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Licata: Rosa Balistreri

16 Novembre 2014 //  by Elio Di Bella

di Calogero Carità
Rosa Balistreri (nata a Licata il 25 marzo 1927), scomparsa prematuramente vent’anni fa a Palermo (20 settembre 1990), non solo non è stata mai dimenticata, ma finalmente, purtroppo da morta, ha ritrovato quel rapporto affettivo con la sua città natale, Licata, che l’aveva ignorata mentre ovunque con il suo cantare riscuoteva grandi successi. “Quannu iu moru faciti can un moru………quannu iu moru, cantati li me canti/ ‘un li scurdati cantatili pi l’autri…….quannu iu moru pinzatimi ogni tantu”. Così Rosa diceva nella sua canzone, con parole di Lillo Catania, pubblicata postuma nel 1997 in “Rari e Inediti” a cura di Teatro del Sole, diventato il brano che maggiormente la rappresenta a livellointernazionale e universalmente considerato il suo testamento artistico. E in effetti quanto Rosa chiedeva in questa mesta canzone, presentata sul finire degli anni ’80 dello scorso secolo nello studio di una piccola radio privata di Palermo e cantata per l’amico Felice Liotti, si è pienamente realizzato. La sua figura, la sua voce da carrettiera, il suo ricco repertorio di cantante, sono rimasti vivi nelpopolo siciliano e sono diventati patrimonio di tantissimi giovani cantanti di musica folk e popolare.
Soprattutto Rosa è ritornata a rivivere nella sua Licata che ormai non la guarda più come quella povera proletaria che viveva di stenti con la sua numerosa famiglia in quell’umido basso in fondo a via Marianello, parte di un fatiscente ed umido fabbricato edificato nella prima metà dell’ottocento per ospitarvi il lazzaretto dei colerici. Licata alla memoria di Rosa ha intitolato una strada, un centro culturale presso l’antico chiostro di Sant’Angelo, ha murato in via Martinez, angolo via Sant’Andrea, nel cuore dei quattro Canti, un’epigrafe presso un umile piano
terreno che fu sua dimora dopo aver sposato, prima col rito civile il 28 ottobre 1944 e poi col rito religioso il 17 luglio 1948, Giacomo Torregrossa,  “Iachinazzu”, come lei stesso lo chiamava in modo dispregiativo. A Rosa l’amministrazione comunale retta dal prof. Ernesto Licata aveva persino  dedicato un festival internazionale estivo di musica folk, intitolato “Una Rosa per Rosa” ed aveva contribuito per la riedizione in cd di tutto il suo ricco e variegato repertorio.

E di Rosa per lungo tempo si era occupata la stampa periodica e specializzata con articoli e servizi e la sua vicenda umana ed artistica interessò anche l’editoria. Di lei hanno scritto Giuseppe Cantavenere, con una biografia a lui dettata dall’artista licatese apparsa nelle edizioni   “La Luna” nel 1992, da anni ormai esaurita, “Rosa Balistreri: una grande  cantante folk racconta la sua vita” e Camillo Vecchio con il saggio “U cuntu ca cuntu. La vita di Rosa Balistreri”, pubblicato dal gruppo editoriale DMG nel 2002. Ma in verità ce ne siamo occupati anche noi continuamente con articoli su riviste siciliane e sul mensile “La Vedetta”. Nel 1996 dall’allora assessore al turismo Francesca Muscarella ci venne chiesto di scrivere per l’estate licatese una biografia di Rosa che in breve tempo attingendo a fonti giornalistiche e a recensioni musicali riuscimmo a mettere insieme per la stampa in breve tempo.

