
Amministrativamente Girgenti (oggi Agrigento) era una delle sette Capo-Valli della Sicilia; era governata da un Intendente ed il suo territorio di giurisdizione coincideva, all’incirca, con quello dell’attuale provincia e della diocesi.
Dipendeva dal Luogotenente Generale in Sicilia, residente in Palermo, rappresentante di S.M. il re Ferdinando II di Borbone, che regnava in Napoli, dalla morte del padre Francesco I, avvenuta nel novembre 1830.
Nelle alterne vicende della storia attraverso i secoli, Girgenti aveva mantenuto quasi sempre un posto di spicco.
Non ò questo il momento ed il luogo per fare una disamina accurata del lontano passato; giova però ricordare quale fosse la posizione amministrativa della città prima della pubblicazione dei nuovi codici napoletani del 1819, per comprendere bene il trauma che ebbe a subire la popolazione girgentina, negli anni 20 del 1800 e l’impegno spiegato dalla stessa per non vedersi privare o rubare un diritto acquisito.
Scrive lo storico agrigentino Giuseppe Picone nelle sue Memorie storiche agrigentine : «…Egli e certo che dal 1597 in poi l’isola fu ripartita in tre valli (Val di Mazara, Val Demone e Val di Noto) e Girgenti e Palermo erano comprese in quel di Mazara».
Poco prima di questo avvenimento, sempre nel corso del secolo XVI, il territorio comunale della città era stato decurtato di quello delle località di Siculiana, Favara, Palma Montechiaro, Joppolo, Santa Elisabetta, Aragona, Comitini, Grotte e Canicattì, le quali, emancipatesi, si erano erette a comune.
Col ritorno di Francesco I, in conseguenza del Congresso di Vienna, scomparso il parlamento, «tutti i poteri erano stati assorbiti dal re, il quale nel 1817, stabiliva le intendenze nelle sette valli e Girgenti ne l’u uno dei capi».
La città esultò perchè riprendeva prestigio, ritornando ad essere sede di Gran Corte Criminale, di Tribunali, d’intendenza e di vari altri uffici governativi; ma tutto ciò si verificò in un periodo molto turbolento, sia per l’abolizione di tutte le franchigie politiche, sia per l’introduzione dei nuovi codici e della legge sulla coscrizione. Intanto la costituzione svaniva nel nulla e nuove contribuzioni venivano imposte per reperire ed approntare nuovi locali per i pubblici uffici. — Dice il Picone: «…Girgenti mancava di tutto… Fu vista come in stato di assedio. Le violenze militari tali da scacciare dalle case ed uomini e donne, onde alloggiarvi i soldati…». — «Frattanto — continua — Sciacca e Licata volevano cogliere il destro, onde aver¬si il beneficio di essere elevate a Capovalli, ed offrivano al Governo i loro edifici».
Nel 1822 il governo del re minaccia la cancellazione di Girgenti da Capovalle, aggregandola assieme a Bivona ad una altra capovalle; Caltanissetta. — «Ne ciò bastava, ma era d’uopo mutilarci la giurisdizione chiesastica, Caltanissetta sorse primiera a chiedere un vescovado e lo smembramento della nostra diocesi…».
In questi anni si tentarono tutte le vie onde ottenere che il re desistesse dal suo proposito. Intanto il 12 giugno 1828 usciva il decreto di abolizione di Girgenti come Capovalle.
Il comportamento dei girgentini fu veramente meraviglioso al punto da indurre il sovrano ad emanare, il 16 dicembre successivo, altro decreto di revoca. Girgenti esultava.
Restava capovalle e le si riconfermava, con ulteriore decreto, il diritto alla Gran Corte Criminale ed al Tribunale Civile.
Si fecero grandi festeggiamenti per l’occasione e, la piazzetta di fronte la chiesa di S. Giuseppe, venne chiamata Piazza della Riconoscenza, erigendovi un grandioso monumento marmoreo al re Francesco I, ad opera del Villareale.
Il territorio di pertinenza del comune era costituito da quello attuale, con raggiunta di quello occupato in atto dal comune di Porto Empedocle, emancipatosi il 4 gennaio 1863 e che, in precedenza faceva parte integrante della città madre, con la denominazione di «Caricatore, Molo — oppure Porto».
Che cosa era quello che in quel tempo chiamavasi «Molo»?
Riferisce il Picone: «…abbandonato l’antico emporio, in epoca imprecisata, l’attività marinara venne a svolgersi in zona più ad ovest, ove scavate nella marna compatta ampie e profonde fosse e costruiti numerosi magazzini, vi si serbavano i grani e qualunque specie di derrate, che si esportavano o per l’estero o per cabotaggio.
Tale posto, detto «il Caricatore» era l’unico in tutta la costa meridionale della Sicilia. In questa rada approdavano moltissimi legni» e l’attività si era fatta intensa al punto che «la creazione di altri due caricatori: «uno a Siculiana e l’altro a Montechiaro», «…non giunsero a minorare l’importanza del nostro caricatore che, anche allora appellavasi Porto, conciossiachè nel 1477 ne vediamo fatta menzione nei diplomi, quale LO MIGLIURI ET LO PRINCIPALI E’ QUELLO DI LA CITTA’ DI AGRIGENTI, LA QUALI E’ DI SUA MAESTÀ’».
Acquistò maggiore prosperità quando, nel secolo XVIII, per interessamento del vescovo Gioeni «il re Carlo III edificava il molo a facilitare l’approdo dei legni mercantili e la caricazione».
A proposito del Molo, non si può tacere un ulteriore deplorevole comportamento di Licata, nei confronti di Girgenti, cosa peraltro ripetutasi ai tempi del fascismo, che si mise in lizza con Canicattì, per scalzare Agrigento da città capoluogo di provincia. Riferisce il Picone che essendo venuto nel 1838, il re Ferdinando II in Girgenti, «il popolo presentò per mezzo del sindaco al re i suoi voti, espressi in parecchi deliberati della Decuria:
1) La conservazione del nostro molo, per opere necessarie ad impedirne il progressivo colmamento e respingere le pretese di Licata la quale denunziava al governo l’inutilità del nostro, onde costruirsi il novello nella sua riviera…».