La patente di puttana (di Gero Difrancesco)
Tra il 1896 e il 1916, nel solo abitato di Sutera, senza considerare la frazione, erano stati registrati, nei registri di nascita dello stato civile, 52 trovatelli, o proietti come venivano chiamati allora, di cui 11 erano morti immediatamente.
Soltanto tre di loro erano stati riconosciuti dopo la registrazione.
A questi proietti, per una usanza alquanto barbara, venivano attribuiti i cognomi più estrosi e bizzarri che ne stigmatizzavano per sempre l’illegittimità.
A volte l’ufficiale dello stato civile si sbizzarriva sul versante dell’ironia affibbiando ai neonati cognomi buffi di buon auspicio: Acquaverde, Aristocratico, Nobile. Altre volte scadeva nella volgarità più bieca imponendo cognomi poco edificanti: Folle, Piritollo, Mentevaga.
Succedeva spesso che bimbi illegittimi o attribuiti al solo genitore maschile perché figli “di donna che non voleva essere nominata”, venissero legittimati da entrambi i genitori, dopo anni, a rapporto coniugale regolarizzato.
Tra la fine dell’800 e l’inizio del nuovo secolo, le donne di facili costumi a Sutera, cosi come in altri comuni, specialmente quelli minerari, non erano poche. Le condizioni economiche in primo luogo e le disavventure sentimentali (passari un puntu) erano alla base di una “scelta obbligata”, quasi sempre irreversibile. Su di essa notevole incidenza aveva anche la ” stigma ” dell’illegittimità che riproponeva il luogo comune di “puttana la madre, puttana anche la figlia”.
Non c’erano eserciti della salvezza nel comune e il sentimento religioso correva lungo il filo della formalità.
Le uniche paure per i cittadini cosiddetti probi erano determinate dalle malattie veneree. Dalla sifilide in special modo, le cui conseguenze, in epoca pre-antibiotica erano, quasi sempre, esiziali.
Molte norme vennero emanate, in quel periodo, per regolarizzare l’esercizio del meretricio e ad esse si appellavano, quasi sempre anonimamente, quei cittadini che si sentivano morigerati, per contenerne i rischi e le conseguenze.
Fu così che un cittadino suterese ligio al dovere, pensò di ricorrere al prefetto della provincia :
“…il sottoscritto col più devoto rispetto” scriveva su una carta da protocollo, ” rassegna alla S.V.I. la seguente umile preghiera.
Esistono in Sutera molte prostitute, delle quali non poche sono ammorbate, e la salute pubblica viene quindi seriamente compromessa. Di fatti non pochi giovani sono ammalati di malattie veneree e sifilitiche, fra i quali se ne annoverano ammogliati, con gravissimo scandalo dei figli e della famiglia ancora.
Le prostitute suddette non essendo patentate, hanno libero accesso nelle private famiglie e incitano per ciò i giovani ancora imberbi e le zitelle alla corruzione, perché ignari del mondo.
A porre argine a siffatta fiumana invadente di corruzione, il sottoscritto prega caldamente la S.V. I. volersi degnare ordinare a questa autorità di fare visitare dal medico condotto, non una sola volta, come si fece pel passato, ma spesso e nello stesso tempo, possibilmente patentarle.
La S.V.I. si avrà la benedizione di tutti i comunisti di Sutera se accetterà l’umile mia preghiera e farà divenire felici moltissime famiglie, dove per la causa cui sopra, regnano la desolazione, lo sconforto e la guerra civile continuamente…devotissimo servo Edoardo Fusconi”.
Assieme quindi alla “patente di iettatore” che il professore Luigi Pirandello nella sua famosa novella, auspicava per Chiàrchiaro affinchè risolvesse i suoi problemi economici… a Sutera, era arrivata la “patente di puttana” affinchè venissero garantite la moralità dei probi e la salvaguardia della salute pubblica.
Una di quelle patenti era stata affibbiata nel 1914 ad una ragazza illegittima il cui cognome rimandava alla persistenza dell’allegria, che all’età di 16 anni “più volte era stata rimpatriata dalla questura di Palermo, per l’esercizio del meretricio, perché minorenne…”.
Quel cognome “Sempreallegra” si era rivelato una ironia della sorte (se quello che affermava il delegato di Milocca Gerlando Cipolla, in una corrispondenza con il sindaco di Sutera), risultava a verità.
Perché “la ragazza… ” diceva “…ha continuato e continua a fare la prostituta in Milocca… è affetta da sifilide, come fu costatato da una visita cui volontariamente si sottopose oggi, da questo medico condotto dottore Callari ed è notorio ancora che a molti giovani è stato inoculato il male per il contatto avuto…
Ad evitare l’ancor diffondersi del male prego la S.V. I. vedere se non sia il caso di applicare nei riguardi dell’ emarginata, l’art. 34 del regolamento 27 ottobre 1891, sul meretricio e provvedere al lei ricovero in un luogo di cura…”
A noi oggi non è dato sapere se quella fanciulla fu poi ricoverata d’autorità nell’ospedale San Saverio di Palermo, come ci si sarebbe aspettato dai preliminari dell’interlocuzione epistolare tra i rappresentati politici delle due località. Sta di fatto che visse ancora per almeno cinquant’anni, ebbe due figli che legittimò dopo il matrimonio ed emigrò alla prima occasione dal suo paese, negli anni 60.
