IL TEMPIO DELLA CONCORDIA DI AGRIGENTO ALCUNE RIFLESSIONI.
DAI DEMONI EBER E RAPS AI S.S. PIETRO E PAOLO
MARIA MILVIA MORCIANO
Il tempio della Concordia di Agrigento prende nome da un’iscrizione della metà del I sec. d. C., menzionante la Concordia Agrigentiorum 1, che ad esso viene riferita da Tommaso Fazello 2. Attribuzione rifiutata dal D’Orville e che in genere ha sempre lasciato scettici, non solo riguardo a questa possibile dedica del tempio in età romana e quindi posteriore e magari diversa rispetto alla fase greca, ma anche perché si ignorano di fatto la reale provenienza e l’originaria ubicazione dell’epigrafe 3.
La possibilità di indagare e riconoscere il dio cui era dedicato il tempio è offerta solo da una fonte tarda, tra VIII e IX secolo, che narra la vita di San Gregorio 4.
Il santo, che visse alla fine del VI secolo, viaggiò molto, specie a Gerusalemme, ad Antiochia e a Costantinopoli, dove svolse opera di
apostolato. Arrivato a Roma per venerare le tombe di Pietro e Paolo, fu designato vescovo della chiesa agrigentina. In seguito fu incolpato ingiustamente di aver insidiato una fanciulla, destituito della sua carica e imprigionato a Roma per due anni. Finalmente prosciolto da
ogni accusa, sia presso l’autorità politica a Costantinopoli, sia presso quella ecclesiastica a Roma, tornò ad Agrigento e fondò una nuova ecclesia, in alternativa a quella governata dall’usurpatore Leucio: egli prese le distanze dalla città che lo aveva condannato con il gesto simbolico di volgerle le spalle, scelse come sede un tempio pagano presso le mura, ovvero nell’odierna Valle dei Templi 5.
Quanto viene narrato costituisce un vero e proprio rito di esorcismo e consacrazione. Gregorio pianta il signum, la croce di Cristo, e scaccia i due demoni Eber e Raps, che ancora si annidavano nell’edoilon. La chiesa viene quindi ridedicata a Pietro e Paolo.
È unanimemente accertato che la nuova ecclesia identificata proprio da Gregorio negli ultimi anni del VI secolo debba essere con il tempio della Concordia’.
La successione di coppie divine nello steso luogo di culto, prima la pagana poi la cristiana, ha portato ipotizzare che precedentemente a Paolo e Pietro i titolari del tempio fossero i Dioscuri, pur in assenza di altro indizio che la ripetizione della diade 8.
Secondo Lella Cracco Ruggini non necessariamente la presenza di coppie di santi, così largamente diffusa in Sicilia, deve essere considerata erede e trasformazione del culto dei Dioscuri, per quanto esso sia ugualmente attestato9. Di conseguenza, non obbligatoriamente a Pietro e Paolo devono essere fatti risalire Castore e Polluce.
Ulteriori ipotesi del significato dei due nomi avanzano la possibilità di una derivazione dal vandalico. Eber con il significato di cinghiale e Raps-Raffer ladro, quindi Eracle rappresentato nella doppia veste di cacciatore del cinghiale Erimanto e di ladro dei buoi di Gerione o, ancora per il secondo demone, di Hermes”.
Su queste interpretazioni ci si chiede se sia plausibile dedurre le divinità dai soli attributi, ancora nel VI secolo o più tardi, quando fu composta la biografia di Gregorio. Il cinghiale, inoltre di per sé non qualifica solo il mito di Eracle ma anche quello di Meleagro, pure assai diffuso nell’arte classica. Il secondo attributo, « ladro », sembra alquanto aleatorio per essere riferito con certezza a questo o quel personaggio mitico (Ermes, Odisseo?).
Motivo di perplessità costituisce la derivazione dei due termini dal vandalico. L’occupazione non avrebbe lasciato tracce linguistiche in Sicilia: non vi fu mai una concentrazione demografica di Vandali tale da poter giustificare una penetrazione linguistica conseguente12. Inoltre, non si registrano germanismi formati in Sicilia attraverso prestiti diretti, non solo dai Vandali ma anche dagli Eruli e dai Goti, sia nel siciliano antico, sia in quello moderno: essi sono tutti mediati da altre lingue o comunque comuni ai dialetti italiani 13.
