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Lo sbarco alleato in provincia di Agrigento

21 Luglio 2016 //  by Elio Di Bella

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di Gaetano Allotta

Per dare degna cornice all’inaugurazione, cui hanno preso parte oltre 150 persone, è stato presentato dalla Società il volume del socio Gaetano Allotta “65 anni fa… Lo sbarco alleato in Sicilia”.
Con la sua opera, arricchita da immagini e documenti, Allotta ha ricostruito lo storico sbarco, avvenuto nella Sicilia sud-occidentale, tra Licata e Siracusa, la notte tra il 9 e il 10 luglio del 1943. Fu un’ operazione anfibia senza precedenti, superata soltanto da quella denominata “Overlod”, avvenuta l’anno successivo in Normandia. Eppure lo sbarco fu snobbato dagli storici e dai testi scolastici, come episodio di storia minore.
Lo stesso Leonardo Sciascia  nell’opera “Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia”ridimensiona pro domo sua – con il tocco ironico del letterato – il fatto storico:

“Candido Munafò nacque in una grotta, che si apriva vasta e profonda al piede di una collina di olivi, nella notte dal 9 al 10 luglio 1943. Niente di più facile che nascere in una grotta o in una stalla, in quell’estate e specialmente in quella notte: nella Sicilia guerreggiata dalla settima armata del generale Patton, dall’ottava del generale Montgomery, dalla divisione tedesca Hermann Goering, da qualche sparuto, quasi sparito, reggimento italiano. E proprio quella notte, illuminato sinistramente il cielo dell’isola di bengala multicolori, arate le città di bombe, le armate di Patton e Montgomery sbarcavano.”

Al di là del suo linguaggio metaforico, Sciascia testimonia però un fatto incontrovertibile: le forze messe in campo dagli alleati non furono irrisorie, tutt’altro. Gli anglo-americani, infatti, portarono in Sicilia due armate composte da 160 mila uomini e si avvalsero di  uno spiegamento imponente, costituito da 4.000 aerei, 285 navi da guerra e da 2775 unità di trasporto. I reggimenti italiani, sia pure non tanto equipaggiati, non erano né sparuti né spariti, come dice Sciascia, ma potevano contare su 170.000 uomini, mentre 30.000 erano i tedeschi, tutti ben equipaggiati. Vero è però che le forze anglo-americane fecero valere la schiacciante superiorità dell’aviazione, la quale, unitamente ai mezzi corazzati d’assalto, fecero la differenza. Francesco Renda, professore emerito di Storia Moderna presso l’Università di Palermo, nell’ultimo suo libro, Autobiografia politica, dell’ottobre 2007, afferma:

 “La costa, lunga oltre cento chilometri, non era validamente munita a sostenere l’onda d’urto della più poderosa spedizione mai prima avvenuta, superata l’anno dopo solo dallo sbarco in Normandia. Non fu invece una passeggiata l’occupazione militare del territorio isolano”

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E ciò è testimoniato dalle perdite militari: 4.278 morti tra i soldati italiani e 4.325 tra i tedeschi. Le perdite britanniche furono 12.843 (2.741 morti, 2.183 dispersi, 7.939 feriti). Le perdite americane 9.968 (686 dispersi, 6.471 feriti, 2.811 morti).
Volgendo al termine la guerra d’Africa, nel gennaio del 1943, a Casablanca, gli alleati posero mano al piano di guerra. La tesi di Churchill, già manifestata a Londra, era quella di tagliare subito l’Italia dal teatro di guerra dell’Europa nord-occidentale e dal Mediterraneo, al fine d’impegnare la Germania su un altro fronte – “nel suo ventre molle” come disse Churchill – , per passare poi speditamente ad un autentico accerchiamento delle armate tedesche. Perciò, all’Asse fu fatto credere che la guerra sarebbe stata portata in Sardegna, mentre l’obiettivo strategico era costituito dalla Sicilia. Per poter disporre di basi logistiche fu deciso che lo sbarco dovesse essere preceduto dalla conquista delle isole di Pantelleria e di Lampedusa.
Quanto al piano di sbarco, inizialmente era stato stabilito di condurlo su due direttrici: una da Sciacca verso Palermo e la seconda dalla punta orientale della Sicilia verso Siracusa-Catania.

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Ma si trattava di un fronte lunghissimo, nel quale le armate, in caso di difficoltà, non avrebbero trovato aiuto e supporto reciproco. I pareri non erano univoci, però il comandante in capo Eisenhower, facendo sue le obiezioni del generale inglese Montgomery, tagliò la testa al toro e impose un secondo piano, accantonando il primo.

Il piano definitivo, denominato “Husky”, prevedeva che l’ottava armata inglese, affidata a Sir Bernard Montgomery, sbarcasse tra Pachino e Siracusa, mentre il generale americano, George Patton, con la settima armata USA sbarcasse a Licata, Gela e Scoglitti. La contiguità degli sbarchi e la concentrazione delle forze avrebbe scongiurato possibili pericoli per tutta l’operazione.

