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La Costituzione Siciliana del 1812 e le riforme del 1817

8 Gennaio 2016 //  by Elio Di Bella

 

Se la storia politica della Sicilia si presentò alquanto articolata per l’alternarsi delle dinastie regnanti, per il diverso ruolo assunto dall’isola attraverso i secoli nel gioco degli interessi italiani, europei e mediterranei, per i rivolgimenti interni legati a fattori politici, economici e sociali, la sua storia amministrativa, invece, si mostrò, almeno nei caratteri formali e nell’organizzazione generale degli uffici,  caratterizzata da una straordinaria continuità per il lungo periodo che va dal sec. XI ai primi anni del sec. XIX.

Questa continuità può essere osservata attraverso le serie documentarie prodotte da magistrature ed uffici, che in molti casi si svolsero senza lacune o interruzioni dalla fine del Trecento all’Ottocento. Ciascuna dinastia, ciascuna dominazione portò certamente il proprio contributo all’evoluzione delle strutture amministrative ma si può dire che il mutamento radicale nel sistema amministrativo isolano sia stato quello che, coincidendo con la Restaurazione operata in tutta Europa dopo la parentesi napoleonica, segnò il passaggio dall’antico regime a un sistema moderno di amministrazione.[1]  (A. Baviera Albanese, Diritto Pubblico e Istituzioni Amministrative in Sicilia, Il centro di Ricerca, Roma, 1981, pag. 5 – 16).

La fine del regime feudale fu decretata formalmente con la Costituzione emanata dal Parlamento nel 1812. Il nuovo regime era una monarchia costituzionale che ebbe vita breve in quanto l’isola, in seguito alla restaurazione borbonica e alla creazione del regno delle Due Sicilie, venne governata da un Luogotenente, perdendo così anche formalmente il carattere di regno autonomo.

Il cosiddetto “periodo della Luogotenenza”, che va dal 1816 al 1860, fu caratterizzato, oltre che da una profonda riforma costituzionale e politica, anche da una prima reale trasformazione amministrativa in senso moderno. E’ opportuno suddividere questo periodo i due momenti fondamentali: la rivolta del 1820, che determinò la trasformazione della monarchia amministrativa in monarchia consultiva, e gli eventi del 1848-1849 in seguito ai quali si attuarono alcune riforme delle strutture di governo e di amministrazione che causarono il decentramento degli organi siciliani, istituendo il Ministero per gli Affari di Sicilia con sede appunto a Napoli. Ciò malgrado, però, apparrebbe arbitrario non considerare unitariamente tale periodo, durante il quale le linee fondamentali della pubblica amministrazione rimasero pressocchè costanti.

Il luogotenente generale del re era affiancato da una Segreteria o Ministero e diviso in vari dipartimenti quali: segretariato, grazia e giustizia, interno, polizia, finanze, ecclesiastico. Fallico Burgarella – Note su Magistrature ed Archivi in Sicilia – Il professore editore – Messina – 1988 –

Un’ulteriore riforma delle strutture amministrative si ebbe in seguito all’annessione della Sicilia al regno d’Italia.

     La riforma amministrativa del 1817

 

Durante il periodo della riforma amministrativa del 1817 il Sovrano, grazie ai suoi supremi organi consultivi, occupava una importante posizione nell’ambito dell’organizzazione del Regno; la struttura governativa era, infatti, costituita dal Consiglio di Cancelleria, soppresso nel 1821 e sostituito dalla Consulta – che aveva come fine quello di attuare il maggiore decentramento auspicato dai siciliani –  dal Consiglio di Stato ordinario – che insieme con il Consiglio dei Ministri affiancava il sovrano nell’esame degli affari del Regno – dalle Reali segreterie – suddivise ciascuna in quattro dipartimenti, divisi a loro volta in carichi – e dai Ministri di Stato.

