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Lo Scalo Di Siculiana, Notizie Storiche

12 Luglio 2017 //  by Elio Di Bella

Adempio al dovere di rassegnare la relazione dalle S. V. 111.me commessami con deliberazione 12 settembre 1895 per servire di risposta alla nota del’Il.mo signor Sindaco di Girgenti del 3 settembre testé scorso n. 5541.

Con essa nota viene manifestata la pretesa di volere usufruire, cominciando dal 1° gennaio 1896, degl’introiti del dazio consumo presso il nostro Scalo marittimo, poggiando nel solo supposto, che faccia parte dell’ex-feudo Garebici, rientrante nella giurisdizione amministrativa e giudiziaria di quel Comune e debba perciò il detto Scalo, anche in essa giurisdizione ritenersi compreso, sicché non Siculiana ma Girgenti abbia ad esercitarvi il dritto di levare le tasse locali.

Cotesto sillogismo, così semplice nella forma, contiene però nella sostanza un notevole errore di fatto, che rende medesimamente erronee le deduzioni di dritto e quindi mal fondata ed insostenibile la pretesa, oggetto della suaccennata  lettera.

Non è vero, che lo Scalo marittimo abbia mai fatto parte dell’ex-feudo Garebici, già proprietà della Mensa Vescovile, quantunque sorga sulla punta vicina a detto ex-feudo, che addentrasi e sporge sul Mare Africano.

Sono due cose, aventi vita l’una dall’altra del tutto separata e distinta, tra cui non vi ebbero mai rapporti di comunanza o altre relazioni di sorta.

La superfìcie territoriale del Feudo si arresta di fronte allo spazio, ove esiste il fabbricato dello Scalo. Ognuno dei due è ben determinato nella estensione e nei confini, sicché non è possibile al riguardo confusione od equivoco.

Tutta la superficie del Feudo è allibrata nel catasto rustico; il caseggiato dello Scalo nel catasto urbano : ciò che dimostra la diversa natura e pertinenza degli stessi.

Il tenimento Garebici è una semplice proprietà terriera conceduta in feudo dal Conte Ruggieri al Vescovo di Girgenti, del cui patrimonio fu sempre una particella.

I Vescovi nel secolare esercizio del loro dritto di proprietà si circoscrissero alla sola gabellazione annua di quel tenimento terriero, mai sognando di avanzar pretese, come fa oggi Girgenti, sul finitimo caseggiato.

Non diversamente pratticò l’Amministrazione finanziaria dello Stato succeduta, per la legge di eversione, alla Mensa Vescovile.

Nella formazione della pianta topografica redatta nel 1865 per preparare la censuazione, venne fatta chiara e precisa demarcazione tra la superficie del Feudo ed il caseggiato dello Scalo e furono, in tal congiuntura, apposti nella linea di confine n. 4 termini lapidei o pilieri, che stanno B ad attestare la diversa pertinenza dell’uno e dell’altro.

Nell’editto o avviso d’asta, pubblicato a 30 aprile 1865, si fa menzione della popolazione, abitante nello Scalo di Siculiana, come avente  l’uso di una delle sorgive d’acqua, che scaturiscono in quel Feudo, detta Impeso.

Nell’atto di aggiudicazione del terzo lotto, rogato da Notar Emanuele Graceffo da questa, addì 13 giugno 1865, qui registrato al n. 904, si legge : « confinante detta terza quota da Nord con la via vicinale, che da Montallegro porta allo Scalo di Siculiana, da Est la precedente quota, da Sud lo Scalo suddetto. »

Or quelle mappe tanto del catasto rustico, che del catasto urbano di Siculiana; gli atti di gabellazione del Feudo durante la gestione vescovile; la pianta topografica, fatta eseguire come sopra dall’Amministrazione finanziaria dello Stato; i termini lapidei di confine conseguentemente apposti; l’editto del 30 aprile 1865; l’atto di aggiudicazione del lotto n. 3 costituiscono tal cumolo di prove così luminoso e così imponente, innanzi a cui non è lecito più sollevare anche l’ombra del dubbio circa alla reale e precisa continenza del feudo Garebici.

