di Alphonse Doria
Appena superata la vallata sulla strada statale appare la magnifica cupola del Santuario del SS. Crocifisso di Siculiana chesormonta tutte le case adagiate sulla collina. I viaggiatori di ieri edi oggi hanno portato con se questo magnifico paesaggio come unsospirato desiderio di quiete.Un dato certo è che questo territorio è stato sempre abitato elo raccontano le sue pietre. Nello stesso posto in superficie si possono trovare frammenti di utensile in selce per raschiare le pelli del paleolitico medio e cocci decorati verde e giallo einvetriati del periodo arabo-normanno.
Questo per dire che ilnostro territorio è ricchissimo di elementi archeologici.Alcuni storici hanno localizzato proprio qui la miticaCamico del re sicano Cocalos, progettata da Dedalo. Anche semolti altri luoghi hanno la stessa pretesa e ancora nessun datocerto ha messo fine a questa disputa, sicuramente Siculiana hatutte le carte in regola per tale stima. Come le ha pure per lalocalizzazione del granaio dei Romani, la città sicana di Herbesso,sfollata dopo la caduta della fortezza di Camico dai suoi abitanti
fuggiti verso l‟interno, per paura del nemico. Mentre sembra indiscussa la localizzazione nel nostro territorio della città di Cena, dove l‟imperatore romano Antonio Pio fece tappa nella sua
visita in Sicilia.
Siculiana già nell‟origine del suo nome divide gli storici di tutti tempi. Ipotesi più accreditata è che grazie al suo portonaturale del fiume navigabile Canne ha reso sicurissimo lo scalo
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A Siculiana un posto di rilievo occupa la Chiesa Madre, prima dedicata alla Madonna del Carmelo, a S. Leonardo protettore del Paese, e oggi dedicata al S.S. Crocifìsso. Si racconta che Ferdinando II di Borbone nel 18 ottobre 1838 venne in visita a Siculiana e appena vide la Matrice disse: “Che bel Tempio!”. La Matrice fu la seconda chiesa del paese, perche la prima fu la chiesa si San Lorenzo che si trova ancora oggi all’interno del castello, dedicata più avanti alla Madonna degli angeli. Di essa se ne ha notizia ufficiale già nel 1540, quando l’amministrazione cittadina, che allora si chiamava “Università”, era costretta a pagare tre onze al suo cappellano. L’arc. G. Moscato che nel 1910 descrive la piccola chiesetta come “II sito più delizioso del castello al centro dell’ala sinistra con la porta d’ingresso nell’atrio a tramontana… ancora si conservano i 2 pilastri di intaglio dell’abside e i resti della cappella maggiore ridotta ad armadio… si osservano alcune foglie di stucco con la doratura sbiadita.”
Fu proprio lì, che sorse il quartiere Casale, che era tutto il nostro Paese di allora, e qui si custodì il simulacro del S.S. Crocifisso fino al suo trasloco nell’attuale Madrice. I secoli XVII e XVIII furono caratterizzati da molte Congregazioni religiose per confermare la generale propensione verso il culto sacro e della “cosa” ecclesiastica, usato in quel periodo. Alla fine del 1500 o agli inizi del 1600 si stabilirono a Siculiana i Padri Carmelitani, che con il permesso del Barone Blasco Isfar, costruirono la chiesa della Madonna del Carmelo, dove in seguito venne inserito il Collegio di Maria (la Balia). In quegli anni sorse, quasi di fronte a questa, la chiesa della Madonna del Rosario, forse parte integrante dell’altro convento edificato nel 1612 sempre dal barone del luogo e dedicato a S. Francesco di Paola , convento che, invece, alcuni vogliono collegare alla non molto lontana chiesetta di S. Francesco di Assisi.
La chiesa del Rosario fu agibile fino al 1859 quando, secondo il Moscato, vi si fece trasportare e depositare la croce del Calvario perché subì dei danni nella sede originaria; in seguito furono costruiti i locali della Casa del Fascio con la Torre dell’Orologio, che è l’odierno monumento ai Caduti in guerra. Gli stessi locali, ospitarono un Ufficio che sostituì la vecchia Pretura Circondariale di via Scalia, eliminata nel ‘900. La chiesa della Madonna del Carmelo fu aperta nel 1610, mentre nel 1637 ai vecchi Carmelitani conventuali subentrarono i Riformati. Si pensa che divenne Matrice all’epoca della erezione dell’arcipretura nel 27 Agosto 1669, con il primo arciprete, don G. B. Lo Monaco.
