Non riuscirà discaro riassumere qui questa polemica, che, per quasi quindici anni, tenne desta l’attenzione e la curiosità di nostrani o stranieri.
Il Marchese Haus di Wùrzburg fu in Girgenti nel 1801, e, penetrato dalla importanza di mettere alla luce la pianta del rovinato tempio di Giove Olimpico, ne manifestò il desiderio a Mons. Airoldi, allora Intendente alle antichità in Val di Mazzara. Questi ne fece proposta al Re, il quale, accolta benignamente la domanda, ordinò lo sgombero dei ruderi, e nel 1802 cominciarono i lavori sotto la direzione dell’agrigentino Giuseppe Lo Presti.
Dopo tredici anni, cioè nel 1814 l’Haus pubblicò anonimo un “Saggio sul tempio e la statua di Giove in Olimpia, e sul tempio dello stesso dio Olimpio recentemente disotterato”, in Agrigento — Palermo, Stamperia Reale, 1814 — in cui manifestava la sua opinione intorno alla forma, costruzione ed ornati del tempio senza dir nulla dei Giganti, che formavano il soggetto principale di quei ruderi.
Raffaello Politi nel 1819 diede alla luce una “Lettera al Sig. Ciantro Panitteri, che comprende un’opinione ragionata sulla situazione e forma della porta nel rinomato Tempio di Giove Olimpico in Agrigento, illustrazione ad un passo di Fazello, origine dello stemma di Girgenti ed alcune Osservazioni sugli abbagli presi dall’autore del Saggio sullo stesso tempio comparso in Palermo nel 1814” — Palermo, presso Lorenzo Dato, MDCCCXIX, — in cui critica molti punti dell’opera del Marchese Haus.
Questi si difese con una “Risposta alla Lettera di Raffaello Politi al Sig. Ciantro Panitteri “— Palermo, stamperia Reale 1819, — Il Politi non si ristette e tosto contrappose un suo scritto stampato in Siracusa a 6 marzo 1820 presso Giuseppe Fiumana, in cui cominciarono i frizzi e —motteggi e i motteggi non solo contro il marchese Haus, ma pure e più contro il Lo Presti, che aveva diretto i lavori di sgombero.
Allora entrò in ballo il sig. Lo Presti con la sua “Dissertazione Apologetica su materie architettoniche e di storia indiritta al tribunale dei letterati” — Girgenti, dalla Tipografia di Vincenzo Lipomi. 1827 — opera assai dotta ed erudita, che terminava con queste parole « Per corollario a questa mia apologia mi protesto che, come mi sono astenuto sempre, così mi asterrò per l’avvenire dal provocare chiunque con ingiurie.
Poiché, sebbene io non sia un artista, mi son pur soventi volte sollazzato in leggendo il Vetruvio, che nel proemio del suo libro VII m’istruisce di una storiella, che ho sempre presente, cioè del funesto fine di Zoilo ; persuadendomi che un pari fine far debba non solamente chi si ardisce criticare un Omero, ma un uomo mordace qualunque » ; e riferisce il tratto originale di Vetruvio, che narra la storia di questo Zoilo, che, come si sa, fu un eritreo tristamente famoso, ed il cui nome è divenuto antonomasia di quei che con malignità, con invidia, con villania si levano a censurare le opere altrui; per cui, dicesi, morisse crocifisso, lapidato e bruciato.
A questa tirata figuratevi il Politi ! montò in furia e si difese e rispose con un dotto e vibrato opuscolo “Sul ristabilimento del gran Tempio di Giove Olimpico in Agrigento e sua cella iptera distrutto e ridotto a cortile nella Dissertazione Apologetica” comparsa in Girgenti nel 1828 — Parte prima e seconda — Venezia, Tipografia di Alvisopoli, 1828; — e conclude con una storiella non meno piccante di quella riferita dal Lo Presti. « E fu, dice il Politi, ai tempi di Sisto IV un Frate dell’ordine domenicano, che malignamente contrariò, in materie teologiche, un altro Frate di merito dell’Ordine stesso. Preselo questi un giorno e trattoselo sulle ginocchia, elevatis pannis, coepit cum palmis percutere super quadrata tabernacula nuda, non essim, habebat femoralia vel antiphonam… Tunc exclamavit quaedam devota mulier, dicens : Domine praedicator, detis ei alias quatuor palmatas prò me ; et alia dixit : detis ei etiam quatuor !…
I due focosi polemisti dovettero poi conciliarsi, ed è confortevole il sapere, che nel 1834, cioè dopo sei anni, il Politi, confutando le “Memorie sulle Antichità Agrigentine” di Nicolò Palmesi scriveva nei suoi “Cenni Apologetici” — Girgenti, presso Vincenzo Sipomi : — “Sappia il sig. Paimeri, che io rispettai sempre il leggista sig. Lo Presti, e trovomi amicissimo dei di lui degni figli.
Giuseppe Russo 1912