Giuseppe Abbate
Introduzione
L’estesa fascia costiera della Sicilia, circa 1500 chilometri lungo cui si alternano tratti di litorale ancora naturale e altri ormai interessati da livelli differenti di antropizzazione, comprende una quota sicuramente rilevante delle aree pubbliche dell’intera isola. La libera fruizione della costa, in quanto bene pubblico, non è però sempre garantita perché spesso è impedita da barriere sia localizzate che diffuse, costituite principalmente dal susseguirsi di edilizia residenziale a bassa densità, da residences e alberghi, da lidi attrezzati stagionali e da altre svariate forme di privatizzazione degli arenili.
Sottraggono interi tratti di costa alla fruizione pubblica anche le grandi aree produttive, di cui poche ancora attive (come i poli petrolchimici di Milazzo, Priolo-Augusta e Gela), molte in via di dismissione o ormai dismesse, che si configurano come luoghi fortemente degradati, spesso in prossimità di aree protette, Sic e Zps1
.
Una cesura ininterrotta alla continuità paesaggistica e ambientale tra interno e costa è inoltre costituita dall’insieme delle infrastrutture di trasporto lineare (autostrade, strade e ferrovie) i cui tracciati a volte arrivano a lambire la battigia.
Alla crescente pressione insediativa e demografica, considerando che nei territori costieri risiede circa 80% della popolazione dell’isola, e tale percentuale sembra destinata ad aumentare, visto l’inesorabile spopolamento delle aree interne, fa da contraltare la straordinaria presenza di risorse naturalistico-ambientali e storico-culturali che rendono la fascia costiera un luogo particolarmente attrattivo per un vasto numero di potenziali fruitori che iniziano a percepire il valore di questo contesto che può soddisfare un sempre crescente desiderio di naturalità a diretto contatto col mare.
Il territorio costiero della Sicilia si presenta quindi come un ambito complesso, sul quale solitamente convergono forti interessi privati che tendono a travalicare l’interesse collettivo. A partire dal secondo dopoguerra infatti il modello di utilizzazione della costa è passato da una visione statica, ad una visione dinamica dove il demaniomarittimo ha assunto il ruolo di risorsa per lo sviluppo economico del territorio.
Il quadro normativo di riferimento
Diversamente dalle altre regioni italiane, la Regione Siciliana, ai sensi del proprio Statuto, è proprietaria del demanio marittimo e di tutti i beni demaniali in genere “eccetto quelli che interessano la difesa dello Stato o servizi di carattere nazionale”2; in sostanza non c’è separazione tra le funzioni relative alla proprietà, che nelle altre regioni vengono invece svolte dallo Stato3 , e quelle relative alla gestione che, come avviene anche nelle altre regioni, sono affidate agli enti più a diretto contatto con l’amministrazione del territorio e cioè le regioni stesse, i comuni e le autorità portuali4. Tuttavia tali disposizioni sono riuscite solo in parte a evitare sovrapposizioni di competenze tra Stato e Regione. Secondo l’attuale sistema ordinamentale permane un coacervo di competenze giuridico-amministrative distribuite tra diversi livelli di governo e tra autorità di settori diversi, al di fuori di qualsivoglia strumento di coordinamento.
Ad introdurre, a livello normativo, i primi procedimenti autorizzativi rispetto ai quali risultano subordinate le trasformazioni della fascia costiera è la legge 1497 del 1939 (oggi abrogata e sostituita dal Codice dei Beni culturali e del paesaggio). Segue il Codice della navigazione del 1942 che, oltre a fare una classificazione dei beni facenti parte del demanio marittimo5, subordina qualsiasi attività edilizia, entro una zona di trenta metri dal demanio o dal ciglio dei terreni elevati sul mare, al rilascio di una specifica autorizzazione da parte dell’Autorità marittima6. La legge urbanistica n. 1150 del 1942, entrata in vigore lo stesso anno in cui veniva emanato il Codice della navigazione, non chiarisce però se anche i beni demaniali fossero da assoggettare ai poteri pianificatori dei comuni e delle regioni, tant’è vero che una parte della dottrina e della giurisprudenza riteneva che le uniche autorità abilitate a regolamentare gli interventi edilizi sulle aree demaniali fossero soltanto gli enti specificatamente preposti alla loro cura e in effetti l’utilizzazione e l’occupazione delle aree demaniali marittime ancora in quegli anni rivestiva un carattere di eccezionalità che lo Stato demandava al corpo militare delle Capitanerie di porto. Successivamente interverrà la legge n. 765 del 1967, la cosiddetta legge “ponte” che, nel riscrivere l’art. 31 della legge urbanistica fondamentale, chiarirà che la realizzazione di nuove costruzioni da parte dei privati su aree del demanio marittimo è sempre subordinata al rilascio della licenza edilizia da parte del comune, ovvero che, per quanto concerne la pianificazione dell’uso del suolo nelle fasce costiere i poteri sono in primo luogo in mano ai comuni.
