Spesso anche a scuola quando abbiamo studiato il Risorgimento nessuno ci ha detto come cosa facevano gli Agrigentini mentre in Europa i popoli si sollevavano per chiedere una nuova Costituzione o tanti giovani garibaldini morivano sui campi di battaglia per fare l’Italia Unita.
Eppure basterebbe anche solo leggere le “memorie storiche” dello studioso agrigentino Giuseppe Picone per sapere che Girgenti visse con estremo impegno ogni fase del lungo cammino che portò la Sicilia all’annessione con il resto del Regno d’Italia.
Ma quali testimonianze oggi restano dei principali eventi del Risorgimento agrigentino ?
La più nota è probabilmente la lapide marmorea che domina sul prospetto principale del Palazzo del Comune, a destra del grande portale d’ingresso. Così recita l’epigrafe: “All’emulazione dei posteri – Segna Girgenti i nomi – di – Gerlando Bianchini – Giovanni Ricci Gramitto – Mariano Gioeni – Francesco De Luca – Vincenzo Barresi – repressa non doma – l’audace riscossa – del 1848 – di cui furon gran parte. – Agli agi della domestica servitù – prefersero – esilio – povertà morte – in terra straniera – addì 12 gennaio 1881″.
Una testimonianza che ci riporta dunque ai moti rivoluzionari del 1848, scoppiati a Palermo il 12 gennaio, nel giorno del compleanno del sovrano borbonico Ferdinando II, re delle Due Sicilie. Agrigento fu allora la prima tra le città della Sicilia che seguì l’esempio dei palermitani e si raccolse attorno ad un anziano ex colonnello Gerlando Bianchini istituendo un comitato rivoluzionario e una guardia nazionale per cacciare l’esercito borbonico dalla città e elevarsi a Comune libero.
Quei moti erano stati preparati da qualche mese nella città dei templi da alcuni ardimentosi che si riunivano in casa dell’avvocato Giovanni Ricci Gramitto. L’abitazione è quella che poi divenne molto cara agli Agrigentini perché vi nacque il 28 giugno 1867 lo scrittore Luigi Pirandello. Quel Giovanni Ricci Gramitto indicato nella lapide era infatti il nonno materno di Pirandello, il padre di Caterina Ricci Gramitto e il suocero di Stefano Pirandello.
Ma torniamo di nuovo alla lapide per conoscere l’autore dell’epigrafe. Si tratta di Gabriello Dara, il maggiore poeta siculo-albanese del secolo scorso. Venne ad Agrigento dopo la fine dei moti del 1848 e vi rimase sino alla morte, partecipando con impegno alla spedizione dei Mille e alla vita politica locale.
Nella lapide vengono citati anche i fratelli Mariano e Francesco De Luca che tenevano i rapporti con Palermo e Vincenzo Barresi che aveva dato l’assalto alla guarnigione borbonica che difendeva la Torre di Carlo Quinto, che era allora uno dei carceri dei regi.
Perché solo nel 1880, ben 32 anni dopo i moti siciliani, il Consiglio comunale di Agrigento affidò a Gabriello Dara l’incarico di comporre l’epigrafe ? Il motivo del ritardo è presto detto: solo da poco infatti c’era alla guida della vita cittadina una nuova amministrazione liberal progressista che si rifaceva agli ideali risorgimentali; mentre fino a pochi anni prima Girgenti era stata guidata da una camerilla di conservatori legati agli ambienti più retrivi del capoluogo.
La lapide venne scoperta il 12 gennaio 1881 anniversario dei moti siciliani e in piazza Municipio quel giorno ci fu gran festa.
Ma a cosa si riferisce la lapide? Si può facilmente comprendere che ci parla della sorte dei cospiratori che non ottennero l’amnistia: come è noto, infatti, i moti siciliani fallirono, ma i Borboni furono piuttosto clementi con i siciliani ed anche con gli Agrigentini.
Le truppe borboniche del colonnello Pasquale Flores giunsero a Girgenti il 27 aprile 1849, rioccuparono la città e resero note anche le decisioni del Re: dall’amnistia venivano esclusi gli Agrigentini: Gerlando Bianchini, Mariano e Francesco Gioeni, Francesco De Luca, Giovanni Ricci Gramitto, Vincenzo Barresi.
Pochi giorni dopo tutti costoro si recarono in esilio e nessuno di loro ritornò mai più in patria.
A Malta si spensero Giovanni Ricci Gramitto nel 1850; Gerlando Bianchini, che si suicidò a Burmula il 22 dicembre 1852, amareggiato per l’usurpazione del trono di Francia da parte di Luigi Napoleone, ritenendo svanita ogni speranza di libertà; Francesco De Luca morì nel 1853 e Vincenzo Barresi nel 1857; e per ultimo scomparve nel 1857 Mariano Gioeni che si ammalò di aneurisma e si spense a Genova.
Ecco dunque cosa ci dice la lapide di Palazzo dei Giganti