L’OCCUPAZIONE DELL’ ISOLA DI LAMPEDUSA

 
Gli alleati si concentrarono sul piano d’azione soltanto a maggio, una volta chiusa la tremenda guerra d’Africa. Dopo i necessari preparativi, a Giugno sferrarono martellanti attacchi aerei su Pantelleria e Lampedusa.

Contestualmente vennero lanciati milioni di manifestini, che invitavano i soldati italiani e la popolazione a desistere dai combattimenti, agitando come effetto psicologico l’interrogativo “perché morire per Hitler?”.

Lampedusa, oltre ad un aeroporto militare, disponeva di una guarnigione di 4.000 uomini, nonché di cannoni navali della Marina Militare, di batterie antiaeree da 76/40 e di mitragliere, con tre compagnie di Fanteria del reggimento “Lupi di Toscana”, con un reparto del Genio ed una Compagnia lanciafiamme. Nell’isola erano dislocati tre MAS, nonché una nave ospedale. Il 6 giugno  sabotatori sbarcati da tre motovedette erano stati respinti, diversi aerei erano stati abbattuti dalla contraerea, sia a Lampedusa che a Linosa. Gli aerei alleati però intensificarono i bombardamenti, martellando l’isola ad ondate successive con 150 aerei. Lo sbarco decisivo di soldati indiani, del 2° Goldstream Battalion, avvenne il 12 giugno. Gli inglesi il 13 giugno 1943 resero onori militari alla bandiera italiana e alla sua guarnigione che si era difesa strenuamente. L’11 giugno era stata già presa Pantelleria.

L’ORA “X” A LICATA

Lo sbarco di Licata fu fatto precedere da bombardamenti su tutta la Sicilia, che avevano lo scopo di fiaccare la resistenza e di colpire il morale degli eserciti e della popolazione, già duramente provati da tre anni di guerra.

La guerra che la propaganda fascista aveva annunciato come già vinta il giorno in cui, 10 giugno 1940, l’Italia l’aveva dichiarata, aveva estenuato la popolazione siciliana.

Lo sbarco, quindi, avvenne nel momento più propizio per gli alleati, cioè allorchè le truppe italiane erano sfiduciate, a causa di una guerra che non sentivano né potevano sentire propria.

Fu un americano (di un battaglione della terza divisione di fanteria rinforzata USA, al comando del col. Brady) a mettere per primo piede sulla spiaggia di Mollarella di Licata, alle ore 03.00 del 10 luglio 1943.

Era una notte di forte vento e le operazioni di sbarco e il lancio di truppe aviotrasportate furono ardue. Tuttavia i bombardamenti aerei e l’appoggio dello spiegamento navale permisero di stabilire immediatamente una testa di ponte. Racconta il libro di Gaetano Allotta:

“L’ora “X” per Licata scattò verso le due della notte del 10 luglio 1943, quando una numerosa squadra navale anglo-americana, forte di almeno due navi di battaglia, diversi incrociatori e cacciatorpediniere, si presentò davanti alle coste licatesi, sparando contro le colline della piana.”

Non fu uno sbarco indolore: nella stessa mattinata la nave americana “Maddox” era colata a picco con 211 vittime, colpita da uno Ju-88 tedesco, e così il dragamine “Sentinel” a Mollarella.

Gli alleati cercarono di dissuadere militari e civili italiani con una miriade di manifestini.

GLI AMERICANI NELLA TERRA DI PIRANDELLO

La controffensiva italo-tedesca, nei pressi di Favarotta, contrada Musta e Campobello di Licata fu vinta grazie alla superiorità militare degli alleati e alle continue incursioni aeree. Così le truppe americane poterono aggirare l’esercito nemico, conquistando, tappa dopo tappa, tutto l’agrigentino, cannoneggiato dal mare e bombardato dall’alto.
Agrigento si stava preparando a ricevere l’urto degli americani difendendo i suoi templi, come testimonia la foto sotto, con la protezione, con sacchi di terra, del Tempio più importante, quello della Concordia, il più famoso al mondo della mitica valle.

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Ma il 12 luglio, ad appena 2 giorni dallo sbarco, una devastante incursione aerea americana colpì un rifugio improvvisato per civili, tra la chiesa di San Francesco d’Assisi e quella di San Pietro, proprio nella via oggi chiamata Pirandello, nella quale il Premio Nobel aveva abitato da ragazzo.

Il bilancio delle vittime fu pesantissimo, perché morirono ben 340 inermi cittadini. In serata altre incursioni distrussero letteralmente la caserma “Crispi”.

A Porto Empedocle, già in precedenza bombardata, le forze da sbarco americane entrarono il 16 luglio

Esse proseguirono per il capoluogo, dove entrarono il 16 luglio sul Viale della Vittoria, la Passeggiata tanto citata da Pirandello, mentre altre truppe americane giungevano dall’interno.

