di Andrea Carisi
Alla fine degli anni ‘40, ma anche fino al 1955-56, i ragazzi si recavano a San Leone a piedi. In comitiva si programmava la giornata con panini e uova sode (ma anche carciofi lessi e frittata di patate) e in allegra compagnia, cantando filastrocche e stornelli del tipo “Olio, olio, olio minerale” si scendeva al mare. San Leone, a quei tempi, conservava l’aspetto del borgo marino.
Le case erano soltanto quelle sul lungomare e qualcuna più indietro da una parte fino a piano Micari e dall’altra fino a “U ceusu”. Il lungomare era ad unica carreggiata ed era l’unica strada con il manto asfaltato perché quelle interne erano ancora tutte in terra battuta. Le onde si frangevano sugli scogli lasciando intorno l’odore della salsedine.

La spiaggia più frequentata era la “babbaluciara” e l’unico stabilimento balneare era su palafitte di legno, si chiamava “lo Chalet” e si trovava dirimpetto il negozio di generi alimentari di donna Maria detta “a narisa”. Più tardi il marchese Franz Borsellino, con i soci Giambertoni, Granata e Amato (lo zio di Giuliano Amato, l’ex Ministro del Tesoro) costituirà una società denominata “Aster” e darà vita al primo stabilimento balneare in muratura che si chiamerà “Castello del Mare”. In seguito, fallita la società, la struttura sarà rilevata all’asta dall’appena ventenne geometra Dima Borsellino che nel 1954 l’affitterà al cav. Umberto Vinci detto “Passuluni”, che collaborato dal figlio Pio (detto Piluvinci) lo gestirà per più di trent’anni. L’unica trattoria era quella del cav. Luigi Agozzino (in seguito la gestirà Ciccio Taglialavoro).

L’insegna era rappresentata dalla dicitura “l’Allegria” e da un grande polpo dipinto sull’intonaco del prospetto dal nipote Pippo che negli anni a seguire si affermerà, fuori Agrigento, valentissimo artista. Nel 1946 funzionava ancora il Cinema “Arena”, anch’esso gestito dal cav. Agozzino, ma già nel 1948 il cinema non funzionava più e lo spazio, ormai libero dalle sedie, lo si occupava per dare quattro calci al pallone.
Nei primi anni ‘50 nell’ambito della “Estate agrigentina”, al piazzale Caratozzolo, cominciarono ad organizzarsi spettacoli di musica e canzoni con la presenza di numerosi musicisti e cantanti agrigentini. Sul palcoscenico presentati dal giovane Mimmo Malarbì, ricevevano scroscianti e prolungati applausi: Gasparino Bruccoleri con “Malafemmina” accompagnato da Aldo Sala alla chitarra e Attilio Tricarichi al violino, Umberto Gucciardo con “Vecchie mura” e “Lanterna bleu”, Giulio Cristallini con “Rondine al nido”, Benito Lo Dico con “Le foglie morte” e “Estasi d’amore”, Marco Sanfilippo con “Serenata del vecchio cow boy”, Ignazio Cacciatore con “U me jadduzzo” di Franco Li Causi, Tony Luisi (alias Salvatore Li Causi) con il suo brano “Jole”, Pino Alù con “Malauena” e “Malasierra”, Salvatore Cucchiara (prima Salvino, poi Tony) con “Moonlight serenade” e “Perché non sognar”, Paolo Dini (alias rag. Eugenio Sardini) con la celebre aria dall’opera di Bizet “I pescatori di perle”, il clarinettista Pasquale Gallo con “Il ballo del taglialegna” e “Harlem Nocturne”, Pippo Flora e Eugenio Jacobs eccellentissimi pianisti Jazz, Aldo Bazan e Pasquale Grenci (poi Sasà) che con le loro fisarmoniche eseguivano virtuosamente il primo la celeberrima mazurca del Migliavacca e il secondo “Caravan” e “Solitude” di Duke Ellington.
E poi Toti Moscato, Stefano Messina (detto Nuccio), Lillo Battaglia, Franco Cumbo, Pino Pullara, Aldo Mandracchia, Gianni Rizzo, Ciccio Vizzini, Franco Caponnetto, Pippo Caracciolo, Italo Cuffaro, il duo Nino e Gaspare Di Giovanni e Pippo Frattigiani (detto Peppe Frattivaschi) che in seguito diventerà ottimo batterista in giro per il mondo sulle navi da crociera. Tra le ragazze Graziella Ragona, Agata Provata, Vera Craxi, Maria Callea, e più tardi Maria Lupo.