Sono tutti documenti autentici, pubblici di alta importanza civile e sociale, sui quali riposa il dritto dello Stato, della Provincia e del Comunque alla percezione delle imposte e che determinano i dritti ed i doveri tra l’Amministrazione finanziaria dello Stato ed i censisti in ordine alla proprietà di esso ex-feudo ed al pagamento dei canoni stabiliti.

pianta dello scalo di siculiana

Innanzi ad essi qual valore potrebbe avere la voluta carta geometrica della città di Girgenti, non si sa da chi, in qual tempo e per quale occasione stata fatta, la quale non ha da per sè forza probatoria e molto più trovandosi in contrasto coi risultati dei suddetti documenti ufficiali?

Potrebbero ad essa esser validamente contrapposte altre carte, in senso diverso, per iscopi scolastici, commerciali e scientifici, fra cui quella dello Stato Maggiore dell’esercito, colla differenza che la prima, sussistendo nell’esclusivo interesse del Comune di Girgenti, lascia, anche non volendo, qualche dubbio sulla sua sincerità, mentre tutte le altre, provenienti da persone o enti estranei ed in tempi non sospetti, hanno il pregio della imparzialità e del disinteresse.

Ma a che immorare ancora su di ciò?

L’attuale circoscrizione amministrativa del Comune di Girgenti altro non è, che l’antico possesso territoriale della Mensa Vescovile.

Alla abolita Signoria feudale dei Vescovi succedette la novella Potestà della Rappresentanza Elettiva dei comunisti, sicché questa non può adesso vantare più ampii o maggiori dritti, in più estesa latitudine, al di là di quanto ne ebbero i predecessori.

Nulla è stato finora immutato in Sicilia in ordine alle circoscrizioni territoriali dei Comuni, le quali non sono che un fragile avanzo dell’abbattuto Edificio Feudale, contro cui sta la condanna lanciata dalla Rappresentanza legislativa della Nazione colla benefica legge 11 luglio 1877.

Siamo adunque di fronte ad uno stato di fatto, sanzionato soltanto dalla più remota antichità; ma destinato irrevocabilmente a sparire, perchè riproduce tuttora, in un ordine nuovo di progresso e di civile u-guaglianza, le odiose sproporzioni e le ingiustizie medioevali.

Nè miglior fortuna può avere lo asserto, contenuto nella suddetta lettera del 3 settembre u. s., che cioè l’ex-feudo Garebici trovasi annotato nel Bollettino di Prefettura del mese di settembre 1889, n. 9, fra le contrade dipendenti dalla circoscrizione giudiziaria di Girgenti.

Se ciò è vero da un lato, non è men vero dall’altro, che la borgata Scalo trovasi nello stesso Bollettino, a pag. 388, con identiche indicazioni, annotato come dipendenza di Siculiana.

Ciò dimostra ancora di più e mette nella massima evidenza, che il feudo Garebici e lo Scalo sono, come abbiamo precedentemente esposto, due cose ben diverse.

È lo stesso sistema di prova, anzi lo stesso documento, posto in essere e chiamato in suo pro dal signor Sindaco di Girgenti, che predica diversamente di ciò, che da lui si sostiene, e che aggiunge forza e valore alle suesposte ragioni contrarie.

Parimenti non può avere alcuna importanza nella presente contesa la invocata sentenza del Tribunale di Girgenti in data 20 ottobre 1891 contro il Municipio di Realmonte.

Già puossi, in linea di massima, asseverare, che le sentenze, nella maggior parte dei casi, riescono favorevoli o contrarie, a seconda della illuminata diligenza o della negligente cecità di coloro, che vi hanno interesse.

Vigilantibus jura succurnunt

Non si sa poi, nè giova rintracciarlo, se la lite fu trattata in sede civile o penale, da chi promossa, le ragioni di fatto e di dritto, che vi si svolsero.

Solo si sa, che quel Consiglio comunale non fu affatto interpellato in proposito.

Che dirsi dunque di un giudizio, in cui manchi l’autorizzazione della rappresentanza legittima del Comune, debitamente approvata dall’Autorità tutoria ?

Se tale autorizzazione fosse stata richiesta e le ragioni difensive fossero state maturate, quel Municipio avrebbe potuto validamente contrapporre, che la giurisdizione amministrativa dei Comuni è unica ed indivisibile, come il principio di sovranità, Jus imperii, da cui trae origine e su cui riposa.