L’antica Matrice era costituita dall’unica navata con il tetto basso, senza volta ma con travi istoriate come quelle della cattedrale di Agrigento, senza cupola, senza transetto ne oratorio. Aveva cinque altari dedicati alla Madonna del Carmelo, a S. Anna, alla Madonna del Lume, a S. Leonardo Protettore del Paese e al Crocifisso, corrispondente all’odierno altare dell’Addolorata accanto al Battistero. La chiesa venne ingrandita con lunghi lavori dagli arcipreti che si sus-seguirono, grazie all’aiuto e alle elemosine dei fedeli. Certo nei primi anni dell’800, sotto l’arciprete Giuseppe Garigliano (1800-1833). si ebbe un notevole impulso con la donazione dell’ingente somma di L. 500.000 da parte di Vincenzo Alfani, figlio del Governatore di Siculiana Carmelo Alfani, e grazie a questa donazione nel 1813 poterono essere completati il coro, la cappella e la tribuna del Crocifisso, dove venne posto il simulacro del S.S. crocifisso e dove ancora oggi si trova. Il Moscato afferma che in tale occasione: “Davanti quella cappella fu collocato un velo per maggiore riverenza, ed è per ciò che si introdusse la costumanza della Calata, del Velo”, da allora sempre riproposta il 2 maggio di ogni anno.
Lo stesso Alfani, nel 1806, cioè subito dopo la morte immatura del suo unico figlio maschio Nicolò e con l’ incoraggiamento dei Padri Redentoristi, venuti in missione nello stesso anno, continuò i lavori già iniziati negli anni precedenti, ma non potè vedere l’opera compiuta, essendo deceduto durante i lavori di decorazione, il 6 Luglio 1813. I lavori furono continuati e completati dallo “stucchiatore” don Salvatore Vinti e dai “marmorari di Trapani per il pavimento” grazie ad una clausola del Testamento dell’Alfani che garantiva all’arciprete della Matrice un’eredità speciale di 4000 onze, nonché lo sgravio delle spese per l’acquisto di materiali vari a carico della moglie Anna Cusmano in Alfani.
Nel 1837 la figlia Caterina Alfani in Agnello fece incatenare a proprie spese il lato occidentale pericolante della navata e nel 1841 con la manodopera del capo mastro Saverio Vasile, fu rifatta la cupola, sostituendo il rivestimento di piombo con mattoni verdi disposti a lisca di pesce, che diedero alla cupola un particolare e gradevole tocco estetico, anche se presto tutti si lamentarono per la poca resistenza. Mons. M. Lo Jacono, vescovo di Agrigento e nativo di Siculiana, contribuì molto spendendo, dal 1850 al 1860 (anno della sua morte) L. 100.000, tanto che il suo stemma vescovile venne inciso su pietra nel muro orientale della sagrestia.
Questi stessi anni carichi della tensione sociale che culminò nei moti popolari del 1848 e ’60 – 61 videro a Siculiana la nostra chiesa protagonista, essa fu un importante punto di riferimento anche politico: “Tutto il Clero cittadino con a capo l’arc. V. Siracusa partecipò alla lotta e aderì all’atto di decadenza dei Borboni, ma gli stessi sacerdoti nel 1849 ritrattarono la loro adesione alla rivoluzione e fecero omaggio al re”. (Atti d’Intend. 1849 n. 272). Nel 1884 nuovi lavori continuarono l’opera di ristrutturazione dell’edificio, con la cooperazione del Municipio, che diede L. 1000, le casse delle tre feste principali (S.S. Crocifisso, Immacolata, S. Giuseppe) che diedero ognuna L. 793,90, furono tolti gli estetici ma poco funzionali mattoni verdi della cupola e si fece un rivestimento con una forte malta di calce.
La decorazione interna attuale fu progettata dall’arciprete Giuseppe Cagliano, che scrisse il contratto ma che, dopo la sua tragica uccisione avvenuta in sagrestia nel 1938 da parte del s. tenente medico di complemento dott. Giuseppe Lo Lordo, fu proseguita dal suo successore arc. Giuseppe Minnella (1938-46) che completò anche la cupola e il transetto e fu portata a termine dall’arc. Gaetano Antona (1948-59) a cui si deve anche il pavimento finale della navata. Importanti interventi di restauro sono stati compiuti dall’arc. Giuseppe Cuva (1960-88) e dall’arc. Giuseppe Argento (1989) con la maestria di artigiani locali come A. Dinolfo, P. Di Mora, B. Pecorelli, A. Scimé, G. Siracusa, E. Velia ed altri, grazie alla premurosa offerta dei fedeli, del Comitato SS. Crocifìsso ed a finanziamenti pubblici.
