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LA MASSERIA AGRIGENTINA E LA SCOMPARSA DELLA “RROBBA”

3 Febbraio 2016 //  by Elio Di Bella

                                   di Mario La Loggia

 

            La “rrobba” era costituita da quel complesso di abitazioni rustiche addossate tra di loro e tutte addossate ad un caseggiato più grande, spesso a due piani, con stalle, ovili e recinti per animali, assai diffuso nelle campagne, al centro di appezzamenti di terreno più o meno vasti, spesso al limitar di fiumi o torrenti, abitato da grosse famiglie, tutte imparentate, con un unico capo, un vero e proprio patriarca che veniva chiamato col suo nome preceduto da “zzu” o “zzi” (zio).

            La “rrobba” fu l’equivalente siciliano della “masseria” del territorio peninsulare. Spesso fu detta, anche in Sicilia, “massaria”e non “masseria”, quando di dimensioni molto grandi: la reggeva uno “zzi” più potente, più stimato ed influente sia nella zona che nelle contrade viciniori, spesso  protettore di latitanti e fuorilegge , chiamato “u massaru”.

            E’ noto che codesti “massari” furono in tempi passati molto vicini alla mafia e alcuni furono anche mafiosi autentici: era, quella, la mafia tradizionale di un tempo, la vecchia mafia della campagna, che imperava nei latifondi; quella che fu in gran parte distrutta dal Prefetto Mori, in quella operazione che Mussolini personalmente volle, nel tentativo di acquistar le simpatie (che non aveva!) dei siciliani.

            Le “rrobbe” e le “massarie” erano delle grosse aziende agricole a conduzione artigianale, familiare o, di sovente, plurifamiliare, senza macchinario o con macchinari semplici (la trebbia e il trattore), ed erano portate avanti “a suon di braccia” (l’agricoltura dell’epoca era veramente embrionale rispetto a quella sofisticata e computerizzata attuale), ma avevano di tutto, dal latte alla ricotta e ai formaggi, con o senza pepe, ai cereali, alla frutta, (in genere uva e fichi d’India, ma anche agrumi specie dove l’acqua era in abbondanza), al vino e all’olio, e dove si degustava dell’ottimo pane di frumento duro, odorosissimo, dal sapore ormai dimenticato.

            Gli animali vi erano abbondantemente rappresentati, da quelli destinati all’alimentazione, vitelli, vitelloni, buoi, maiali, ai volatili, polli (tutti ruspanti, di una squisitezza non nota alle giovani generazioni), colombi, tacchini, oche, agli ovini e ai caprini  (chi non ricorda la bontà del latte bevuto, munto al momento, pieno di grassi e di autentica panna ?), a quelli più specificatamente utilizzati per i lavori, asini, muli, cavalli, e a quelli destinati alla guardia del complesso e all’accompagnamento dei greggi, i cani da guardia o da pastore.

            L’organizzazione sociale, all’interno delle “rrobbe”, era di tipo verticale: le decisioni erano soltanto dello “zzi”o dello “zzu”; i più anziani tra gli uomini avevano solo potestà di interloquire e di discorrere con lui, ma avevano il dovere di obbedirgli, anche se dissenzienti, una volta che quegli avesse pronunciato il suo divisamento definitivo.

            Gli altri erano sudditi.

            Anche le donne.

        Ricordo la dolorosa impressione ed il disagio provato in occasione di un pranzo accettato in una “rrobba”: a tavola sedemmo soltanto gli uomini; tutte le giovani ragazze servivano il banchetto; le mogli e le anziane confezionavano i cibi in cucina: una inaccettabile divisione netta dei ruoli, anacronistica (si era nel 1964), vorrei dire “schiavistica”: gli uomini in veste di despoti; da servire in silenzio, senza interloquire, in obbedienza assoluta; le donne in veste di serve, di sottomesse, non libere neppure della loro intimità, che doveva essere sempre utilizzabile allorchè il proprio uomo avesse voluto disporne!

