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Il pittore fiammingo Guglielmo Borremans in provincia di Agrigento

9 Marzo 2019 //  by Elio Di Bella

Un’opera di Gioacchino Di Marzo sulla presenza di Guglielmo Borremans in Sicilia ci svela molto sulle opere realizzate ad Aragona dal pittore fiammingo e nega che siano anche sue le opere della Cattedrale che gli sono state attribuite

Fu primo e solo intanto il padre Salvatore Lanza dei principi di Trabia, mentovando Aragona, comune in quel di Girgenti , a far cenno che ivi il Borremans dipinse le vòlte delle grandi sale del palazzo del principe (Lanza di Trabia, Nuovissima Guida del Viaggiatore in Sicilia, Palermo, 1884). Il che fu dovuto a Baldassare Naselli e Branciforti, principe di Aragona, il quale, investito del principato a’ 23 d’aprile del 1711 per rinunzia fattagliene da suo padre, fu capitano di Palermo nel 1724 ed indi pretore nel 1738, e poi, tenute alte cariche a Napoli in corte , morì finalmente in Parigi a’ 28 di maggio del 1753 (Villabianca, Sicilia Nobile, Palermo, 1754, parte II, libro, I, pag.64). Or facendo egli splendida vita qual uno dei primi signori del regno di Sicilia, volle aver tutto decorato a fresco il sontuoso palazzo di quella sua terra feudale di recente fondazione, e , spinto dal singolar valore, che il Fiammingo dimostrava nell’arte in Palermo ed ovunque , lo preferì di leggieri all’ uopo.

Non si hanno più elementi a poter precisarne il tempo, ma è certo che quei lavori furon dei principali del Borremans, comprendendo la decorazione a fresco delle vòlte di molte sale e specialmente del gran salone del palazzo, in un che delle logge e della cappella di esso, con grande varietà di soggetti sacri e profani e relativa profusione di ornati. Recatomi però io sul luogo alla fine del gennaio del corrente anno mi è toccato subirvi la più amara delusione, non trovatavi che una menoma parte di sì gran copia di dipinti, scomparsone tutto il resto per ignoranza ed ignavia degli uomini e per ingiuria del tempo. Vi ho saputo, che, minacciando crollare la vòlta dipinta del gran salone nel passato secolo XIX, il principe Baldassare Naselli e Morso, degenere dell’omonimo suo antenato, anziché ripararla , ne affrettò il crollo ed indi se ne servì del legname in sostegno di una sua zolfara pericolante. Vi si vedevano ancora in seguito sopra due porte principali due medaglioni dipinti con belle mezze figure del Redentore e della Vergine, e nelle impostature della vòlta crollata, ovvero al sommo delle pareti , alcune di una serie di storie dei due Testamenti (Vi ha chi ricorda ivi ancora esistenti fin verso al 1880, oltre alcuni tratti di soggetti della Genesi, le storie del Giudizio di Salomone, di Rebecca al pozzo, di Mosè con le Tavole, e poi della Samaritana, ecc.ma niuno ha più contezza del soggetto del gran fresco centrale della volta)).

Ma il tutto fu poi manomesso quando la vòlta e il salone furon rifatti. Laonde adesso non rimangon dipinte se non la vòlta di una piccola stanza , che un dì fu cappella, e due maggiori vòlte di una sala e di una loggia, che dà a mezzogiorno, laddove invece i freschi di un’ opposta loggia settentrionale sono periti , lasciando traccia sol di due cervi. Sotto però il soffitto posteriormente rinnovato di un’altra gran sala ricorre inoltre un ampio fascione a fresco, composto di tralci , fiorami e putti ed elegantissimo, facendo anche onore al merito del Borremans in cotal genere d’arte; e vi si notan frammenti d’ iscrizione (ROSIS LILIIS.. PARADISVS MARIA) alludente senza dubbio alla Vergine. Alla quale altresì fu dedicata la cappella, nella cui vòlta in un tondo centrale è rappresentata l’Assunta sopra una schiera di angeli, e dai quattro lati di essa vòlta son quattro storie in più piccole figure, cioè in una gli apostoli attorno al sepolcro vuoto della Vergine, in altra i medesimi dattorno a lei composta sul feretro, nella terza l’Annunziazione, e nella quarta l’apparizione di un angelo, che, librato sull’ali, reca un serpente abbattuto e come morto in sue mani, ed annunzia a Gioacchino il prossimo parto della vecchia, sua moglie Anna , facendolo padre di una figlia debellatrice dell’antico serpente ( LUDULPRUS, Vita Jesu Christi, cap. II). Per bellezza d’invenzione e finitezza di esecuzione questi freschi han riscontro con quelli dei fatti di S. Benedetto e S. Scolastica nella chiesa del Cancelliere in Palermo.

Fra i migliori esempi della smagliante colorazione del Borremans vanno intanto quegli altri di allegorie nella vòlta della sala contigua alla loggia nel palazzo medesimo. Vi ha nel centro personificata la Gloria, cinta il capo di corona turrita ed in atto di levar con la destra una corona di alloro come per coronarne il principesco stemma dei Naselli, portato da un dei putti , che son dattorno (Il detto stemma è in campo azzurro, con una fascia sormontata da un leone nascente, accompagnata in punti da tre palle allineate in farcia , il tutto in oro.). In una striscia svolazzante si legge : NON SINE CERTAMINE.

