Una Memoria sulle antichità Agrigentine di Niccolò PALMERI con una lettera sugli Ipogei di Girgenti di Lionardo Vigo
Gl’Ipogei, gli acquedotti Feaci e le catacombe d’Agrigento. – Lettera di LIONARDO VIGO a Niccola Palmeri. Tutti gli stranieri che visitano la Sicilia parlano dei tempj, delle mura, del sarcofago d’Agrigento, nessuno de’ sotterranei, o solo per negarne l’esistenza od almeno dichiararne inutile la ricerca.
L’autore descrive una sua gita in quei recessi quasi ignorati, eseguita il 17 settembre 1827.
Sceso per una buca larga men che tre palmi, lunga 5 canne e mezza, che sta nella casa dei signori Modica, si trovò in una prima stanza la quale per varii accessi a molte altre conduceva, sicchè ognuna a molte era centro.
Le stanze sono quadrilunghe, alte da 10 a 12 palmi, larghe da 16 a 24: il suolo vi è obbliquo ed ineguale, ingombro di massi caduti, di argilla, di stallammiti : il tetto orizzontale, incrostato di stallattiti, lascia vedere d’esser cavato a scarpello nel tufo, ed è in parecchi luoghi sparso di aperture, otturate dalla terra cadutavi. Le mura intermedie hanno 6 ad 8 palmi di grossezza; le comunicazioni non si corrispondono nè avvi vestigio di porte.
Pure queste caverne furono altra volta visitate, se a 100 canne dall’ ingresso trovò scritto J. Houël 1776. L’autore percorse altrettanto spazio ma poi disgustato retrocesse. Parecchie aperture simili introducono in queste caverne che occupano tutta o pressoché tutta la estensione del Camico oggi Girgenti. Diverse tradizioni portano che questa opera singolare fosse o un sepolcro, o pozzi e conserve ď acqua, od acquedotti.
L’A. combatte la prima osservando che Agrigento ebbe tre epoche memorande: quando fu de Sicani, ed in questa non è possibile che un pugno di gente abbisognasse d’un sepolcreto si vasto: quando fu colonia Ellena, ed allora seppelliva i suoi morti fuor di città al settentrione, ed i sepolcri se ne cavano tuttora: quando appartenne ai Ro mani, e questi volevano i mausolei ed i carnai stessi lungo le strade in vista di tutti.
Si ride della seconda opinione , che fossero pozzi o conserve d’acqua: essendo senza bocca, senza sorgenti, a così poca profondità, senza intonachi in un masso spugnoso, senza chiusure in un pendio irregolare ed obliquo : pozzi ove le acque anzichè serbarsi sarebbero tosto uscite a piedi del monte. —Quanto poi alla terza, che fossero gli acquidotti Feaci ricordati da Diodoro, questi mettean foce nella piscina, è quindi vanno cercarli sul Camico, e d’altronde si offrono da sè poco lontano dal tempio di Castore e Polluce, alla Meta, ed altrove, alti 7 palmi, larghi 4, regolari, uguali, acclivi nel monte, rialzati lateralmente perché I’ acqua meglio fluisca. ――――――――― – — –
Combattute le opinioni tradizionali propone la propria. A dir di Diodoro, Dedalo ucciso Talo riparò in Creta indi in Agrigento, dove fondò una città nel luogo che fu detto Camico. A quell’epoca era uso de’ popoli il chiudersi in rocche nel tempo di guerra, e vivervi in istato d’assedio nel tempo di pace. Opina quindi che quel labirinto di sotterranei servissero nella guerra fra Cocalo e Minosse, e fosse la reggia scavata nel sasso, opera di Dedalo. La luce vi piova dalle tante aperture oggi chiuse, e l’aria, che tuttora vi gira libera, era allora anche migliore
anche migliore