Come non può concepirsi il frazionamento della unità dirigente, che il Vico chiamò : animus rèi pubblicae, cosi deve ritenersi un assurdo legale il dimezzamento della potestà comunitativa, entro i limiti della medesima circoscrizione territoriale.

Del pari assurda deve ritenersi quella sentenza, se ammettendo da un canto il diritto del Comune, come oggi ammette lo stesso Sindaco di Girgenti, alla percezione della sovrimposta nel feudo Monterrosso, e conseguentemente l’obbligo di provvedere alle spese, che ivi nell’interesse pubblico potessero occorrere, lo abbia poi privato della percezione dei dazii in detto tenimento, perchè spettanti a Girgenti.

Cosi contemporaneamente Girgenti e Realmonte avrebbero l’esercizio del medesimo dritto di sovranità sul medesimo sito. In altri termini sarebbero due potestà assise sulla medesima sedia curule e di là imperanti.

Ma la cerchia dei rispettivi doveri, ove comincia?  dove finisce?

Lasciamo all’Estensore di quella sentenza, se ciò è vero, d’intendersela col Professore Persico dell’Università di Napoli, e coi suoi principii di diritto amministrativo, là dove parla dellVs.se/trrt e natura della sovranità.

È cosa, che non fa al caso speciale nostro, riguardante la pertinenza dello Scalo e che punto non ci riguarda. Res inter alios acta.

Noi però, col Giriodi: Il Comune nel diritto civile, continuiamo a credere, per nostro conto, che « il diritto di sovranità si esplica nei rapporti economici particolarmente colla imposta o tributo che il Comune (uno e non due) preleva nel territorio della rispettiva circoscrizione ed ha per corrispettivo l’onere del mantenimento dei pubblici servizii entro i limiti della stessa circoscrizione. »

Indipendentemente di ciò quella sentenza è nulla per ragione d’incompetenza.

È concorde oramai la giurisprudenza su tale teoria e basta all’uopo accennare la sentenza 6 febbraio 1887 della Cassazione di Roma :

« Attesocchè, ritenuto che la disputa cade esclusivamente sui confini territoriali o giurisdizionali è manifesta l’incompetenza dell’ autorità giudiziaria a conoscere. I Comuni sono principalmente istituti politici, sono parti dello Stato, che nel territorio loro assegnato esercitano attribuzioni di autorità e di amministrazione di natura simile a quella dello Stato. Perciò come la loro circoscrizione è regolata dallo Stato (art. 74 dello Statuto fondamentale del Regno, e il cambiamento dei loro terri-torii si decreta dal Governo (art. 13, 14 e 15 della legge comunale e provinciale) così le quistioni di confinazione e di giurisdizione sono devolute alla cognizione dell’Autorità amministrativa, perchè attinenti agli interessi generali e politici non a rapporti patrimoniali e di dritto meramente privato. » Conforme : Corte di Cassazione di Roma 26 luglio 1883-26 marzo 1887-18 aprile 1887. — Saredo, La nuova Legge sull’Amministrazione Comunale e Provinciale, vol. n, pag. 24.

Ad ogni modo, pria di finire questa prima parte del nostro lavoro, non possiamo esimerci dal manifestare un’osservazione ed una speranza, cioè, che la causa di cotali stridenti anomalie e di molti altri guai amministrativi è la viziosa ripartizione attuale dei territorii comunali in Sicilia.

Se altre ragioni non vi fossero, basterebbero da sè soli i fatti suesposti per rendere convinta la provvida sapienza del Governo della assoluta ed impellente necessità di non prorogare ulteriormente l’esecuzione della summenzionata legge 11 luglio 1877, facendo così scomparire uno stato di cose, che è fomite perenne di malcontento e di dibattiti spiacevoli tra Comuni fratelli.

Le circoscrizioni territoriali dei Comuni sono le pietre basilari dell’ordinamento civile dello Stato; ed un edificio, che abbia le proprie basi cosi viziose e cosi malsicure, deve ad ogni pie’ sospinto risentirne le dannose conseguenze se non si provveda, com’è nei nostri voti, al radicale rimedio.

