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ipogei di agrigento

La rete sotterranea di ipogei ad Agrigento

25 Dicembre 2016 //  by Elio Di Bella

ipogei di agrigento

Cavità più o meno naturali, più o meno profonde e articolate fino a diventare anche attrattive turistiche, ve ne sono tante nel mondo.

Quelle di cui ci occupiamo in questo servizio, hanno un’origine umana: sono gli Ipogei di Akragas. E’ superfluo fame la storia; in un secolo appena raggiunse un’estensione territoriale, politica economica straordinaria, culminando la sua potenza con la battaglia di Imera, contro i cartaginesi.

E furono le migliaia di prigionieri, divenuti schiavi, che aggiunsero nuova gloria alla città. Sfruttando esperienze che si erano accumulate nel tempo, conoscenze dei materiali e delle rocce, migliorarono non solo lo sviluppo dell’agricoltura, ma anche il benessere generale della popolazione, dando un altro valido contributo di intelligenza umana, con un elemento che ha sempre costituito la base della civiltà: l’acqua.

Gli akragantini e per loro un geniale tecnico del quale ci è stato tramandato il nome: Feace, una volta scongiurato il pericolo del loro tradizionale nemico con il quale si contendevano il bacino del Mediterraneo, razionalizzò il loro approvvigionamento di acqua all’interno della città, cinta di mura.

Le preoccupazioni del passato, erano quelle di potere disporre del prezioso liquido in tutte le occasioni e soprattutto negli assedi. Sfrattarono il banco calcherenitico, in pendenza, dalle colline alla vallata e vi scavarono, con un lavoro paziente di scalpello e mazzuolo, una serie di cunicoli, intrecciandosi tra di loro con una cabaletta al centro, per raccogliere l’acqua che colava dai pori della pietra, fino alle varie località, secondo le esigenze ed all’interno della città.

Un reticolo fitto, intricato, inteso a captare ogni singola goccia d’acqua che veniva dalla superficie, in un’area vastissima, in cui le abitazioni, massimo ad un elevazione, non erano ostacolo alla pioggia ed allo scorrimento della stessa.

Il trasferimento sulla collina dei restanti abitanti di Akragas per sfuggire, alle scorrerie piratesche, la costruzione delle abitazioni, le fondamenta più profonde hanno intaccato la rete sotterranea che non più mantenuta ha accusato dei crolli, le imboccature sono scomparse, manomesse.

I viaggiatori nel corso dei secoli, attratti dalla curiosità, visitavano quelli di più facile accesso, soprattutto quello definito del Purgatorio, con ingresso proprio accanto alla omonima chiesa. Meravigliati, con mezzi di fortuna percorrevano gli stanzoni, vi apponevano la loro firma, per indicare la loro presenza ed anche la data. Ogni tanto, qualcuno li indica oltre ai monumenti classici, le chiese medioevali come luogo di turismo, un turismo che con altre attrattive dovrebbe incoraggiare i forestieri a prolungare il loro soggiorno nella città dei templi.

Sono soltanto “fole” che non trovano riscontro in alcuna valida iniziativa. Ed ora vediamo un po’ quanti erano di numero questi ipogei. Forse 31, senza tener conto della loro lunghezza totale, chilometri e chilometri chiusi da frane, dalle fondazioni che li intersecano.

Uno studio effettivo, per quanto incompleto, lo abbiamo dalle esplorazioni effettuate negli anni 1944/46 da una equipe costituita da un gruppo di entusiasti, incoraggiati dall’allora Sovrintendente alle Antichità, Pietro Griffo: i fratelli Emilio e Ugo Afrone, quest’ultimo del Genio Militare che effettuava i rilevamenti, al quale si succedettero l’ing. Morello ed i geometri Lentini, dell’Istituto Minerario Siciliano, Brucculeri del Genio Civile e Sapeva dell’Amministrazione provinciale. I risultati delle loro indagini vennero messi a disposizione degli Uffici competenti, ma soprattutto accolti nella tesi di laurea di uno di loro, Luigi Arnone che venne, successivamente pubblicata, nel 1952, nei quaderni allora editi dall’Ente Provinciale Turismo.

