Le lettere che vengono qui pubblicate furono spedite da Roma dallo scrittore agrigentino Luigi Pirandello alla sua fidanzata Antonietta Portulano .
Conservate presso l’Archivio Stefano Pirandello, sono state pubblicate nella rivista milanese “Omnibus”, 18 e 25 ottobre 1946, con alcune amputazioni di brani.
La rivista “Ariel”, nel numero speciale per il 50° della morte di Pirandello (Anno I, n. 3, 1986, pp. 211-229) le ha ripresentate con delle novità assolute quali le lettere della mamma Caterina Ricci Gramitto e altre due lettere inedite di Luigi ad Antonietta del 21 e 23 dicembre 1893.
Sono 14 lettere che documentano un periodo importante della vita del giovane Luigi alla vigilia delle nozze. Vanno, infatti, dal 15 dicembre 1893 al 5 gennaio 1894. Nella mattinata del 27 dello stesso mese, Luigi e Antonietta si sposarono, alle 9,15 presso la Casa Comunale di Girgenti, secondo le usanze del tempo. Quindi si recarono nella Chiesa di S. Alfonso, accanto alla Lucchesiana, a due passi dalla Casa dei Portulano, in Via Duomo. Nell’armonioso tempio neo-classico tanto caro alla famiglia della sposa, alla presenza dei testimoni Eugenio Amato e Alfonso Averna, il beneficiale della Cattedrale Can. Giuseppe Bonelli li unì in matrimonio. Dopo la celebrazione i familiari e gli invitati li accompagnarono alla casetta del Chaos per il banchetto di nozze. Da quel giorno Antonietta entra veramente nella vita di Luigi Pirandello.
Roma, 15 Die. ‘93
Antonietta mia, sono ancora mezzo intontito dal viaggio: due giorni e una notte in treno, considera un po’ ! Oggi poi ho girato per trovare la casa: dunque salire e scendere scale, prima in Via Arenula, poi in Via Venti Settembre… Ora mi sento rotto e disfatto… Credo d’aver già trovato la casetta per noi. Domani andrò a visitarla di nuovo, e te la descriverò camera per camera – così tu la conoscerai prima d’entrarvi – sposa e padrona.
Non so spiegarmi quel che sento mentre ti scrivo. E neanche tu potresti intenderlo, sconoscendo in quali condizioni di spirito io mi trovassi prima di venir da te, in Sicilia. Io immaginavo la vita come un immenso labirinto circondato tutt’intorno da un mistero impenetrabile: nessuna via di esso m’invitava ad andare per un verso anzi che per un altro: tutte le vie mi parevan brutte o inamabili. A che scopo andare? e dove andare? L’errore è in noi, nella nostra mente, e il male é nella vita, un male privo di senso – io mi dicevo.
Noi non sapremo mia nulla, noi non avremo mai dalla vita una nozione precisa, ma un sentimento soltanto, quindi mutabile e vario, triste o lieto a seconda della fortuna. Nulla di assoluto, dunque. Che cosa è il giusto? che cosa è l’ingiusto? Io non trovavo in questo labirinto una via d’uscita. Né nulla veramente potevo trovarci, perché nulla vi mettevo, né un desiderio, né un affetto qualsiasi: tutto m’era indifferente, tutto mi pareva vano e inutile – ero come uno spettatore annoiato e smanioso, a cui era di peso il rimanere, e pur non sapeva decidersi ad andarsene; ero come un espulso dal fiume, che consideri dalla riva la corrente senza più la voglia di lasciarsi oltre portare. Il mio intensissimo amore per l’Arte era l’unico scoglio a cui, in tanto naufragio, s’aggrappava disperatamente l’anima mia: ma la vita moderna così agitata da tempestosa miseria ha poco men che sommerso quest’unico scoglio: sicché tenermi stretto a lui era quasi affogare e subir gl’insulti dell’avversa marea.
Oh, in che orrenda notte, Antonietta mia, era avvolto il mio spirito ! I miei sogni di gloria eran baleni a un tratto oscurati: e invano chiedevano la luce, invano il sole…
Ora il sole è per me nato! Ora il mio sole sei tu, e tu sei la mai pace e il mio scopo: ora esco dal labirinto e vedo altrimenti la vita. E questo, è proprio questo ch’io sento, mentre ti scrivo per la prima volta, qui raccolto in questa camera, che sa tutte le mie tempeste e le calme desolate.