Tutto quanto sopra abbiamo avuto l’onore di esporre, costituisce la prova negativa dell’insorta contestazione, cioè, come sia assolutamente malfondata ed insussistente la pretesa come sopra messa avanti dal Comune di Girgenti.

Ciò basterebbe ed è fin troppo per esaurire il compito a me affidato della relativa risposta.

Ma perchè sia tolto, una buona volta, di mezzo ogni addentellato ad t ulteriori disquisizioni; e anche per soddisfare a quel tributo, che ognuno è tenuto di rendere alla patria, ho creduto mio sacro dovere non pretermettere i dati di fatto, che costituiscono la prova positiva, cioè, che lo Scalo è parte integrante e costitutiva dell’Istituto politico-amministrativo, sotto la denominazione di Siculiana, e che i vincoli ultrasecolari ed indissolubili, che legano il nucleo minore al centro maggiore non potrebbero essere impunemente spezzati o infranti, senza attentare alla vitalità dell’intiero organismo.

Prendiamo le mosse dalla storia, maestra di vita e direttrice dell’umano sapere.

È lo Scalo di Siculiana un aggregato di novanta magazzeni ed altre case abitate, con una piccola Chiesa nel mezzo, posto in riva al mare.

Una gettata naturale di scogli rende ivi immune dai venti dominanti un piccolo seno di mare, detto il porticello, ove approdano e stanno al sicuro i velieri di piccola portata, tenendovi vivo il commercio d’importazione e di esportazione. Alla base di quella gettata di scogli e precisamente nella linea di separazione tra il mare e la terra sorge lo zoccolo della diruta torre Felice. Al disopra, in un sito naturalmente forte, vi hanno i ruderi di un’altra torre, che serviva a proteggere il sottostante caseggiato.

A 700 metri ad Est vi hanno molti magazzeni sotterranei, in forma di cisterne, che servirono al deposito e conservazione dei grani. Nella superficie esterna si osservano qua e là gli avanzi di un antichissimo luogo abitato, con torre e chiesa nel mezzo, rimasto finora ignoto nelle istorie.

Fu molto probabilmente l’Erbesso fenicia, collocata erroneamente dal Fazzello in Grotte.

Durante la denominazione araba fu con istorica certezza l’ignoto Rahal Bekit di Edrisi, protetto dal vicino Kalat Sugul, da cui deriva il nome attuale di Siculiana.

Espugnato, dopo la resa di Girgenti, — 25 luglio 1087 — fu incorporato, insieme al suddetto Rahal Bekit, fra i possedimenti del Demanio regio.

Ricompariscono nella storia, in un avvenimento fausto e glorioso per l’Isola nostra, quando i Siciliani, continuando l’opera di riscossa iniziata coll’eccidio dei Vespri, proclamavano la propria indipendenza innanzi a Bonifacio VIII, fattosi protettore degli Angioini, e procedevano alla elezione del proprio Re, nella persona del valoroso Federico III di Aragona , che solennemente, addì 15 gennaio 1296, incoronarono nella Chiesa Cattedrale di Palermo.

In detta epoca ed in tal congiuntura, nonché in premio del volere mostrato nelle precedenti guerre patriottiche Federico di Chiaramonte  ebbe, nello stesso tempio, dalle mani del Re, l’investitura della Baronia di Siculiana e del suo Scalo marittimo.

Dopo circa un secolo e precisamente al giugno 1392, quando Andrea, l’ultimo dei Chiaramonte, pel tradimento di Martino Duca di Monblanc, venia decapitato nella Piazza Marina di Palermo, quella Baronia venia nuovamente ad essere aggregata fra i beni della Corona.

Passò una seconda volta in feudo, sotto Re Alfonso il Magnanimo, il quale, addi 27 novembre 1422, ne investiva Giliberto Isfar et Corilles per rimeritarlo dei validi servizii prestatigli nella guerra di conquista del Regno di Napoli.

Tale concessione non si estese allora alla sola baronia; ma anche ai dritti di alta regalia, proprii della Corona, cioè la percezione dei dritti doganali del porto.

Ecco le parole dell’analogo diploma :

« Concedimus et plcnutim licentiam elargimur vobis et vestris successoribus, quod possitis et vobis et eis liceat, libere et impune, in dicto loco, seu territorio di Seguliana, erigere et construere dictum castrum  seu oppidum muro et turribus praemunitum ad vestram defentionem ac offentionem, custodiam et tutamen vestri, vestrorum et habitantium et habitatorum, qui nunc sunt vel prosequio fuerint.