Tali poteri devono essere esercitati però nel rispetto della pianificazione sovraordinata. Essendo i beni del demanio marittimo parte dei beni paesaggistici vincolati ex lege7, sono anzitutto assoggettati al Piano Paesaggistico che, oltre a fornire criteri generali di intervento, deve riguardare specificatamente una fascia di 300 metri dalla battigia, oltre che le altre eventuali aree assoggettate o da assoggettare a tutela paesaggistica. In Sicilia l’attività di pianificazione paesaggistica, svolta dalle diverse Soprintendenze ai Beni culturali, trova un quadro di riferimento normativo nelle Linee guida del Piano Territoriale Paesistico Regionale predisposte nel 1999 dall’Assessorato ai Beni culturali.
Un altro importante strumento, per le ricadute che esso ha sulla tutela dell’ambiente costiero, è il Piano regionale per l’Assetto Idrogeologico (PAI) redatto a cura dell’Assessorato territorio e ambiente, che costituisce il primo stralcio della pianificazione di bacino8. Il PAI ha valore di Piano Territoriale di Settore ed è lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni, gli interventi e le norme d’uso riguardanti la difesa dal rischio idrogeologico del territorio siciliano. Tale strumento, oltre a definire le aree a differente livello di rischio, individua gli interventi volti alla messa in sicurezza dei centri urbani, delle grandi infrastrutture, degli edifici strategici, nonché delle aree di rilevante valore archeologico, storico-artistico e ambientale, tra cui rientrano anche le coste.
Nel 2004, venute meno le competenze delle Autorità marittime a fianco della Regione9, si è avviato un processo volto alla semplificazione procedurale e al riordino normativo per quanto concerne la gestione e utilizzazione delle aree demaniali marittime che ha portato all’emanazione della L r.15/2005. Tale legge, all’art. 4, prevede che le attività di utilizzo del demanio marittimo possono essere esercitate e autorizzate solo in conformità alle previsioni di “Piani di utilizzo delle aree demaniali marittime” (PUDM), approvati dall’Assessorato regionale Territorio e Ambiente su proposta dei comuni costieri. Il PUDM individua le modalità di utilizzo del litorale
marino e ne disciplina gli usi sia per finalità pubbliche, sia per l’esercizio di attività rimesse alla libera iniziativa e regolamentate mediante rilascio di concessioni demaniali marittime. Al fine di fornire alle amministrazioni comunali interessate tutte le indicazioni necessarie per la redazione dei piani di utilizzo delle aree demaniali marittime, la Regione Siciliana ha adottato apposite Linee guida per la redazione dei PUDM con D.A. 25 maggio 2006 (10).
I PUDM vengono presentati dai comuni al Dipartimento regionale dell’Ambiente, il quale, dopo una preliminare valutazione, individua gli enti da interessare ai fini dell’approvazione ed acquisisce i necessari pareri (Capitaneria di porto territorialmente competente, Soprintendenza ai Beni culturali, Agenzia delle dogane, Genio civile regionale, Dipartimento regionale urbanistica, Dipartimento regionale del turismo, Soprintendenza del mare, nonché eventualmente, Dipartimento dell’ambiente – Servizio 1 V.A.S./V.I.A. e Servizio 3 Difesa del suolo, Enti gestori aree marine protette, Enti parco, Enti gestori riserve naturali, altri enti territorialmente competenti che possano avere a vario titolo competenza nell’espressione di pareri, autorizzazioni, etc.).
L’Assessorato regionale Territorio e ambiente, provvede infine con proprio decreto assessoriale all’approvazione del piano, ovvero, alla restituzione al comune, con le relative osservazioni, per la sua rielaborazione 11.
Uno sguardo al territorio costiero di Agrigento
La storia urbanistica del territorio agrigentino ci ha trasmesso un paesaggio che sicuramente non è più quello lungamente celebrato nel cospicuo corpus di descrizioni letterarie e figurative dei viaggiatori del passato a causa delle trasformazioni che lo hanno interessato a partire dal secondo dopoguerra.