Tale riforma trasformò radicalmente  l’amministrazione periferica tutelare e diretta e le amministrazioni locali. L’isola venne divisa in sette Valli: Palermo, Messina, Catania, Agrigento, Siracusa, Trapani e Caltanissetta. In particolare Catania si trovò capoluogo di un vasto territorio, sede di tribunali, dell’intendenza provinciale e di vari uffici amministrativi.

Con questo sistema si attuò un nuovo livello di comunicazione, mediante i consigli provinciali e distrettuali, tra le varie realtà locali, non più dipendenti solo dal sovrano o dal Parlamento ma collegati tra loro e con la nuova istituzione statale.

La riforma prevedeva un consiglio distrettuale avente lo scopo di presentare richieste e proposte al consiglio provinciale, cioè quell’organo comprendente tutti i distretti che componevano l’Intendenza. Era formato da 15 consiglieri, nominati dal sovrano, da un proprio presidente, un proprio bilancio e proprie rendite amministrate dall’intendente e, per le opere pubbliche, da una deputazione.

Venne totalmente ridefinito il potere comunale il cui compito era quello di indicare i membri dei consigli provinciali e distrettuali, il sindaco e gli eletti. In particolare il sindaco rappresentava la figura più importante del comune in quanto aveva il compito di far eseguire le leggi, i decreti e i regolamenti. Il primo eletto lo affiancava nell’ambito della polizia amministrativa mentre il secondo eletto lo sostituiva in caso di assenza o impedimento. Gli organi finora citati costituivano, pertanto, il personale politico dello Stato e la loro carica era priva di reddito.

La riforma del ‘17 determinò, comunque, alcune conseguenze negative perché, se da un lato

fornì strumenti più efficaci al potere locale, dall’altro perse la valenza politica fino a sfociare in vere e proprie cospirazioni.

Le intendenze nacquero in Sicilia nel 1818, in ognuno dei rispettivi capoluoghi, e comprendevano tutti i rami del nuovo apparato amministrativo. Erano munite di un vero e proprio apparato burocratico, articolato nella segreteria e nel consiglio di intendenza. Il segretario dipendeva direttamente dall’intendente e lo sostituiva in caso di assenza, ma dopo di lui egli fu nell’intendenza la massima autorità, anche rispetto ai consiglieri. Inoltre nel 1818 la segreteria venne suddivisa in quattro uffici: il primo si occupava degli affari dipendenti dal ministero dell’Interno, il secondo si occupava degli affari degli altri ministeri e dell’archivio, il terzo rappresentava la cancelleria del consiglio d’intendenza e il quarto amministrava la contabilità. Ogni ufficio era composto da un capo e un vicecapo, da un usciere, da impiegati di prima e seconda classe e, infine, da soprannumerari cioè degli impiegati, scelti dall’intendente, che svolgevano la loro mansione senza essere retribuiti. Il consiglio d’intendenza invece era un corpo consultivo la cui funzione era quella di collaborare con l’intendente il quale era una sorta di censore, tutore, ma anche pedagogo perché doveva istruire gli amministratori, illustrare e chiarire le leggi, diffondere in tutta la società lo spirito della monarchia amministrativa; era il funzionario statale che rappresentava il Governo nelle singole Valli, che coordinava gli organi di amministrazione periferica e che svolgeva funzioni di tutela nei confronti degli enti locali.

Un ultima figura rilevante era quella delle sottointendenze, dislocate nel capoluogo di ciascun distretto, di cui l’intendente disponeva per un controllo più ravvicinato del territorio.

Durante il periodo della riforma amministrativa il Sovrano, grazie ai suoi supremi organi consultivi, occupava una importante posizione nell’ambito dell’organizzazione del Regno; la struttura governativa era, infatti, costituita dal Consiglio di Cancelleria, soppresso nel 1821 e sostituito dalla Consulta, dal Consiglio di Stato ordinario, dal Consiglio dei Ministri e dalle Reali segreterie e Ministeri di Stato (E. Iachello in, F. Benigno, G. Giarrizzo, Storia della Sicilia 2, Dal Seicento a oggi, Laterza, Roma, Bari,  2003)

 

Categoria: Storia SiciliaTag: sicilia storia

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