Inoltre lo stesso Egger, che per primo formula questa possibilità, ammette in Raps una forma lessicale rara. Com’è possibile riconoscervi un termine germanico e per giunta poco frequente, in assenza di reali lasciti linguistici?
Una possibile interpretazione del significato dei due termini traduce Eber e Raps rispettivamente verro e colza. Si fa quindi riferimento a un imprecisato culto agreste. Infatti, i resti degli antichi templi sparsi nei demani pubblici potevano agevolare un radicamento delle superstizioni popolari e, quindi, un ritorno ai vecchi culti pagani 14.
Sotto il profilo storico-linguistico più plausibile sembrerebbe l’interpretazione suggerita dal commentatore della vita di Gregorio, il Morcelli, che ipotizza una derivazione semitica dei due nomi: Eber in ebraico corrisponderebbe al latino Transitus, e Raps a Magister. Da qui Eracle « Tyrio », poiché orbe peragrato columnas Gadibus fixerat, e Trittolemo, che homines agriculturam docuisset, cuius Siculi studiosissimi fuerunt15.
Anche qui, tuttavia, non mi sembrerebbe convincente la deduzione di Eracle e Trittolemo dai soli qualificativi, né sembra altresì credibile, per un tempio di spiccate caratteristiche classiche, la forzatura con un’individuazione di divinità dai nomi puniti, pur del tutto corrispondenti a quelli greci. Inoltre, sia che si voglia individuare una derivazione dei nomi dal vandalico o dal semitico, parrebbe strano il ricorso a nomi oscuri, quando la tradizione lettera-ria cristiana, specie quella tesa a dimostrare la falsità- della religione pagana, aveva ben chiari i nomi degli dei e i principali miti a lorocollegati 16.
Forse il significato di Eber e Raps potrebbe essere quello più semplice e non riferibile ad alcun dio pagano, ma una sorta di allusione «polemica» nei confronti della comunità ebraica, che era piuttosto numerosa in Sicilia e ad Agrigento stessa. Eber, figlio di Sale ricordato nel Levitico e capostipite degli Ebrei e Raps, nella
formula data dal Morcelli di maestro, quindi Rabbino.
La deduzione del culto pagano cui era dedicato il tempio originariamente non sembra, quindi, così facilmente riconoscibile. Di fatto i nomi dei demoni non sembrano indicare direttamente alcun dio precedente, sebbene il riferimento all’eidolon riporti a concrete raffigurazioni divine.
Solo come ipotesi di lavoro e in modo prudentissimo, mi sentirei di proporre una seconda chiave del significato dei demoni in una derivazione e una deformazione di parole latine rese « alla greca ».
I Gramathici latines riportano più volte eber per ebrius, raccomandando di non usarlo perché errato, segno al contrario della sua diffusione, almeno a livello popolarci”.
direttamente dal latino raptor, come già è stato proposto, e non necessariamente mediata attraverso il vandalico. La lettura di ebrius e raptoritts 19 appare così piuttosto semplice c starebbe a descrivere un tema quanto mai diffuso, quello del thiasos dionisiaco. Che possibili scene con Sileni fossero presenti nella decorazione architettonica del tempio o in oggetti mobili non è dato a sapersi, così come questa raffigurazione risulta essere tanto diffusa da non adombrare con esattezza questo o quel dio. I Sileni riportano automaticamente al culto di Dioniso, ma appaiono assodati anche a Fiera, come, tanto per non andare lontano, negli acroteri del tempio alla dea sull’acropoli di Gela”’. Certo è che da soli non sono sufficienti a identificare il culto.
Quest’ultima interpretazione non esclude la precedente ipotesi sulla polemica antiebraica: il riferimento al thiasos, e quindi a pratiche peccaminose, costituiva accusa tra le più feroci. Già Tacito e Plutarco insinuavano che fossero dediti al culto di Dioniso e che la festa del Sabato avesse in tutto caratteristiche orgiastiche.
In questa prospettiva, Eber e Raps equivarrebbero a un gioco di parole, un doppio senso, in cui termini di per sé facilmente riferibili agli ebrei, il loro capostipite e il capo della sinagoga, si prestavano anche a connotazioni negative come la dedizione all’ubriachezza e all’incontinenza sessuale.