San Leone scoppiava di umanità ed anche se la gioventù di allora era definita “scalza e sbrindellata” per via della penuria dei tempi, non si può non ricordare quelli che sono stati i giorni dei nostri vent’anni vissuti nella più affascinante semplicità.
I primi anni ’50 invece vedono, ad Agrigento, un’autentica esplosione del divertimento. Era una quasi affannosa ricerca di allegria, come se gli agrigentini desiderassero fornire a sé stessi un risarcimento per i lunghi anni dell’immediato dopoguerra e delle tante privazioni subite a causa del conflitto.
La voglia di divertirsi è tanta e questa si riflette soprattutto nella moda del ballare che sostituisce nei giovani di allora l’attività sportiva (comunque sempre praticata), il cinema e l’ascolto dei programmi della radio (gli unici svaghi del tempo).
Bisogna ricordare che verso la fine del 1949 cominciano a scomparire i vecchi dischi a 78 giri, fragilissimi e pesanti, che obbligavano il cambio continuo delle puntine del grammofono incorporato all’apparecchio radio inamovibile perché costruito in pesantissimo massello e con l’angolo dei ripiani bar per riporre le bottiglie dei liquori del tempo, il più delle volte confezionati a casa. La novità in assoluto stava nel successo dei nuovi dischi microsolco a 33 e 45 giri che si potevano ascoltare con le prime valigette trasportabili e questo era addirittura clamoroso intanto perché i dischi contenevano la registrazione di più brani musicali e poi perché gli stessi offrivano una maggiore fedeltà del suono e l’eliminazione degli odiatissimi fruscii.
Ad Agrigento non c’erano però sale da ballo. Soltanto in occasioni particolari si organizzavano serate danzanti al Circolo Empedocleo, al Circolo dei Nobili, nei saloni di Santo Spirito e qualche volta nella palestra dell’ex GIL e al Circolo del Tennis nel quartiere di San Vito.
serata danzante al circolo empedocleoL’assidua frequenza del ballo era comunque assicurata nei pomeriggi del sabato e della domenica nelle case di abitazioni dopo aver convinto i genitori a spostare il tavolo della stanza da pranzo e accostare alle pareti tutte le sedie disponibili, dato che a quel tempo nessuno possedeva nell’appartamento vasti saloni di intrattenimento. Evidentemente era impensabile fare le ore piccole perché bisognava, sempre in comitiva e mai da soli, accompagnare le ragazze a casa e non dopo le dieci di sera.
I balli più richiesti erano il fox-trot, lo slow, il tango argentino, il valzer serenata, la beguine e soltanto quando gli animi si riscaldavano, la raspa, lo spirù, la conga, il samba e l’intramontabile boogie-woogie. Le canzoni e i ritmi differivano tra ceto e ceto. Nei quartieri popolari furoreggiavano le musiche di Franco Li Causi mentre nelle case cosiddette borghesi si preferivano dischi di estrazione americana con i motivi conosciuti attraverso film musicali del tempo che echeggiavano le arie delle “Bands” di Tommy Dorsey, Artie Shaw, Stan Kenton, Xavier Cugat, Ray Connif e che accompagnavano le canzoni di Frank Sinatra e Bing Crosby, tanto per citare i cantanti più noti. Durante lo svolgimento dei pomeriggi musicali i giovani di allora suscitavano entusiasmi ed emozioni e per la loro naturale propensione ai virtuosismi e per l’affiatamento di coppia (soprattutto sorella e fratello) che permetteva l’eleganza nei volteggi e un ritmato tempismo delle figurazioni.
Negli anni compresi tra il 1950 e il 1958 possiamo riaccendere le luci della ribalta per ricordare le frenetiche ma anche morbide evoluzioni di Mariuccia e Benito Basile, di Cettina e Giulio Bonanno, di Antonietta e Impero Terrasi di Totò Bruccoleri e Carmelina Interlandi anche se assieme a queste coppie, secondo la scelta della “dama” e del “cavaliere” possiamo anche ricordare la bravura di Costantino Milano, Carmelo Bellavia, Stefano Barragato, Pino Alù, Esterina Ciulla, Rosetta Messina, Anna Maria Lauricella, Anna Gioia, Cettina Mangione, Elvira Iacono e ovviamente tanti altri che ci perdoneranno delle mancate citazioni ricordando che le stesse sono dovute alle comuni dimenticanze di un tempo, ormai, tanto lontano.
tratto da Fuorivista, di Andrea Carisi
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