Il tempio della Concordia, color dell’oro, ci balza innanzi, intatto.
Alla sua sinistra è il tempio di Giunone, simile ad un’arpa, per l’unica ala di colonne ancora superstite, da cui il vento sonoro desta musiche e inni; a destra il tempio di Ercole, quello di Giove Olimpico, dei Dioscuri, di Vulcano.
Un mondo di esibizioni ineffabili.
Una misteriosa potenza si sprigiona dalla terra, ci toglie a noi stessi e ci trasporta in un passato, da cui la realtà si proietta come leggenda, rompendo i secoli. Nulla mutato: oggi come nei lontanissimi millenni. Qui Agrigento scandiva sulla pietra un sogno di grandezza; per i larghi peristili di questi tempii, attorno ai quali il silenzio è quasi tangibile, s’ingolfarono le teorie delle fanciulle agrigentine, mentre presso le are si levavano preghiere e sui tripodi fumavano incensi. Nella dolce malinconia di questa pace abbandonata, propria dei luoghi deserti, nei quali s’è svolta una grande civiltà, mille echi rompono dalle solitudini mortali d’un tempo irrevocabile, si fondono con le voci delle cose, con i canti rari degli uccelli, con lo scattar delle gemme, con i ronzìi degli insetti che trapungono l’aria trasparente, nella quale esita e si allarga l’esametro pensoso di Empedocle.
Da questi templi infiniti occhi mortali hanno guardato la pianura, si son fissati sulla torretta giunta a noi col nome di Tomba di Terone; si sono spinti fino al mare in religiosa contemplazione.

Tra i massi del tempio di Giove Olimpico, vere frane di montagne, tra questi avanzi d’un’età favolosa, che fanno pensare allo sforzo d’una gigantomachia vinta e atterrata, il Goethe sedette estatico, accogliendo i richiami che gli giungevano dal vicino tempio dei Dioscuri, non più solitario in mezzo a un boschetto di mandorli, ma centro del recinto sacro che abbraccia un numero considerevole di are insolcate dagli aratri, di tempietti, di botroi che risalgono all’8° secolo av. Cr.
Fermiamoci muti in ascolto; la natura è come assorta dinanzi all’invisibile.
Vanno ancora le vergini lievi tra le are, invocando le divinità sotterranee?
Per me e per l’amico Longo non son nuove tali soste, in tutte le stagioni. Ed è vivo il ricordo delle mattinate del Sabato Santo trascorse nella scalea della Concordia, o nel tempio di Giunone più isolato, più agile e femmineo, sulla punta estrema dell’altopiano che cade a picco a levante, su la valle punteggiata di stroppe e di giummare incastrate tra bianche rocce calcari. Un suono di campane arrivava debole dalla città, spandendosi armonioso per i poggi verdi.
Come un fremito di cetre si levava allora per l’aria, le colonne doriche vibravano d’infinite suggestioni. Pasqua di resurrezione e Pasqua di Gea, Cristo tornante ai cieli, Persefone alla madre.
Qui s’intende Persefone che viene con la primavera, carica di fiori, Persefone che se ne va, trascorsa l’estate con la frutta saporosa e le bionde spighe.
Arrivino pure ansiti di automobili dallo stradale di S. Leone, da quello di Palma Montechiaro, lungo, tra feudi solitari. Si levino schegge di canti passionali dalle scabre mulattiere fiancheggiate da agavi o correnti sull’orlo di qualche bionda cava di pietra; vengano dai viottoli serpeggianti tra i mandorli e i tronchi stravolti degli ulivi saraceni; saettino, in estate, dalle fervide aie ribollenti a S. Leonardo, a S. Gregorio, a la Montelusa, al Cannatello, nei punti più remoti, sotto la calura che cuoce e spacca le pietre, seminando la desolazione intorno alle rovine che acquistano risalto e grandeggiano, più maestose, nella solitudine.
Questa terra di sogno è fatta per trasportare sulle ali della fantasia verso convegni sconociuti, verso sponde irremeabili.
tempi di giunoneSi cammina su un mondo desideroso di luce. Tutta la città è a fior di terra e se anche i suoi resti furon saccheggiati, se sono stati adibiti per case coloniche, se tamburi di colonne stanno serrati fra le pietre dei muriccioli divisionali, se gli stessi muriccioli son la città irrimediabilmente frantumata, non per questo la terra è meno ricca, e aspetta solo di essere esplorata.
Un intervento dello Stato per l’esproprio dei terreni e per gli scavi, in modo particolare nella città romanizzata, illustrerebbe millenni di storia.