« Ad majorem et esuberiorem gratiam concedimus… prout vobis et  vestris videbitis et placuerit domosque habitationes et casalia intra et exstra moenia lacere et stabilire.

«Concedimus gratiam vobis et successoribus vestris per nos et successores nostros in dicto castro seu fortilitio super dictis habitatoribus jurisdictionem civilem, tamen cum gabelli ponendis, datiis, sub ventionibus et caeteris quibuscumque redditis, juribus et gabellis portuus ac universi juribus et pertinentiis dicti loci.

« Concedimus vobis et vestris successoribus et habitatoribus seu incolis dicti loci de Seguliana qui nunc sunt ex prosecutione fuerint quod se de cetero gaudiant et fruant et gauderi et frui possint omnibus et singulis privilegiis immunitatibus et franchigiis per nos seu  Ill.mos Reges Aragonum et Siciliae predecessores nostros indultis et  concessis incolis et habitatoribus terrae, castri Augustae. »

Questa è la carta fondamentale, che eleva Siculiana a luogo fortificato colle franchigie concesse, nel 1407, alla città di Augusta da Re Martino e col dritto a tutte le gabelle d’introito ed esito sul porto omonimo e sue pertinenze.

Discernesi ben chiaro, che la terra e lo Scalo vi figurano congiuntamente, sotto il medesimo nome di Seguliana, e che in virtù dello stesso diploma restano fusi insieme, in unico ente politico.

Basterebbe questo soltanto per giustificare il nostro assunto.

Ma al primo ne succedono altri, che meglio rischiarano e confermano la stessa verità:

Addi 16 marzo 1425, lo stesso Re Alfonso ordina, che non si debbano giammai diminuire, ma siano invece da elargirsi i privilegi   accordati a Gisberto Isfar sul caricatore di Siculiana e si aggiunge <<quod  in dicto caricatorio vestris propriis expensis, de nostra licentia quoddam Castrum reparari et turrim predictam de novo construi fecistis >>.

Dal che appare essere stata opera del suddetto Gisberto la torre Felice che sopra abbiamo notato esistere sulla base del braccio concavo «li scogli, formante il porticello e che la relativa costruzione dovette intercedere nei tre anni decorsi dal 1422, epoca della primitiva concessione, al 1425.

Con altro privilegio del 20 maggio 1434 si dichiara:

  • Et ad uberiorem gratiam huiusmodi privilegii serie vobis licentiam concesserimus quod dictum caricatorium Siculianae quod declaravimus esse ordinarium pro predictis nostris concessionìbus.>>

In un altro portante la data del 14 marzo 1436 leggesi :

« In super consideratione et ex causa quod vos idem Gisbertus vestris « propriis sumptibus et expensis obtulistis construi facere, prout fecistis et facitis de praesenti in beneficium reipubblicae dicti Regni nostri

  • Siciliae quoddam modulum, sive molum cum turri et fortilizio in maritima dicti caricatorii Siculianae pro tutela, refugio et protectione fustium et navigiorum fidelium nostrorum illac transeuntium ut ibi valeant praeservari cum opus fuerit a tempestatibus maris et invasione infideliura et aliorum piratarum inimicorum nostrorum. »

Ciò dimostra che la virile attività e l’energia del valoroso Gisberto si spinse sino al punto da rendere comodo ed acconcio il porto contro le tempeste, forte contro gli assalti dei pirati, in modo da poter essere si nell’uno che nell’altro caso, luogo opportuno e sicuro di rifugio e di asilo alle navi di transito.

       E perchè a questo secondo intento intento avesse potuto vigorosamente rispondere oltre della torre, fu costruito nell’altura soprastante allo Scalo  un fortilizio, oggi non più esistente, ma i cui ruderi ancora adesso si vedono.

Ne segue un altro del luglio del 1438 confermante il contenuto del primo cioè che Terra, Castello e Caricadore di Siculiana formano unico insieme: “Meminimus olim cum opportuno privilegio nostro omnibus sollennitatibus”

Categoria: Storia ComuniTag: siculiana

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