            Lo “zzi” o lo “zzu” decidevano inappellabilmente dei matrimoni e sceglievano loro i mariti per le ragazze o la ragazza che doveva andare sposa a quel tale richiedente di un’altra “rrobba”, secondo la convenienza di quella propria: vigeva cioè, durissima, l’usanza del “matrimonio portato”.

            A tavola i giovani dovevano star muti, ma potevano chiedere di partecipare alla discussione, su qualche argomento, al capo: “vossia mi permette?”: ma il permesso non era frequente, anche se, negli ultimi tempi, una qualche maggiore larghezza in codesta direzione era stata constatata.

            Tra i genitori da un lato e i figli dall’altro il rapporto familiare si attuava attraverso il “vossia”, cioè il voi e  giammai col tu. In alcune “rrobbe”- quelle di più antica tradizione – la moglie, per rivolgersi al marito, doveva adoperare, anche lei , il “vossia”.

            Le ragazze non potevano andare in città o in paese se non col padre ed eccezionalmente, ma solo negli ultimi tempi, anche con i fratelli, in veste di vere e proprie “guardie del corpo”.

            Nei giorni festivi gli “zzi” o gli “zzu” e gli anziani della “rrobba” (e laddove v’erano le “massarie”, ovviamente i “massari”), confluivano in città (in Agrigento in Piazza S. Giuseppe) o in paese (in Favara ad esempio in Piazza Municipio ), per incontri, convenevoli o affari di qualsiasi genere: tutti vestiti in velluto generalmente color cioccolatto, coppole più o meno storte (in tempi più antichi v’era un berretto di lana a cono, la cui estremità, munita di un fiocchetto, ricadeva su una guancia), scarpe fatte a mano, mantelle ampie, di panno molto pesante, con cappuccio: or mentre nei piccoli centri ciò durò più a lungo, in Agrigento detta usanza cessò del tutto intorno agli anni sessanta.

            Le “rrobbe” furono aziende che nei tempi “bui” del razionamento fecero, tutte, fortuna con il mercato nero, sicchè, allorquando vennero gli anni sessanta, i giovani, provenienti da codesti nuclei demografici, costituirono la forza nuova del vecchio ceto agricolo, economicamente dotata e indipendente, arrembante, pronta alla “escalation” verso il ceto imprenditoriale, commerciale, industriale e, in conseguenza, verso la classe politica.

            Tutti i membri delle “rrobbe” cominciarono a trasferirsi in città e i caseggiati furono trasformati in industrie agricole o alimentari e affidati a lavoranti e guardiani, dove uno o alcuni dei proprietari si recavano quotidianamente, prima a dorso di muilo o di cavallo, poi a bordo della Fiat 1100 o della Fiat 600 giardinetta, infine a bordo di eleganti “fuoristrada”o dell’Alfa 164; altri furono trasformati in case di villeggiatura estiva.

            Degli “zzi” o “zzu” la maggior parte incrementò la propria consistenza economica; qualcuno divenne anche ricco soprattutto con gli “affaires”, molto nebulosi, dei contributi CEE.

            I giovani contestarono i genitori denunciandone la potestà decisionale. Le mogli e le figlie si impiegarono, sottraendosi in gran parte alla onestà sessuale. Aumentarono i matrimoni falliti. Aumentarono gli aborti. Aumentarono i vizi del fumo, dell’alcool, e della droga.

            La famiglia perse -in modo definitivo- quella tradizionale sua struttura, forse feudale e arcaica ma tanto ricca di lungimiranza e di spiritualità, vigente nelle “rrobbe”, dove ciascuno rivestiva il proprio ruolo rispettando puntualmente quello degli altri; che aveva espletato per secoli la sua funzione fondamentale ed educativa nella evoluzione della società civile e che, purtroppo disintegrandosi, innescò le attuali, infrenabili conseguenze decadentistiche, involutive e, perchè no, anche degenerative della giovani leve.

           

           

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento racconta

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