E quattro altri soggetti allegorici vi ricorron dai lati, in un dei quali è in piedi la Mansuetudine con un elefante accanto e iscrizione : MITIS CORDE QVIESCO; in altro è la Virtù incoronata e volante, recando un’asta con la destra ed una corona d’alloro coll’altra mano, mentre di sotto il Vizio dalle ali demoniache la guarda e si morde il dito, oltrechè vi sta scritto : VIRTVS AD ASTRA VEHIT ; in un terzo è la Munificenza, individuata in bella e giovane donna, che tiene con la manca una cornucopia e spande con la destra piastre d’argento, laddove a terra si giace seminuda e livida l’Avarizia, che, rivolta di schiena, invida mente la guarda, essendovi pure il motto : DAT MVNVS HONORES ; e finalmente il quarto rappresenta il Trionfo sulla Lussuria , che, personificata in figura metà di donna ignuda e metà di enorme dragone, vedesi a piè di un giovine guerriero con elmo in capo e corazza in atto di colpirla con un’asta nel seno , mentre un fanciullo con l’ arco , cioè Amore , volge le spalle pauroso e s’invola. Vi allude l’iscrizione : VTI STERCORA PREMO.

Il qual dipinto, ch’è il più pregevole fra gli altri di detta sala, vieta pure fra i migliori che il nostro Fiammingo abbia fatto. Nella contigua loggia in fine la vòlta ha pure un affresco, dove nel mezzo di una decorazione dipinta con finti busti di marmo si vede una Vittoria sopra un carro trionfale tirato da una bella quadriga, con accanto a lei nel fondo un leone ed una bilancia , simboleggiando la forza e la giustizia , e dinanzi più giù sedenti 1′ Abbondanza e la Primavera, coronata di rose, con un coniglio e due putti. Peccato che a questo affresco, già molto patito, sia riserbata la trista sorte degli altri oramai scomparsi. Nè si ha da sperare che alcuno pensi a ripararvi, giacchè nè ispettori, nè Commissioni per la conservazione dei monumenti e delle opere d’arte non mai si occuparono di evitare in quel palazzo la distruzione di una delle più notevoli opere del valoroso fiammingo dipintore.

a Girgenti

Escludo in fine addirittura per ragioni stilistiche ed altresì cronologiche aver decorato a fresco il Borremans le pareti del cappellone del duomo di Girgenti , siccome è stato gratuitamente asserito ( Cfr. Russo Giuseppe, Memorie storiche della Chiesa vescovile di Girgenti (Periodo apostolico).— Girgenti, stamp. Montes, 1910, pag. 46 e seg., in nota.). Senz’ alcuna scorta di documenti coevi, su mere induzioni senza valore , gli son quindi da taluno attribuiti colà i sette freschi sotto-stanti, essendo altronde indebitato che quello del Paradiso in fondo ed in alto sia opera del prete Michele Blasco da Sciacca , il quale vi si ritrasse, a sinistra di chi guarda, nella figura di un degli apostoli con la seguente iscrizione in un libro aperto da lui tenuto : DON MICHAEL BLASCO PIN. E di lui si stiman del pari i piccoli freschi della parte superiore del cappellone, e nei peducci della cupola le grandi figure delle Virtù cardinali. Risulta intanto che Francesco Gisulfo , vescovo di Girgenti dal 1658 al 1664 , impiegò tutto il sessennio del suo governo alla fabbrica del cappellone medesimo, e non meno alla decorazione di esso con pesanti e barocchi stucchi dorati e con pitture; nè può negarsi che queste primainente siano state allogate al Blasco .

Se non che, morto costui in Sciacca sua patria nel 1661 (FARINA Vincenzo, Biografie di uomini illustri nati in Sciacca.—Ivi, 1867.), dovette il Gisulfo sostituirlo con altro pittore, che non fu certamente il Borremans perchè ancora non nato. Che se vuolsi poi ammettere checchè per induzione si accenna di essere stata continuata quell’ opera essendo vescovo Francesco Ramirez fra il 1697 ed il 1715 (LAURICELLA, op. cit., pag. 61 e seg.) , è da pensar che costui non potè averlo fatto se non prima del 1713 allorchè il Borremans non era ancora in Sicilia. Seguirni poi tosto in fatti i noti aspri dissidi con papa Clemente XI regnando nell’ isola Vittorio Amedeo di Savoia, onde, interdetta la diocesi agrigentina, il Ramirez andò esule in Malta, donde passò in Roma e vi morì lontano dalla sua chiesa nel 1715, rimasta essa nell’interdetto insino al 1719 e poi senz’alcun vescovo fino ai 1723. Laonde non furon più tempi quelli di pensare a pitture, nè si sa di alcun altro vescovo che abbia finito il cappellone in appresso; e quindi sembra più verisimile che sia stato finito prima, siccome ancor pare rivelino quei freschi delle pareti inferiori. I primi due dei quali, di maggiori dimensioni, uno per banda, rappresentano San Gerlando, che predica agli Agrigentini, e San Giacomo apostolo, che in un’accanita mischia di cavalli e di cavalieri discaccia i Mori dalla Spagna. Ne seguono altri quattro minori, due per ciascun lato, con altrettante storie di Santi vescovi della primitiva Chiesa di Agrigento , ed in fondo nel centro l’Assunzione della Madonna con gli apostoli attorno al suo sepolcro. Qui e qua più o meno , a causa dell’ umidità, non mancano restauri, specialmente in quello del San Gerlando , che sembra rifatto sulle antiche tracce da capo a fondo in tempo assai posteriore. Prevale intanto in tutti una maniera speciale, non ispregevole gran fatto per invenzione e disegno, ma che nell’ uso dei colori sovente adopera grandi masse di bianco con effetti poco gradevoli. Che se fin qui non è facile determinarne il pittore, mancando all’uopo le testimonianze del tempo, risulta però ab-bastanza da quei suoi dipinti eh’ ei nulla ebbe mai di comune con la maniera fiamminga e che ben potè dirsi agli antipodi del nostro Guglielmo.

scarica l’intera opera di Di Marzo

Borremans

Categoria: Storia ComuniTag: agrigento, aragona

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