Con la caduta di Sciacca e Menfi, gli americani erano riusciti a completare la conquista di tutto l’agrigentino in dieci giorni, proseguendo poi spediti verso Palermo.

STRAGI

 I MAROCCHINI – Non mancarono gli episodi inquietanti che destarono grande scalpore. Intanto, un battaglione di marocchini, rappresentanza francese  alla spedizione sbarcata a Licata, come riferisce Sandro Attanasio nel suo libro “Sicilia senza Italia”, si distinse per rapine e stupri. Dalla gente del posto, le donne furono fatte nascondere nei pozzi, nei pagliai e in altri rifugi. Lo storico narra che un gruppo di mori, penetrato in una casa, si diede a violentare tutte le donne della famiglia (un episodio di inaudita violenza che ricorda quello del romanzo di Alberto Moravia e dell’omonimo film con Sofia Loren, La ciociara).

Ci furono immediate e violente reazioni e molti marocchini furono finiti a roncolate e fucilate. Le autorità americane poco facevano per impedire o punire l’ignobile comportamento dei loro alleati nord-africani, né si preoccuparono delle reazioni dei familiari. Dice, nell’opera citata, Sandro Attanasio:

“Quasi tutte le perdite avute dai reparti marocchini durante la campagna di Sicilia, furono dovute alla reazione della popolazione che puniva prontamente e in maniera terribile la lascivia dei nordafricani. Molti di loro finirono in pasto ai maiali, o sbudellati ed evirati”

 LA STRAGE DIMENTICATA DI CANICATTI’ – I bombardamenti su Canicattì del 13 luglio 1943 avevano danneggiato molti edifici, tra cui una saponeria.

Attraverso i varchi dei bombardamenti, l’azienda, l’indomani, fu invasa da saccheggiatori. Un colonnello americano dell’Amgot (Amministrazione alleata per l’ordine pubblico), giunto sul posto, ordinò ai tre militari che lo avevano accompagnato  di sparare alle persone che si trovavano sul posto; ma di fronte al reciso rifiuto provvide personalmente, sparando all’impazzata, lasciando a terra 18 persone, tra morti e feriti.
I TEDESCHI VENDICANO LO SMACCO – Il militare americano Norris H. Perkins nel suo libro “North African Odyssey” narra di una strage di sei inermi civili di Canicattì da parte dei tedeschi, inviperiti perché i civili esultavano per l’arrivo degli alleati:

“Invero noi abbiamo appreso più tardi che, quando un gruppo di civili a Canicattì si erano messi ad esultare nel sentire che gli americani stavano arrivando, essi furono raggiunti dal fuoco tedesco”

LA STRAGE DI BISCARI –  Nell’aeroporto di Biscari, vicino Caltagirone, preso dagli americani il 14 luglio, furono uccisi senza giustificazione 76 prigionieri, in gran parte italiani e il resto tedeschi. Le autorità incriminarono due graduati, il sergente West e il capitano Compton, i quali si giustificarono, affermando che il generale Patton, famoso come “generale d’acciaio”, aveva dato ordini in tal senso. Patton, sentito, ammise di aver tenuto un discorso abbastanza sanguinario alla truppa, per determinarla  in battaglia, ma escluse di aver dato ordine di uccidere prigionieri. Il sergente West fu condannato all’ergastolo, mentre il capitano Compton fu assolto. Ma va considerato che fu facile scaricare ogni colpa su Patton, nel frattempo morto (dicembre 1945).

DEL PRESUNTO COINVOLGIMENTO DELLA MAFIA

Molto si è scritto sul presunto coinvolgimento della mafia  nello sbarco. A sgombrare il campo da questa fola, come viene ritenuta unanimemente dagli storici, vale la dichiarazione di uno storico assai rigoroso, qual è Francesco Renda, che afferma nella sua opera “Storia della Sicilia – Lo sbarco alleato”: il coinvolgimento della mafia è “un mito, mai provato da documenti e ricerche”.
Sandro Attanasio, nell’opera citata, è più radicale:

”La leggenda che l’operazione Husky ebbe successo grazie alla protezione della mafia è soltanto una leggenda che “Cosa Nostra” ingigantì per ingigantire la propria potenza. In realtà, la mafia siciliana era allora in ginocchio”

Bill Corvo, figlio di quel Max Biagio Corvo, capo dell’Office of Strategic Service Sezione Italia, dichiarò che il padre aveva rifiutato l’incontro con Lucky Luciano, perché Luciano non aveva alcun contatto serio con qualcuno in Sicilia, da cui era partito all’età di 4 anni, ed era all’epoca assai screditato. Inoltre, gli americani con i mezzi aerei a disposizione furono in grado di radiografare la situazione militare italo-tedesca dell’intera isola e non avevano certo bisogno di aiuti da parte della mafia, che non aveva alcuna competenza e conoscenza militare.

 

Categoria: Storia AgrigentoTag: agrigento storia

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