La fotografia da tempo è entrata nella storia, non solo per il grande contributo documentale delle immagini, spesso vera e inoppugnabile testimonianza della verità storica, ma anche come settore di ricerca. Da diversi decenni, infatti, in Italia e all’estero sono apparse numerose pubblicazioni sulle origini della fotografia, sulla sua diffusione e sui numerosi esponenti in Europa e nel mondo.
Sono delle ricerche di estremo interesse e appassionanti quelle sulla meravigliosa scatola delle illusioni. È nato un filone storiografico nuovo, ormai abbastanza assodato e seguito. Affascina anche per quelle copiose immagini che aiutano a ritrovare le nostre radici, i volti dei progenitori restituendoci anche brani di vita e la fisionomia delle nostre città, prima che una dissennata espansione edilizia travolgesse ogni cosa.
A questa interessante costruzione della memoria fotografica hanno contribuito tanti uomini intelligenti e a volte veri pionieri, con un vissuto umano spesso pieno di fascino e suggestivo come le immagini che hanno prodotto usando strumenti e procedimenti assai differenti da quelli automatici e automatizzanti dei nostri giorni e del grande processo tecnologico ed elettronico.
Per avere un quadro generale, brevemente ricordiamo che la fotografia, frutto di tante invenzioni, alcune lontane nel tempo come la camera oscura di Leonardo del 1520, nasce ufficialmente nel 1839. In quell’anno, infatti, sia Luis Jacques Mandé Daguerre (1787-1851) che William Henry Fox Talbot (1800-1877) pubblicizzarono le loro singolari invenzioni. Il francese, utilizzando alcuni processi del vero padre della fotografia Joseph Nìépce (1765-1833), comunica all’Accademia (7 gennaio), alla Camera del Deputati (3 giugno) e in pubblico (19 agosto), tramite il suo segretario Arago, il processo Daguerre. L’inglese in quell’anno arriva alla creazione del fototipo e della fotocopia, inventando il negativo, cioè la possibilità di moltiplicare la stampa di una stessa immagine, al contrario dei francesi che producevano esemplari unici.
L’arte fotografica arrivò ad Agrigento a distanza di una diecina di anni dalla sua invenzione. Questo dimostra come la città dei templi, e tutta l’Isola, contrariamente alla tesi del Gentile, non fu mai sequestrata e lontana dalle innovazioni e scoperte, o dalle nuove teorie e idee circolanti nel resto d’Italia e d’Europa, ma era inserita nel grande movimento del progresso storico. La fotografia ebbe un grande successo in città e se prima solo la classe aristocratica e ricca aveva la possibilità di farsi fotografare andando a Palermo o altrove (vedi foto n.1), presto tutti ebbero la possibilità di essere immortalati recandosi negli stabilimenti fotografici e negli studi di alcuni intraprendenti agrigentini.
I fotografi attivi in città e di cui si ha notizia, sono Giuseppe Gallego (1833-1901), Agatocle Politi (1841-1907), Alessandro Politi (1847- ?), Angelo Amoroso (1864-1944), Francesco Campagna (1867-1932) con la moglie Maria Grita (1874-1927), Emanuele Gramitto ( ? ) con la moglie Rosina Grita (1868-1928). Maria e Rosina Grita appartenevano alla grande famiglia di fotografi originari di Caltagirone. Figlie di Salvatore, assieme al fratello Michele impararono l’arte fotografica dal padre e nell’atto di morte redatto presso il comune di Agrigento, sia loro che la madre sono dette di professione fotografa. A questo primo gruppo di fotografi più antichi vanno aggiunti gli altri che hanno operato nella città dei templi successivamente e cioè, i fratelli Lo Bianco da Sciacca, Fabio Politi (1875-1953), Giuseppe Lazzano (1896-1979), Edoardo Capostagno (1907-1989), Vincenzo Piro (1906-1989) e Vitellaro, Romano, Nobile, Elio e Arena.
IL PRIMO FOTOGRAFO AGRIGENTINO
Dalla documentazione raccolta, risulta che il primo fotografo di Agrigento fu Giuseppe Gallego, attivo con molta probabilità attorno al 1855. I suoi preziosi dagherrotipi, costituiscono 1’archeo1ogia della fotografia agrigentina (vedi foto nn. 3-13).