In quegli anni di “Belle Epoque”, che vedevano le chantose esibirsi nei locali parigini a ritmo di can can, non poteva certamente affermarsi che nel paese ci fosse una predisposizione genetica per la delinquenza e la prostituzione…Evidentemente un ruolo determinante era esercitata dalla fame, dall’ignoranza e dalla disperazione.
Dentro la cornice di quella mentalità dominante, a Sutera, accadde, la sera del 2 febbraio 1914, un fattaccio terribile, che fece accapponare la pelle della gente.
In contrada Inziele, proprio alle porte del paese, nelle vicinanze dei fornelli della vecchia miniera, era stato rinvenuto il corpo esanime della ragazza, Montagna Salvatrice, straziato da colpi di coltello “al ventre e al collo”.
Si pensò subito ad un delitto passionale provocato dal carattere civettuolo della ragazza che dalla famiglia stessa, per la vivacità adolescenziale era stata apostrofata, in modo canzonatorio, “Ruvina” ovvero rovina della famiglia.
I commenti della gente si orientarono subito verso quella motivazione e più che al l’orrido assassinio i riferimenti furono rivolti al censurabile comportamento della ragazza.
Non c’erano vie di mezzo per le donne del popolo, in una società d’inizio secolo che negava loro qualsiasi diritto politico e sociale; e in un paese come Sutera, dominato dal bigottismo religioso , l’alternativa per esse, altalenava tra gli antipodi di santa o di puttana. E “Ruvina” per la stragrande maggioranza della gente non era stata una santa!
I Carabinieri di Sutera, comandati dal brigadiere Carlo Gritti, non si fermarono alle apparenze e con l’aiuto del sindaco, in qualità di delegato di P.S., riuscirono immediatamente ad assicurare alla giustizia i presunti assassini.
Si trattava di due giovani contadini che avrebbero voluto violentare la ragazza e che l’avevano assassinata per la sua resistenza.
Quella sera dopo il delitto qualcuno li aveva sentiti parlare ad alta voce, forse per farsi coraggio (“cadì tunna” dicevano) e riferì tutto ai carabinieri.
I suteresi, anche in quegli anni, non erano eccessivamente omertosi e già dall’indomani dell’orribile delitto uno dei due autori stazionava nelle patrie galere.
Nel paese ripresero le indiscrezioni e i commenti. Si formarono, con tutto il contorno delle maldicenze, i “partiti” dei colpevolisti e degli innocentisti.
Il 5 aprile sulle colonne del giornale ” La forbice ” apparve un articolo che, sullo sfondo della triste vicenda, disegnò, l’aspetto più negativo del paese:
“…Grazie a Dio l’assassino della disgraziata giovane Montagna Salvatrice è stato scoperto e arrestato. Sulla tomba dell’inesperta, vittima dei feroci istinti di un volgare malfattore, si sporgano fiori da tutti coloro che hanno culto per il pudore e per l’onestà.
E questi fiori dicano a tutti i dongiovanni che allietano questo sventurato comune, che non erano proprio loro che avevano il diritto di coprire di fango la fama di una pura giovanetta, vivace quanto si voglia, ma pure purissima, come affermò la perizia necroscopica. Loro che misurando col proprio disonesto palmo di tutte le erbe han fatto e fanno un fascio.
Loro che hanno reso madri di prole illegittima ingenue donne, mogli d’emigranti, contadine in cerca di fortuna. Loro, che protetti da volgari politicanti, hanno evitato la galera a colpevoli di deflorazione di fanciulle. Son bastate poche centinaia di lire per acquistare il silenzio dei miseri genitori delle violate fanciulle.
Sutera ancora non sa che un violento e volgarissimo uomo del 1905, e propriamente dell’epoca del tragico crollo del monte San Paolino, nell’epoca cioè in cui tutta la cittadinanza piangeva, violò bestialmente nella stanza terrena in cui ha un pozzo e una cisterna, una povera ragazza da lui recatasi per avere una brocca d’acqua.
Pallida, esterrefatta e non capace a difendersi altra vendetta non potè trarre del suo bestiale violentatore che buttargli sul viso le calze insanguinate. E questo grave reato ormai prescritto lo conosce una certa Concetta che a molti lo ha comunicato.
Che ne dice di ciò il nostro santo arciprete tranquillo…”
Il professore Calogero Sinatra, autore dell’articolo, che come era solito, aveva assunto il ruolo di moralizzatore, redarguì vivacemente i suoi concittadini, mettendo alle strette l’arciprete Nicastro, fortemente impegnato ad utilizzare la Cassa Rurale per sostenere le candidature clericali nelle elezioni amministrative generali, piuttosto che attendere alla cura delle anime a lui affidate.
Con sentenza della Corte d’assise di Caltanissetta del 15 giugno 1916 uno dei presunti autori venne assolto per non avere commesso il fatto, mentre l’altro fu condannato a trent’anni di reclusione, uno dei quali condonato per l’indulto reale del 27 maggio 1915, emanato appositamente da Sua Maestà il Re, ad inizio della guerra, per avere più uomini in divisa da anteporre ai cannoni dell’impero austro-ungarico.
Si disse, in quel frangente, che la mafia locale aveva pilotato la sentenza del tribunale, convincendo il Chiparo ad assumere su di se tutte le responsabilità dell’accaduto per scagionare l’altro imputato affiliato all’associazione. Ne avrebbe ricevuto benefici in carcere e rispetto nel paese.