Ho la tua immagine presente e viva innanzi agli occhi. In viaggio ho guardato a lungo, a lungo la stella che ti piace. Attendo con impazienza il tuo ritratto… Quando verrà? Al più presto ti prego…
Vorrei dirti tant’altre cose, tant’altre cose, che mi s’affollano alla mente, ma a domani, a domani… ora è tardi. Pensa a me, e amami… Tu mi amerai, tu devi amarmi, perché io… a domani… Baciami e salutami la Mamma, Annetta, i due Papà, Giovanni e Carmelino. Dì a Babbo mio che domattina gli scriverò a lungo. Tu abbiti una fortissima stretta di mano dal sempre tuo, tutto tuo
Luigi
Roma, 16 Die. ‘93
Antonietta mia,
a chi, prima di partire per la Sicilia, m’avesse detto: – «Tu, mio caro, ritornerai guarito» – io avrei semplicemente risposto: – «Ignori il mio male» – E davvero questo mio male mi pareva inguaribile. M’ero sciolto completamente d’ogni legame; guardavo gli altri vivere, indagavo la vita come un complesso di vane assurdità e di contraddizioni; e dalla
considerazione degli atti e dalle parole altrui, su per giù sempre gli stessi, m’era venuto un tedio pesante e una noja smaniosa. – E dopo? E dopo? mi domandavo. E tutto qui? E sarà sempre cosi? Dunque è la vita il mio male: solo la morte potrà guarirmi.
Mi pareva impossibile che io avessi potuto mettermi a fare, a pensare, a vivere come tutti gli altri uomini, dei quali per tanto tempo avevo seguito senza interesse e senza curiosità le azioni, i pensieri, la vita. Mi pareva impossibile innamorarmi, sentir la gioia d’offrirsi interamente a un’altra persona e viver quasi della sua vita.
Eppur questo m’è avvenuto, e a me par di sognare, e non so credere quasi a me stesso, al mio cuore. Io penso a Te, penso a tutto ciò che potrebbe farti piacere, ai mezzi più lieti e più gentili per renderti bella e cara la vita che condurremo insieme; penso al nostro nido, alla casa che ci accoglierà; faccio un mondo di bei progetti per l’avvenire… io, questo, io che vedevo tutto nero innanzi a me; io che, fino a un mese fa, ridevo svogliato delle sciocchezze (dicevo io) degli innamorati. Ebbene, si, la vita è fatta di queste sante sciocchezze; tristo chi non le cura e non sa dar loro importanza!
L’alba della mia nuova vita ha per sempre scacciato le nebbie che m’ingombravano la mente. Ora mi si apre dinanzi chiaro l’avvenire. Io ho potuto finalmente congiungere queste due supreme idealità: l’Amore e l’Arte.
E tu che pensi di me, Antonietta mia? Che ti dicono i sogni di me? Non ti mentiscano, non ti rimpiccioliscano l’amore e la tenerezza ch’io sento! Come stai in codesta nuova casa? Io già t’immagino e ti seguo col pensiero per le note stanze: tutto il giorno ti son vicino, e tu non t’avvedi di me… oggi ancora sono andato in giro con Rocco a visitare altre case: ne ho trovata una assai bella, piena d’aria e di luce, ma un po’ troppo alta. Domani girerò ancora, e poi ti descriverò la prescelta, come ieri ti scrissi.
M’è capitato giusto ora, a sproposito, un gran da fare: dovrei consegnare fra quindici giorni all’editore Bontempelli un volume di novelle. – Le novelle io ce l’ho, ma dovrei ricopiarle e correggerle un po’ qua e là. – Basta, vedremo, nei ritagli di tempo…
Sei andata dal fotografo? E arrivato l’abito da Palermo? Quando mi arriveranno questi tuoi ritratti? Sono un ragazzaccio impaziente… Non me ne importa! voglio i ritratti. L’abito t’è arrivato, già te lo vedo addosso… Dio, come ti sta bene! Lascia vedere, voltati un po’, che bel colore! Com’è elegante! Che bella signorina! Su, su, via! Andiamo dal fotografo, che Luigi aspetta, poverino, solo, a Roma, lontano, senza ritratti.
Non faccio neanche oggi a tempo a scrivere la lettera a Papà. Pazienza! Domani immancabilmente gliela scriverò. Tu salutami tutti, ti prego, e non dire ahi! se i stringo più forte di jeri la mano.
Sempre tuo
Luigi
Roma, 17 Die. 1893
Antonietta mia
come mi sento solo qui a Roma! Mi par di trovarmi in mezzo a un gran deserto… Quel che amo, quel che spero, quel che voglio non è qui; è costà, teco, e sei Tu. Se non mi dessi tanto da fare da mattina a sera, mi morrei certo dalla noja; già mi parrebbe impossibile senza una ragione, rimanere anche un giorno lontano da Te. Tu, lo so, tu non mi vuoi vicino… ma è inutile! rassegnati ormai ad avermi sempre dinanzi agli occhi; io sto subendo la prova del fuoco, e mi par già cent’ anni di ritornare a Te, per non allontanarmi mai più. Povera Antonietta! respira ancora questi altri pochi giorni che ti rimangono di libertà, mentre io son lontano…
Ti vorrei fare arrabbiare per avere qualche lunga lettera; ma poi ne avrei pena. È meglio che tu mi scriva senza costringermi a procacciarti un’arrabbiatura… Come dev’essere bella Antonietta arrabbiata!
Questa mattina è venuto a trovarmi l’editore signor Voghera:
Le novelle?
Son quasi pronte. Mi dia ancora qualche giorno di tempo…