Le trasformazioni legate al consumo di suolo agricolo e naturale, nel caso del territorio di Agrigento, possono essere declinate attraverso la lettura di un altro fenomeno con cui in parte coincidono e si intrecciano, quello dell’abusivismo edilizio, le cui pesanti ricadute sulla qualità del paesaggio, sul corretto sviluppo urbanistico, sull’economia e sulla sicurezza del territorio hanno ormai compromesso l’immagine della città di Agrigento e dei centri minori del suo hinterland, della Valle dei Templi e di interi tratti di costa. Da questo punto di vista il territorio di Agrigento costituisce un esempio emblematico che mostra la mancanza di una cultura del suolo come bene comune, del senso di appartenenza ai luoghi e di responsabilità civile, fattori che hanno certamente contribuito a far dilagare il fenomeno dell’abusivismo edilizio, espressione di un malcostume diffuso, rimasto per anni impunito e che ha visto coinvolti politici, amministratori e più in generale un’intera classe dirigente tollerante e compiacente.
Per altri versi il territorio agrigentino rispecchia la grave situazione riscontrabile in un numero sempre maggiore di contesti urbani di ogni latitudine dove la disordinata cementificazione dei suoli e la conseguente dispersione insediativa sta generando un modello di città che non punta sul recupero dell’esistente ma sull’urbanizzazione di nuove aree solitamente a bassa densità, quindi molto poco sostenibile dal punto di vista ambientale ed economico, oltre che per l’elevato e spesso ingiustificato consumo di suolo, anche per i nuovi squilibri che determina come l’aumento del traffico motorizzato individuale e l’assenza di spazi pubblici e di luoghi di aggregazione.
Il territorio costiero di riferimento, a parte le porzioni estreme di straordinaria bellezza: Scala dei Turchi (Fig. 1) e Punta Bianca, costituite da due ambiti naturali pressoché incontaminati, ma soggetti a forti rischi e a pressioni insediative, si sviluppa per circa 20 Km, e presenta tre tipologie di ambiti ognuno con propri caratteri morfologici e livelli diversi di urbanizzazione:
– gli ambiti ricadenti all’interno delle località denominate Maddalusa, Dune, Cannatello e Zingarello (Figg. 2, 3), in cui sono ancora leggibili le caratteristiche ambientali originali, come tratti del cordone dunale, anche se compromessi da episodi di abusivismo diffuso, perlopiù seconde case, e interessati da fenomeni di erosione delle spiagge;
– l’ambito di S. Leone, borgata marinara a vocazione turistico-balneare, soggetta ad una forte stagionalità, interessata negli anni ‘60 e ’70 del secolo scorso da un massiccio e incontrollato sviluppo edilizio, nonché da dissennate opere di sistemazione del suo lungomare;
– l’ambito di Porto Empedocle, in cui l’area interessata da impianti produttivi che si è sviluppata intorno al porto, oggi appare semi-abbandonata e profondamente degradata anche per la presenza di infrastrutture viarie invasive e mai ultimate (Fig. 4). Con riferimento alle infrastrutture portuali regionali, Porto Empedocle fa parte di un gruppo di strutture collocate in aree con domanda di trasporto nautico assai più debole di quella di altre aree forti della Sicilia. Nonostante tali limiti il ruolo dell’infrastruttura dovrebbe essere rivisto, anche per quanto riguarda le previsioni regionali. Ciò, in relazione a due precise funzioni di cui esiste una consistente domanda:
l’incremento della funzione di approdo per natanti da diporto di media e piccola stazza (mercato nazionale in espansione); l’incremento della funzione di scalo per le navi da crociera (Fig. 5).
Nonostante l’attuale Prg di Agrigento nonché i diversi programmi complessi inaugurati negli ultimi anni siano concordi nel promuovere uno sviluppo del territorio agrigentino basato essenzialmente sulla risorsa del turismo balneare/culturale, ipotizzando per Agrigento l’ambiziosa funzione di porta di ingresso alla regione dal Mediterraneo, di contro a livello di governo locale emerge l’assenza di politiche per la tutela e la valorizzazione degli spazi pubblici del sistema costiero, che di certo aiuterebbero a supportare una domanda turistica di tipo internazionale sempre più esigente, e la necessità di ripensare il loro ruolo e la loro gestione secondo un approccio integrato nell’ambito di un più ampio progetto di sviluppo locale.
Considerazioni conclusive
Attraverso l’approfondimento del caso di studio proposto, l’obiettivo che ci si pone è quello di individuare indirizzi innovativi, per costruire un progetto di territorio centrato su una complessiva riconfigurazione e valorizzazione degli spazi aperti lungo la costa di Agrigento a partire da quelli degradati, incolti e abbandonati, da ripensare inseriti in un differente sistema di nuovi spazi aperti, attrattivi e multifunzionali, destinati alla fruizione sociale. Un obiettivo che può raggiungersi però solo attraverso una forte attività di programmazione che garantisca il coordinamento delle iniziative di tutti i soggetti che hanno responsabilità di gestione ai diversi livelli, in cui gioca un ruolo chiave la qualità del capitale culturale e sociale e la capacità delle comunità locali di non perdere di vista le molteplici risorse territoriali, facendo in modo che esse costituiscano un unico sistema fatto di connessioni fisiche, funzionali, culturali e sociali.