Nacque così un agevole volumetto di appena 48 pagine dal titolo “Rosa Balistreri, l’ultima cantastoria”, completo nella suabrevità anche di una antologia delle sue più belle canzoni. Volumetto ahimè,oggi molto richiesto, ma esaurito. Ma riteniamo, senza timore di essere smentiti, che il saggio più completo sulla vita e sull’opera di Rosa Balistreridebba essere considerato l’interessante ricerca del dott. Nicolò La Perna, che ci ha onorati di prefare e di pubblicare nelle edizioni de La Vedetta.”Rusidda a Licatisi” è il titolo significativo che Nicolò La Perna ha voluto dare al suo libro, un titolo che manifesta affetto e simpatia per questa donnasventurata che conobbe il successo solo in età avanzata, dopo aver patito la miseria e l’umiliazione, dopo aver conosciuto il carcere a Licata per aver tentato di uccidere in un momento di odio e di rabbia il marito ubriacone,giocatore sfaccendato che aveva persino giocato il corredino di sua figlia e a Palermo per aver rubato a casa di un nobile signore raggirata e spinta da un giovane signorotto appartenente a quella famiglia, dopo aver subito e respintole avances di un prete palermitano sconsiderato che la teneva come sagrestana nella propria chiesa, dopo aver sofferto a Firenze per l’uccisione della sorella Maria da parte del marito geloso, per il suicidio del padre Emanuele  impiccatosi per il dolore ad un albero sul lungo Arno, per le amarezze patite dalla figlia Angela e per la delusione subita dopo una lunga parentesi amorosa durata tre anni, dal pittore Manfredi Lombardi, che l’aveva lasciata per una
sua modella molto giovane e bella, spingendola a cercare il suicidio.

A Nicolò La Perna, che da dieci anni cura in maniera encomiabile nell’ambito di un apposito service del Lions Club licatese un concorso di poesie e canzoni dialettali e popolari dedicato a Rosa, non sfugge nulla della vita dell’illustre licatese e della sua attività artistica, inserita nel più ampio panorama del canto popolare siciliano, antichissimo come antichissimo è il nostro popolo, di cui ci elenca le fonti e i suoi maggiori studiosi, quali Alberto Favara (Salemi1863-1923), etnomusicologo, Lionardo Vigo (Acireale 1799-1879), poeta e filologo, Giuseppe Pitrè (Palermo 1841-1916), scrittore e folclorista, Francesco P. Frontini (1860-1939), musicista e compositore, Salvatore Salomone Marino (Borgetto 1847-1916), folclorista. E del canto siciliano, attingendo e alla sua cultura di musicista e musicologo, ci illustra anche con dovizia di particolari la struttura poetico-musicale e soprattutto la struttura musicale della canzone popolare.Su Rosa indaga a tutto campo. Ci parla del suo rapporto con la religione, che era la religiosità semplice del popolo siciliano che si traduce nelle
appassionate e melodiose canzoni dedicate alle festività natalizie e a quelle tristi e sentite della settimana santa che trova il massimo della sua passione in “Venniri matinu”, patrimonio della cultura religiosa e popolare licatese.

Ma ci parla anche del suo rapporto con la politica e contro il fenomeno mafioso specie dopo il suo indottrinamento da parte degli amici della sinistra storica dell’epoca, Ciccio Busacca, Ignazio Buttitta (Bagheria 1899-1997) che scrissero molti dei brani da lei interpretati, Leonardo Sciascia (Racalmuto 1921-1989), Renato Guttuso (Bagheria 1911-Roma 1987) e Dario Fo che ne scoprì il suo genio e l’avviò al teatro che seppe condividere col canto. Infatti la vediamo recitare a Firenze nel 1968 col teatro Stabile di Catania in “La Rosa di zolfo” di Antonio Aniante, mentre nel 1978 recitò e cantò a Palermo
al Biondo ne “La ballata del sale”, scritta appositamente per lei da Salvo Licata”, negli anni ottanta partecipò a “La Lupa” di Giovanni Verga con Anna Proclemer, recitò anche ne “La lunga notte di Medea”, diretta da Corrado Alvaro, con Piera degli Espositi, impersonando Medea, a Gibellina nelle “Eumeneidi” di Emilio Isgrò, interpretando la Pizia, in “Bambulè” di
Salvo Licata che rappresentò il momento più felice della sua esperienza teatrale e nel “Cortile degli Aragonesi” che segnò il suo epilogo .

Categoria: Storia ComuniTag: licata

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