In contrada Giacatello, nei pressi della Chiesa di S. Nicola, è stato scoperto l’inizio d un grande ipogeo sostenuto da pilastri e intonacato con malta e coccio pesto. Il prof. Francesco Sinatra l’ha esplorato a parecchie riprese, in una delle quali gli sono stato compagno.
Egli è l’anima di questo risveglio, da quando s’iniziarono gli scavi, sotto la direzione di Pirro Marconi e con la munificenza di Alex Hardcastle, che ora dorme nel cimitero, presso il muro di cinta, dov’è una piccola apertura dalla quale può guardare, come era suo desiderio, le reliquie del tempio di Demetra e le vecchie muraglie. Scende sotto terra, va curvo, stenebrando la via, con una candeletta, s’impantana, si ferma, guarda, tocca, scruta; poi vien fuori e si trasforma, alto e diritto, in garbato dicitore, in interprete sagace, in guida compitissima.
A questo ipogeo fanno capo cunicoli e cisterne di forma conica, interrati. Si sospetta un sistema di opere per approvvigionamento idrico in caso di assedio della città da parte nemica.
Questo fervore di scavi, quest’ansia di andare a ritroso nei millenni mi fa pensare a quei colonizzatori che giunsero, primi, alle nostre spiagge. Dovettero arrampicarsi alacri su l’altopiano e salutare con trasporto la terra quando, fermatisi e volto indietro lo sguardo, la videro come un immenso aliare aperto ad ogni via. Era la mèta che realizzava il sogno. Akragante si esprimeva nelle sue linee essenziali ai loro occhi estasiati.
Presso il tempio dei Dioscuri si suol porre termine alla visita ad Agrigento. E non è.
E’ necessario visitare il Duomo, fondato nel secolo XIV, pare, sul sito dell’antico tempio di Giove Polieo. Possiede un Museo, ove si conserva un meraviglioso sarcofago di marmo, nei cui lati è scolpita la folle passione di Fedra per Ippolito, e fanno parte del suo patrimonio artistico una Madonna col Bambino del Reni; teche bizantine; paramenti sacri ricchissimi dei secoli XVI e XVIII, doni senza eguali di regine e di vescovi, come il Lanza dell’aristocrazia palermitana; un altarolo e altri tesori inestimabili. Sarà buona guida il sac. Carmelo Sajeva. E’ necessario vedere la chiesa di S. Maria dei Greci, costruita sulle basi del tempio di Atena. Fu la seconda cattedrale di Girgenti, quando i Girgentini non poterono più servirsi del tempio della Concordia adattato a chiesa cristiana e deturpato. Occorre vedere le bifore della Casa Filippazzo; il portale della chiesa di S. Giorgio presso l’Istituto Gioeni, che fu parte dello Steri dei Chiaramente, dove sono in corso scavi di esplorazione; il portale ch’è presso la chiesina dell’Addolorata, una volta chiesa della Madonna del Cannone; la Porta di Mare; il portale del Gagini; la porta del Notaio; la porta Panitteri; i portali della chiesa di S. Giovanni, chiusi tra le mura dell’ospedale civile; i portali e le finestre del monastero di S. Spirito, o Badia Grande.
chiesa san francesco e panorama di agrigentoLe ultime due visite le faremo al Museo archeologico che si è arricchito di nuove stanze, per accogliere il materiale che viene a mano a mano fuori dagli scavi, e alla Pinacoteca di Giuseppe Sinatra, fratello del prof. Francesco.
Ed ora in città. Visiteremo ultima la Pinacoteca Sinatra.
La palazzina che l’accoglie sorge sul viale piena di aria e di luce.
Giuseppe Sinatra, poeta nell’anima e pittore, vive solitario, in comunione con l’arte, passando alcuni mesi dell’anno in
una sua villa, in mezzo alla zona archeologica. In cinque sale respiranti salute e bellezza, ha raccolto centotrenta quadri.
Ottantaquattro sono del Lojacono, del quale fu amico affettuoso.
Quasi tutti paesaggi, e saranno donati al Museo della città, se gli agrigentini li collocheranno in cinque belle sale, simili a quelle in cui si trovano. Proprio dalla Pinacoteca del Sinatra, nei cui occhi dolcissimi è tanta luce d’amore e d’intelligenza, daremo l’addio ad Agrigento.
Dalle ampie vetrate l’occhio può cogliere con uno sguardo riassuntivo la gloriosa valle delle rovine.
Ancora parecchio da camminare. Ma non conta. Agrigento merita questo sacrifìcio.
Gerlando Lentini, in Italia Giardino del mediterraneo, Palermo 1936