In sostanza, attraverso i nomi dei due demoni si sarebbe voluto alludere simbolicamente a presenze avverse al cristianesimo, in particolare ai giudei. Ma esistevano reali frizioni tra ebrei e cristiani in questo periodo?
Il VI secolo registra la presenza consistente di giudei, sia nelle principali città costiere, sia nelle campagne. La politica di papa Gregorio appare orientata verso una spinta alla loro conversione, con promesse di protezioni e facilitazioni di natura economica, specie alle comunità di coloni sparse nel territorio, se pure in un clima di rispetto, senza apparenti forzature 22.
In questo periodo la narrazione agiografica accenna più volte a conversioni di giudei e particolare risalto assume la lettera indirizzata dal pontefice alla stessa Agrigento, in cui risulta che numerosi membri della comunità avevano chiesto il battesimo 23.
Allo stesso tempo si avvertono segni di natura contraria: sono contrastate possibili corruzioni del cristianesimo attraverso infiltrazioni sincretistiche di matrice ebraica. Si afferma proprio in questo periodo il revival del culto di antichi martiri locali, che si erano di-stinti nella battaglia missionaria contro idolatria e giudaismo. Infine, la produzione agiografica locale riporta continui riferimenti alla loro presenza, con precisi rimandi a elementi peculiari, come le sinagoghe, la superstizione, la magia, la medicina 24.
Un’ambiguità di fondo che verrebbe adombrata anche nel tipo di rituale celebrato dal vescovo per purificare il tempio idolatrico: un esorcismo «facile », esercitato su avversari tutto sommato deboli, che lasciano il tempio senza ribellarsi e senza tornare una seconda volta. Non appare fuori luogo neppure menzionare che non vi è accenno a manifestazioni miracolistiche 25.
In definitiva, i rapporti con questa comunità risultano alquanto ambigui: la mancanza di reali manifestazioni di intolleranza verso i giudei non serve a malcelare sospetto ed emarginazione, superabili solo attraverso la piena conversione al cristianesimo. Papa Gregorio chiama le comunità ebraiche all’unione con i cristiani, per poter contrastare più fortemente la Chiesa d’oriente 26. A questo proposito non mancano molti racconti di conversioni di giudei, che si appellavano al segno della croce, simbolo massimo della fede cristiana, per superare momenti di estremo pericolo, come il terrore suscitato dall’apparizione di demoni o idoli pagani. Allo stesso modo, come si è già accennato, la narrazione agiografica ne descrive di altri con connotazioni negative, addirittura complici del maligno2 7. Gli anni del pontificato di Gregorio Magno segnano il passaggio verso una sempre maggiore divisione tra Chiesa greca e Chiesa romana, nonostante il primato dell’occidente rimanga indiscusso.
Gregorio di Agrigento in quest’ottica assume un ruolo emblematico. E il primo vescovo di famiglia bizantina, scelto proprio da quel papa che promoveva una battaglia, se pure non plateale, in di-fesa della Chiesa romana, in particolare della liturgia 28. Spia indicativa di questa controversia è anche quanto rileva Paolo Rizzo sull’onomastica riportata dallo stesso bios del vescovo agrigentino: tutti i nomi di derivazione greca appartengono ai sostenitori di Gregorio, quelli di derivazione latina a Leucio 29.
Quindi, al di là delle ipotesi che possano riconoscere in Eber e Raps divinità pagane in maniera più o meno convincente, sembra emblematica l’esigenza trasmessa dal bios di conferire nomi propri ai due demoni, proprio perché i contorni delle polemiche e delle tensioni si presentavano sfumati e poco limpidi, a delineare un clima complesso e perfino contraddittorio.
Nella figura di Gregorio possono esservi interessanti ulteriori spunti di riflessione, come ad esempio i motivi che lo spinsero a scegliere di dedicare la nuova sede del vescovado agrigentino a Pietro e Paolo.
È probabile che il permesso di fondare un nuova cattedrale gli sia stata concessa da Costantinopoli 30, ma la corrispondenza epistolare con il papa e la sollecitudine dimostrata da questi nei confronti del vescovo, che tardava ad essere processato”, dimostrano devozione alla Chiesa romana. Inoltre, in un certo qual modo, Gregorio aveva ottenuto la sua investitura di vescovo per intercessione di Pietro e Paolo: non sfuggirà infatti, che ebbe la cattedra in seguito a un prodigio verificatosi durante il suo viaggio giovanile a Roma, quando andò a Roma per visitare le tombe dei martiri venerabili.