Le successive ristampe avvennero a distanza di cinquantanni, così come altre ricerche solo negli ipogei più accessibili.

ipogei002

La nota di rilievo, in questi ultimi tempi è rappresentata dalla scoperta di un ipogeo, nella zona estrema della Rupe Atenea, ad opera di uno studioso locale, Salvatore Alaimo, distintosi anche nel ritrovamento di un sarcofago romano e di reperti singoli. Si rese conto che quelli che sembravano semplici ingrottamenti, nella zona dell’ex colonia agricola dell’Ospedale Psichiatrico erano invece in origine tre grandi cisterne alimentate da un grande ipogeo ed un canale scavato nella roccia, con un pozzo di areazione che aveva subito una trasformazione, per motivi di sicurezza.

Un altro ipogeo, lungo circa 160 metri e con diramazioni, è stato liberato di recente nel corso del restauro della Porta V della muraglia greca, accedendo da un pozzo profondo dieci metri, che si stende tra il Tempio di Giove e Dioscuri con sbocco nella fossa della Kolimbetra.

Secondo gli antichi, in questa zona (una grande spaccatura nella roccia, confinante da una parte con la muraglia e che, probabilmente, aveva altre opere di contenimento) ove affluiscono un grande numero di ipogei, costruiti da frane – soltanto uno continua a dare costantemente un flusso di acqua – era collocata una grande piscina ove gli akragantini allevavano anche pesci e forse anche volatili.

La frescura del posto, l’abbondanza del prezioso liquido, ne hanno fatto, successivamente, un giardino mediterraneo che è stato ripreso, qualche anno fa, dal FAI e che costituisce una attrattiva, diversa dei templi, dai quali si accede con un’apposita stradella. Certamente doveva suscitare una forte suggestione, come sono le distese di acqua, per quella strana assonanza con l’uomo, composto per la maggior parte della stessa materia.

Una suggestione che colpiva l’immagine anche se alla luce del sole e come avviene, invece, per quelli che recatisi in Turchia, ad Istanbul, nei giochi di luci ed ombre sotterranee dei bacini, sembrano vedere agitarsi i capelli delle meduse che con i loro capitelli sorreggono la volta.

Dai rilievi del Gruppo Afrone, abbiano indicati 31 Ipogei ed altri frammentari. Una ricerca in assoluto non è stata mai fatta, con un indagine tra la popolazione che spesso si trova con uno sportello od una finestrella che accede nel vuoto. Un ipogeo visitabile di interesse anche turistico è quello denominato Giacatello, retrostante la chiesa di S. Nicola nel cui terreno la forestale ha impiantato parecchi anni fa dei pini che con le loro radici, hanno finito con il danneggiare le grotte sottostanti. Anche queste di natura artificiale (visibile le tracce dello scalpello e dell’intonaco a coccio pesto), in primo tempo indipendenti l’una dall’altra ma alimentate da un unico canale, scavato nella roccia. Si accede da un cunicolo laterale, scoperto in occasione di lavori nel 1933. In ottime condizioni (vi è in corso di progettazione un consolidamento da parte dell’Ente Parco) è sostenuto da 46 colonne, ricavate nella stessa roccia e riceve areazione da numerosi pozzi protetti da reti metalliche ed un tettuccio della stessa materia.

Sarebbe auspicabile un progetto accurato di ricerca per sapere con precisione l’ubicazione ed il tracciato degli ipogei, oltre tutto anche per la regolamentazione delle acque sotterranee, responsabili, oltre degli sbancamenti incoscienti, della frana che ha investito nel 1966 la città di Agrigento.

di Ermogene La Foreste

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