A Messina rimase stupito dalla forma insolita del porto; a Taormina elogiò lo spettacolo naturale contemplato dal Teatro Greco. A Siracusa le rovine di una città che in passato aveva gareggiato per grandezza con Roma; a Palermo fu incantato dalla vista della Conca D’Oro da Monte Pellegrino; e diverse altre cose apprezzò in Sicilia, ma con un certo distacco.
Nessuna sorpresa però lo stupì e lo coinvolse più delle cento portate che vennero servite nel vescovado di Agrigento.
Il 16 giugno 1770 lo scienziato scozzese Patrick Brydone scrisse al suo corrispondente William Beckford di Londra.
«Pranzammo insieme al vescovo, come si era deciso, e ci alzammo da tavola convinti che gli agrigentini non potevano conoscere la vera arte del banchetto meglio dei loro discendenti, ai quali hanno trasmesso una buona dose delle loro virtù e dei loro vizi di società.
Chiedo scusa di chiamarli così, e vorrei tanto avere a disposizione un nome più tenero: mi pare di ricambiare con nera ingratitudine l’ospitalità offertaci, di cui resteremo sempre debitori.