Dagli atti di nascita e morte dell’Archivio del Comune di Agrigento e dai registri di battesimo e morte degli Archivi delle Parrocchie della stessa città, risulta che Giuseppe Gallego con certezza è nato il 29 luglio del 1833, al Piano Gamez, quartiere San Pietro – Agrigento. Suo padre, don Ottavio, aroniatario, e sua madre, donna Maria Sterlini, appartenevano a due famiglie benestanti dell’Agrigento dell’Ottocento.
Uno zio, Gaetano Gallego, beneficiale della Cattedrale, fu parroco di San Michele dal 1845 al 1853 quando fu promosso Canonico della Cattedrale. Ebbe altri fratelli e sorelle tra cui i gemelli Davide e Maria Stella nati l’8 marzo del 1842; una sorella di nome Giulia, muore nubile il 10 febbraio 1909 a 79 anni. Il padre, invece, muore a 70 anni il 7 marzo 1879. Il nostro fotografo, invece, si spegnerà nella sua abitazione di via Garibaldi a 68 anni, il 2 luglio 1901, vedovo di Gaetana Belmonte. Nell’atto di morte è detto fotografo. Amante dell’arte, da Raffaello Politi, in un suo lavoro su I plastificatori di Caltagirone Bongiovanni e Vaccaro, (Girgenti 1858, p. 15), è citato tra i giovani abili nel modellare la creta e che si distinguevano per la bravura tecnica e l’inventiva nella composizione.
Amante della pittura, come quasi tutti i fotograti dell’Ottocento, anche il Gallego si dichiara Pittore Fotografo. Nella sagrestia della Chiesa di San Calogero di Agrigento si conserva una splendida tela della Madonna della Lettera, che in basso porla la scritta «Per devozione di Giuseppe Gallego». Non sappiamo se egli sia stato anche il pittore di questa bella tela. Era un fervente devoto di San Calogero. Dalla monografia di Domenico De Gregorio sul Santo nero di Agrigento apprendiamo che il volto dei Santo «nero come la pece, attorno al 1876, per opera di Giuseppe Gallego fu alquanto rischiarito» (De Gregorio 1977: 179). Inoltre il nostro fotografo fu «tra i responsabili della confraternita di San Calogero, che risorse verso il 1880 mercé il grande impulso dato dal Gallego e poi da Giuseppe Lombardo» (Ivi: 103, 111). Aderì al movimento rivoluzionario anti-borbonico.
Oltre ai dagherrotipi del Gallego, presentiamo in questo articolo i risultati di una ricerca iniziata nel 1989 in occasione del 150° anniversario della nascita della fotografia. Il primo tentativo di mettere in risalto e far conoscere la storia della fotografia agrigentina è stato realizzato dallo scrivente con una grande mostra dal titolo La memoria fotografata (1855-1955. Un secolo di fotografia ad Agrigento.
In occasione di questa ricorrenza, inserita nella Sagra della Primavera è stata realizzata nel pianterreno della cosiddetta Casa Filippazzo, nella Salita S. Antonio, in una zona di grande rilevanza architettonica per la presenza di alcuni frammenti appartenenti a un palazzo della ricca nobiltà agrigentina del Quattrocento, giunta a un fasto così elevato da permettersi di far venire in città il più grande architetto dell’epoca e della storia della Sicilia, Matteo Carnilivari. L’iniziativa si proponeva anche di far rivivere il centro storico e richiamare 1’interesse dei visitatori e degli studiosi su questo angolo nascosto e prestigioso del tessuto urbano.
L’iniziativa è stata ideata e realizzata dalle Edizioni Centro Culturale Pirandello, che ha effettuato la ricerca e curato l’allesti-mento. Nella mostra sono state esposte preziose foto fornite da alcune famiglie agrigentine e dal mio archivio personale che qui pubblichiamo. La mostra è stata articolata in 3 sezioni: 1) Fotografi agrigentini; 2) I grandi fotografi ad Agrigento; 3) Volti di personaggi pirandelliani. Nella prima sezione sono stati illustrati e presentati i fotografi agrigentini sopra nominati. Nella seconda sezione vennero presentate delle foto di estremo interesse scattate ad Agrigento durante le loro campagne fotografiche da celebri autori come Giorgio Sommer (1834-1914) e dai fratelli Alinari.
L’ultima parte, infine, documenta il volto reale di alcuni personaggi agrigentini che Pirandello immortalò in alcune sue opere; personaggi che Pirandello incontrò nelle vie della vecchia Girgenti che registrò, con la sua memoria fotografica, incancellabilmente, facendole poi vivere, con le loro storie umane, nelle sue Novelle per un anno, ne I vecchi e i giovani e nell’Esclusa…
di Biagio Alessi
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