Nella prospettiva di considerare l’intera porzione di territorio costiero oggetto di indagine come un grande parco pubblico lineare, appaiono come scelte prioritarie: la salvaguardia e la valorizzazione degli ambienti naturali (come gli scenografici contesti di Scala dei Turchi e Punta Bianca, le spiagge strette limitate da scarpate di terrazzi, i tratti residuali del cordone dunale), attraverso una valida politica in grado di contrastare la tendenza all’appropriazione privatistica e alla trasformazione distruttiva delle risorse e di stimolare invece la crescita della coscienza ambientale e consentire allo stesso tempo un miglioramento della qualità della vita; la riqualificazione delle “periferie” balneari di recente edificazione e di scarsa qualità edilizia anche attraverso interventi mirati di demolizione dell’edilizia abusiva e la dotazione di servizi e spazi pubblici, nonché di sistemi depurativi; la riqualificazione del fronte a mare di S. Leone, restituendone l’uso pubblico come bene comune in continuità con gli altri spazi pubblici urbani; la bonifica e/o delocalizzazione dell’area produttiva adiacente al porto di Porto Empedocle nell’ipotesi di consolidare il ruolo turistico del porto come “porta marina” di accesso alla Valle dei Templi e alla città di Agrigento, per navi da crociera.
Nell’ottica di bilanciare la forte pressione antropica del territorio costiero di Agrigento, con la tendenza allo spopolamento delle aree interne, si potrebbe infine fare dialogare l’area costiera con i centri di prossimità alla costa e i centri interni, indirizzando verso questi l’ospitalità turistica balneare, promuovendo altresì sinergie di sviluppo in entrambe le direzioni attraverso la costruzione di nuove filiere produttive connesse ad una attività turistica integrata (balneare, culturale, rurale, etc.). Contestualmente si potrebbe procedere con la riqualificazione paesaggistica delle strade di collegamento interno-costa e la salvaguardia attiva dei territori agricoli che queste attraversano (coltivati per lo più a vigneti, a mandorleti o frutteti), alla stregua di quelli che ricadono all’interno del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi.
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Note
1 Cfr. Regione Siciliana (2005), Relazione sullo stato dell’ambiente in Sicilia, Palermo.
2 Cfr. artt. 32 e 34 dello Statuto speciale della Regione Siciliana, approvato con regio decreto legislativo in data 15 maggio
1946, n. 455, convertito in legge costituzionale il 26 febbraio 1948, n. 2.
3 Tra cui la delimitazione del confine demaniale, la sdemanializzazione, la determinazione e l’introito dei canoni, etc.
4 Secondo il disposto del d.p.r. n. 684 del 1977 che ha realizzato l’effettivo trasferimento del demanio alla Regione.
5 Una prima classificazione nazionale (poiché i vari stati pre-unitari avevano diverse legislazioni in materia) dei beni facenti parte del demanio marittimo si rinveniva già nel Codice della Marina Mercantile del 1865, che all’art. 157 elencava fra i beni del pubblico demanio il lido del mare, i porti, i seni e le spiagge. La principale differenza tra il vecchio e il nuovo Codice della navigazione sta nella scomparsa della categoria dei seni e nell’introduzione di quella delle rade. In particolare, le rade; b) le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno una parte dell’anno comunicano col mare; c) i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo”.
6
Si veda l’art. 55 del Codice della Navigazione.
7 Cfr. art. 142 del Codice dei Beni culturali e del paesaggio approvato con D.lg. n. 42 del 2004.
8
Il PAI, è stato redatto ai sensi dell’art. 17, comma 6 ter, della L. n. 183/1989, e specificatamente normato dall’art. 1, comma 1, del D.l. 180/1998, convertito con modificazioni dalla L. n. 267/1998, e dall’art. 1 bis del D.l. 279/2000, convertito con modificazioni dalla L. n. 365/2000.
9 Cfr. art. 6, co. 7, della L. n.172 /2003, norma attuativa dell’art. 4 del D.P.R. n. 684/1977, che ha apportato una radicale modifica sul piano giuridico finalizzata al completo trasferimento alla Regione Sicilia dei poteri di gestione ed utilizzazione dei beni appartenenti al demanio marittimo.
10 Modificato e integrato dal D.A. 4 luglio 2011.
11 Le citate Linee guida confermano che, ai sensi dell’art. 4 della L.R. 15/2005, nelle more dell’approvazione dei piani di utilizzo, nuove concessioni demaniali marittime potranno essere rilasciate previa sottoscrizione di apposita clausola, con la quale il concessionario si impegni ad adeguare la propria struttura alle previsioni del piano nei modi e nei termini in cui sarà approvato.
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