dello sbarco in Sicilia  e   nel periodo dell’istaurarsi del governo militare alleato nell’isola. I documenti relativi a questi periodi fanno luce sulla responsabilità degli angloamericani nella riorganizzazione del fenomeno mafioso nell’immediato dopoguerra.

L’inchiesta del  1954 del governatore di New York, Thomas Dewey, avviata perché quel governatore aveva la necessita di rispondere alle accuse contro di lui  poichè nel 1946 aveva scarcerato il boss mafioso Lucky Luciano, per il suo «contributo allo sforzo bellico delle forze armate americane» ha svelato che l’Office of Naval Intelligence ( ONI, il servizio segreto della Marina degli Stati Uniti) ha chiesto l’aiuto della   mafia americana,   per preparare lo sbarco in Sicilia e prodotto notevoli vantaggi allo spionaggio statunitense.

Lo sbarco in Sicilia venne  deciso nella  Conferenza di Casablanca, nel gennaio del 1943 e sarebbe stato realizzato dalle truppe anglo-americane  disimpegnate con la fine della campagna in Africa settentrionale ed è passato alla storia col nome in codice di  operazione Husky.

L’operazione venne preparata con l’infiltrazione nell’isola, prima   di agenti dello spionaggio che   stabilirono contatti con elementi della mafia, utilizzando i contatti tra i servizi segreti degli Stati Uniti e  la malavita italo- americana. I boss americani erano rimasti in contatto con quelli siciliani  e potevano facilitare lo sbarco nell’isola ottenendo dai clan siciliani utili informazioni.  

I  capi di Stato Maggiore americani nell’aprile del 1943 misero su un piano per «favorire un’invasione militare della Sicilia», stabilendo «contatti e collegamenti con operai insoddisfatti e gruppi radicali, come per esempio la mafia, dando loro ogni aiuto possibile; consegnare armi e munizioni alle persone passate dalla nostra parte; organizzare e rifornire le bande di guerriglia; aiutare i membri attivi di tali gruppi e le loro famiglie».

Il riferimento alla mafia nel d documento dimostra è chiarissimo e fu una decisione, quella della collaborazione con i clan, assunta a livelli molto alti.   

La mafia venne considerata tra le forze della resistenza attiva  

Il capitano Scotten, già vice console a Palermo prima della guerra   in un suo rapporto considerava i contrasti negli anni Trenta tra  regime fascista e la mafia e annoverava la mafia tra le forze antifasciste. 

Antifascisti  ma anche i separatisti, perché, secondo il capitano americano, i mafiosi chiedevano il distacco della Sicilia dall’Italia in opposizione al governo di Mussolini.

I comandi militari alleati  non si  preoccupavano  delle conseguenze politiche future e per loro il fine giustifcava i mezzi. Quindi non esitarono a  trattare innanzitutto con Lucky Luciano.  

A quanto pare i clan chiedero ed ottennero che i  soldati siciliani che avessero disertato,  non avrebbero avuto conseguenze e sarebbero potuti tornare tranquillamente a casa.

Tra i vantaggi dell’alleanza tra il comando militare e la mafia vi sarebbe stata la facilità con cui la settima armata americana raggiunse Palermo. Secondo alcuni senza l’aiuto delle cosche sarebbe stato difficile  attraversando la parte occidentale dell’isola, zona tradizionalmente mafiosa.    

 Ma le responsabilità dell’amministrazione angloamericana nel risorgere della mafia in Sicilia si vedono soprattutto nel periodo successivo allo sbarco.

I governi di occupazione  pur non conoscendo adeguatamente i problemi economici, sociali e politici della Sicilia, per amministrare l’Isola durante il periodo dell’occupazione si avvalsero di   elementi  legati alla malavita italoamericana. Dinanzi alla piaga del mercato nero, inoltre,  chiesero aiuto alla  mafia.  

Ricordiamo a tal proposito il caso di  Calogero Vizzini, ritenuto il più importante capo della mafia siciliana, nominato dagli angloamericani sindaco di Villalba;  Genco Russo di Mussomeli; Lucio Tasca di Palermo. Il boss mafioso americano Vito Genovese venne arruolato come interprete  nell’Esercito americano.  In qualche modo la mafia  venne così   legittimata  come  forza antifascista agli stessi occhi del popolo siciliano.  Ciò darà un vantaggio politico alla mafia nel momento in cui questa sposerà la causa separatista, diventando di fatto un’alternativa politica.  

Gli angloamericani non valutarono attentamente tutto ciò, preoccupati solo di mantenere l’ordine dietro le linee, evitare   malesseri e tumulti, e ristabilire le linee di comunicazione per i collegamenti con il fronte.

Non si curarono neppure di realizzare l’epurazione dei fascisti che detenevano cariche pubbliche importanti. Soltanto dopo lo sbarco l’amministrazione alleata si pose il problema di elaborare una politica coerente nei confronti di queste forze.

Gli americani  secondo alcuni storici avrebbero   appoggiato un’iniziativa ben vista dalla mafia: la costituzione del Movimento della quarantanovesima stella,   movimento filoamericano per l’indipendenza della Sicilia e l’adesione agli Stati Uniti.

  Gli Alleati di fatto non perseguitarono penalmente nessun tipo di movimento separatista  che così potè rafforzarsi

Il capitano Scotten, nelle conclusioni che si leggono  nel suo rapporto, indicava infatti tre possibili linee d’azione:  l’immediata repressione del fenomeno mafioso, con l’arresto di tutti i ca-pimafia «senza badare alle personalità e alle connessioni politiche»;  un accordo con la mafia;  non intervenire efficacemente e abbandonare l’isola «alle regole del crimine mafioso».

 Nel rapporto inviati dal console Alfred T. Nester all’ambasciatore americano in Italia, Alexander C. Kirk nel novembre del 1945 si  riferisce intorno   una riunione dei capimafia tenutasi due giorni prima in cui si era deciso di «non stare al seguito di nessun partito», cercando invece di «esercitare un’influenza o un controllo su tutti i partiti» prevedendo che la mafia avrebbe costituito «il più forte movimento politico esistente in Sicilia».

Nester aggiungeva: «Non vi è dubbio che fino a oggi la mafia non ha giocato il ruolo sinistro che comunemente ci si aspettava. I suoi obiettivi sono stati pace e tranquillità e frequentemente essa ha eliminato e ridotto l’attività di banditi e delinquenti. In diversi casi la polizia Le ha chiesto aiuto per mantenere l’ordine e rintracciare criminali».

La mafia quindi veniva considerata un fenomeno positivo, in grado di svolgere un    ruolo   di controllo e difesa dell’ordine esistente; un ruolo di supplenza rispetto al   governo nell’Isola.

Gli anni 1943-1945  la mafia siciliana divenne  divenne un interlocutore privilegiato  di alcune forze politiche italiane per il suo radicamento nel territorio siciliano, che le dava la possibilità di gestire il consenso ed era capace di esprimere la medesima cultura e gli stessi codici di comportamento, secondo i politici di allora.   Così la  mafia divenne parte del potere.

Elio Di Bella

Categoria: Storia Sicilia

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