Entrando dall’ingresso principale troviamo, oltre ai preziosismi di un tenue stile barocco,a sinistra l’altare di S. Vincenzo, dipinto su una tela; l’altare è dedicato alla Madonna Addolorata che piange il Cristo appena deposto dalla croce; l’altare dedicato alla Madonna Annunziata; dopo un monumento marmoreo, raffigurante il benefattore Vincenzo Alfani, segue la prima tela del transetto con la Guarigione del Cieco nato e di fronte, nel lato destro, la seconda tela con il Sacro Cuore di Gesù; proseguendo a destra lungo la navata troviamo l’altare con l’Assunzione di Maria; dietro, quello dedicato a S. Leonardo; e, infine l’altare con la raffigurazione pittorica della Liberazione di S. Pietro da parte dell’Angelo.
Tutte queste opere dovrebbero appartenere a Raffaello Politi (di sicuro sue le tele del transetto) anche se sono state ritoccate da altra mano. Lo stesso artista raffigurò, nella volta della navata, la Creazione di Adamo (sotto cui firmò Raffaello Politi Siracusano), la Creazione di Eva e la Tentazione ad opera del serpente in tre stupendi, affreschi, copiando dal celebre Michelangelo della Cappella Sistina in Vaticano. La cupo-la che si erge all’incrocio del transetto con la navata è sorretta da un tamburo ottagonale e riporta nella base le immagini di Abele, David, Giacobbe, Noè, Mosé, Giobbe, Abramo e Isacco mentre più in basso sono raffigurati i quattro Evangelisti.
Sotto il cornicione perimetrale superiore delle pareti sono sistemati una serie di pregevoli quadri raffiguranti la Via Crucis. Nell’abside si innalza sulla sommità di due scalinate laterali, che abbracciano l’altare maggiore, la tribuna del Crocifisso assieme al reliquario che è rimasto fin dall’inizio senza reliquie. Infine nella volta dell’abside è rappresentata la suggestiva Ascensione al Cielo di Gesù Cristo. Sopra la porta principale, in un ripiano dominante la navata, si trova anche un immenso organo a canne, messo lì in occasione dell’incoronazione del S.S. Crocifisso, il 3 Maggio 1939. Sempre nel lato sinistro di chi entra, dopo il primo altare, si apre l’accesso alla cappella del Battistero o Fonte Battesimale, a pianta rotonda con otto colonne e sei nicchie ornamentali alle pareti, così com’è oggi grazie ai lavori finanziati nel 1966 da Emanuele Lo Giudice (Usa), da Gaspare Sciortino (Usa) e da Francesco Schembri.
In basso, lungo le pareti, sono poi raffigurali, in otto bellissime formelle di pietra alabastrina: Davide che uccide Golia, il Trasporto dell’Arca a Gerusalemme mentre Davide suona la cetra, Giuseppe e i fratelli, Giuseppe che riceve il padre, Giona vomitato dal mostro marino, Giobbe su un letamaio con in prossimità la moglie e due amici, il Sacrifìcio di Isacco, Isacco che benedice Giacobbe, tutte scene dell’Antico Testamento che rappresenterebbero l’unico esempio pervenutoci di arte ebraica sacra in Sicilia.
La vasca battesimale, sopra cui si innalza quello che era il cielo della “vara” del Crocifìsso, sorretto da quattro colonne, è ricavata da un’antico sarcofago di marmo con iscrizione ebraica dedicata, nel 1475, a Samuele, giovane figlio del rabbino Giona Sibeon; lo stesso sarcofago ha due stemmi in bassorilievo: a destra quello della Reale Casa di Aragona in Sicilia, inquartato in croce di S. Andrea con quattro pali sopra e alla punta e aquile ai fianchi, a sinistra quello della Reale Casa di Castiglia in Sicilia, con castello sormontato da tre torri in primo, leone in quarto e pali in secondo e terzo.
La presenza degli stemmi reali e la simmetrica sobrietà delle linee di incisione depongono per un personaggio molto importante e facoltoso, forse un medico ebreo, che aveva avuto un intimo rapporto con la famiglia reale, e questo non solo fa del pezzo marmoreo qualcosa di unico ma testimonierebbe anche l’esistenza, in quegli anni, di una comunità ebraica a Siculiana non tanto conosciuta che poteva godere di particolari privilegi, come si può ricavare da un dimenticato ma originale documento della prima metà del 1400, conservato nell’Archivio di Stato di Sciacca. Bibliografia: “Siculiana racconta” di Paolo Fiorentino.
fonte http://www.sicilia.lafragola.kataweb.it/agrigento/medie/capuana-siculiana/story374829.html