Il culto dei due santi è particolarmente vivo in oriente: la prima chiesa nota è un apostoleion, costruita dal praefectus praetorio di Teodosio I, Rufino, nelle sue proprietà lungo le rive del Bosforo. Dal
IV secolo si trovano alcune chiese a Costantinopoli, a Corfù e un monastero in Lidia. Tuttavia, il culto è assai più radicato e assume maggiore significato a Roma, dove la coppia apostolica si riscontra più precocemente, fin dal II secolo d.C. 32.
L’associazione dei santi Pietro e Paolo riassume simbolicamente significati basilari e complementari, come quelli di fides et dottrina, scientia et potentia. Ancora questa gemina ecclesiae forma viene rappresentata sia nei testi, sia nell’iconografia, come ecclesiae ex circumcisione, ecdesia ex gentibus a rappresentare l’unità della chiesa cattolica.
Lo schema iconografico diffuso specialmente nei sarcofagi e nei catini absidali, dispone Pietro e Paolo ai lati del Cristo in trono o della crux invicta 33.
Questa rappresentazione discende direttamente dal culto romano di Concordia 34, che viene trasferita e assorbita dalla Chiesa, anche in senso politico. E la volontà di una renovatio urbis cristiana è riscontrabile nei temi iconografici pagani riproposti inalterati ed espressi attraverso la glorificazione di Pietro e Paolo 35. La Concordia apostolorum diviene quindi il simbolo di Roma stessa che, luogo d’elezione della concordia civile, viene riconfermata luogo d’elezione dell’unità religiosa, nel segno cristiano36.
Anche la descrizione dell’atto di consacrazione, celebrato sul tempio agrigentino, richiama ciascuno di questi elementi, ricalcando in pieno lo schema della Concordia Apostolorum.
In quest’ottica, mi sembra assai probabile che Gregorio abbia voluto manifestare consapevole fedeltà a Bisanzio, ma ancor di più alla Chiesa romana. Un atto « politico », teso a chiedere pace alle due parti, indotto dalla sua personale esperienza: quale scelta migliore per celebrare la propria riconciliazione?
Un ulteriore elemento, suggerito da un’ipotesi seducente, è nella probabilità che le due sepolture parallele, rintracc iate nel pavimento della basilica gregoriana, fossero destinate ad accogliere le
spoglie dei martiri Libertino e Peregrino 37. I due in quanto coppia, ripropongono ancora una serie di binomi antitetici, che valorizzerebbero l’azione del vescovo Gregorio 38. Oltre all’introduzione di un ulteriore elemento, quello africano, emblematico del coacervo religioso esistente in Sicilia e rappresentato da Peregrino, vi è anche il confronto tra città e campagna, rispettivi luoghi di martirio e di iniziale sepoltura dei due santi”.
Sappiamo da alcuni documenti che la chiesa nel 1170 cambiò denominazione a favore di S. Gregorio, ma la precedente consacrazione non doveva essere stata dimenticata, se la memoria è ancora talmente viva da mantenere il ricordo di Raps, il cui nome viene storpiato per diventare l’epiteto del santo agrigentino, ricordato come S. Gregorio delle Rape 4°.
Tuttavia, mi sembra interessante rilevare che, nella Chiesa romana, la santità di Gregorio viene riconosciuta solo nel XVI secolo, periodo nel quale viene inserito nel Martirologio romano in data 23 novembre ovvero diversi secoli dopo l’attestazione toponomastica del documento d’archivio.
Tommaso Fazello attribuisce l’iscrizione al tempio, limitandosi a riportarne la nuova collocazione, che riferisce di vedere appesa nel foro della città nuova 42. Per quale motivo essa viene attribuita proprio a questo tra tutti gli altri templi, in assenza di notizie precise sulla sua originaria ubicazione?
Si potrebbe ipotizzare che la chiesa di S. Gregorio venisse ancora ricordata pure con il nome di Concordia, in riferimento alla Concordia apostolorum, e che lo studioso, vedendo l’epigrafe, collegasse ad essa il nome del tempio: lo stesso chiamato oggi in questo modo, con una denominazione, quindi, forse non del tutto arbitraria.
SCARICA IL PDF
Il_tempio_della_Concordia_di_Agrigento