<<Un errore è tanto più pericoloso quanta più verità contiene.>>
Henri Frédéric Amiel, Diario Intimo, 1839/81 (postumo, 1976/94)
Negli anni dell’errore, dello sfruttamento, dell’egoismo, sono accaduti fatti importanti per l’uomo; anni in cui le regole avevano perso la loro importanza, dove non erano mai state rispettate, dove errore e verità sono alla fine emersi, quel mattino del 19 Luglio. (1)
Il Parco dell’Addolorata nasce dalle drammatiche conseguenze causate dai movimenti franosi che si sono verificati il 19 Luglio 1966 giorno in cui 7.787 persone fuggirono dalle loro case e le videro crollare sotto i propri occhi. Adagiato sul terreno collinoso, il parco sorge su una delle tante affascinanti “creste” di roccia calcarenitica caratteristiche del territorio siciliano centro-meridionale, alle pendici della collina di Agrigento, sul suo versante Ovest Nord-Ovest; estendendosi dal quartiere del Quadrivio Spinasanta fino a quello di Villaseta e Fondacazzo, costituisce la parte più ampia del polmone verde della città.
Ad oggi non sono presenti saggi, descrizioni o pubblicazioni che descrivono gli eventi e i vari processi avvenuti dopo la costruzione del parco dovuti, principalmente, alla cattiva amministrazione vigente in quel periodo (fine degli anni ’80) e che tutt’ora, a quanto pare, continua persistente. Progettato su ordine del D.M. 30 settembre 1975, a firma del Ministro a LL. PP. Bucalossi, in seguito a deliberazione 917 del 04 giugno 1976 dell’Agenzia per lo sviluppo del Mezzogiorno, che ha fornito la maggior parte dei finanziamenti, venne concepito e diviso dai progettisti dell’Ufficio del Genio Civile di Agrigento in 10 diversi settori, tutti interessati da impianto a verde costituito da alberi e arbusti ornamentali di specie diverse (comprendenti quelle caratteristiche della macchia mediterranea).
Ricorreva l’anno 1976, periodo in cui l’Italia era percossa da forti scosse di cambiamento, traumatizzanti per l’intero paese. Sono gli anni in cui cade il V governo Moro, il Presidente della Repubblica Leone scioglie le Camere e convoca nuove elezioni politiche; esce il primo numero del quotidiano “La Repubblica”; gli anni della crisi monetaria dove la Lira subisce una svalutazione del 12 %. Nello stesso annoavvengono il terremoto in Friuli, l’alluvione a Trapani e nella stessa Agrigento. Gli anni in cui le Brigate Rosse avevano già cominciato a spargere il terrore fra la popolazione; gli anni in cui si forma e sale al potere il terzo governo Andreotti; gli anni di un cambiamento più che turbolento. In questo panorama storico, la città di Agrigento non aveva ancora digerito gli effetti che la frana aveva causato non solo ad un’importante zona della cittadina, ma anche alle menti delle persone, situazione aggravata dall’alluvione che la colpì nel settembre 1976.
Gli organi tecnici del Comune si trovavano di fronte ad una situazione molto delicata e di conseguenza non facile. La parte di collina franata aveva totalmente distrutto tutto il sistema impiantistico (acquedotti, fogne, ecc.) e gran parte del sistema viario e ferroviario attraversanti l’intera zona. La seguente descrizione fornirà un preciso quadro della situazione geologica e sulle caratteristiche naturali del territorio: << La regione agrigentina fa parte della Sicilia centro-meridionale, caratterizzata da condizioni geotettoniche che hanno determinato un ampia e profonda depressione, nel cui fondo si sono venuti raccogliendo grossi spessori di terreni sedimentari.
Si sono quindi formati depositi elastici (conglomerati, arenarie, sabbie, marne ed argille), di depositi vaporitici (serie gassoso-solfifera, in generale) ed anche depositi organici (calcari conchigliari-tufi). Tale complesso comprende le formazioni che appartengono alle ere Terziaria e Quaternaria.[…] Nelle argille del Piocene poggiano i versanti del colle su cui poggia la città, argille talvolta ricoperte da un deposito calcarenitico e sabbioso […] potente fino a decine di metri. Su questa placca calcarenitica, estendendosi longitudinalmente da Est ad Ovest, risulta costruita la vecchia Agrigento ed – ai margini – parte della nuova città. >>
Il compito dei progettisti fu quindi quello di fornire un forte e sicuro contenimento della collina, che avrebbe dovuto sostenere il peso dei restanti edifici gravanti sui costoni ovviando con la costruzione di un parco che, con una composizione arborea e statico-strutturale, ne avrebbe sostenuto il peso. Da qui nacque l’idea di posizionare un anfiteatro alla base del colle, proprio dove la roccia aveva ceduto, struttura che non solo avrebbe svolto la sua funzione di arena ma anche un’essenziale funzione staticostrutturale.
Da questo, considerato fulcro e centro del progetto, con appositi movimenti terra, è stata decisa la collocazione dei viali e delle passeggiate panoramiche, poste in cima alla cresta calcarenitica che fa da piede, anch’essa, al colle della città. Posizionati in direzione Nord-Sud i percorsi forniscono uno spettacolo insostituibile, quello del panorama che si affaccia sulla Valle dei Templi fino ad arrivare al mare e che lascia spazio alla linea dell’orizzonte congiungendo, da destra a sinistra, i siti di Punta Bianca e Capo Rossello.
Ovviamente non mancano le attrezzature “attive” per il coinvolgimento della cittadinanza, come il cinema all’aperto che sorge sulla spalla Ovest dell’anfiteatro. Posto al centro dell’area, quest’ultimo, ha un impianto circolare formato da due setti che si avviluppano l’uno dentro l’altro e costituisce un raccordo
fondamentale nel raggiungimento delle restanti aree del parco, anello di congiunzione tra gli ingressi (pedonali e carrabili), l’anfiteatro e i viali. Nella parte più ad Ovest del parco, posizionate ad una quota notevolmente più bassa (12 m circa) ed immerse nel bosco di Pini ed Eucalyptus, sono presenti le aree adibite a sosta e pista di pattinaggio,
che però ad oggi sono in pessimo stato di conservazione. Sul versante Sud-Est, con maestosa imponenza, vi sono le enormi cave di tufo che dominano uno spiazzo altrettanto imponente dove dovevano essere realizzati gli impianti sportivi quali: campo da calcio, basket, pallavolo e tennis; attrezzature che, per ovvi motivi di sicurezza e
cattiva amministrazioni, non sono mai state completate. Infine, all’estremità Nord dei viali, su tre grandi terrazze, furono realizzati i parcheggi di servizio. Su questo intreccio di percorsi ed ampi spazi che si estendono su svariate altezze furono distribuite le piantumazioni senza uno schema ben preciso, creando delle parti sistemate a verde
con una densa vegetazione estremamente diversificata di cui, da progetto, facevano parte specie vegetali caratteristiche della macchia mediterranea, quali: Olivi, Carrubi, Oleandri, Acacia, Fico d’hindia, Agave, Palme, Pini ed Eucalyptus. Nel corso del tempo, però, alcune specie presero il sopravvento su quelle che evidentemente non si erano bene adattate al terreno. In buona sostanza, la composizione floreale ed arborea odierna è costituita da un nucleo formato soprattutto da essenze floreali, in particolare Oleandri (Nerium Oleander) accompagnati da Bouganvillea ed Hibiscus, e da un guscio sicuro e ben saldo costituito da un ampio bosco misto di Pini (Pinus Halapensis) ed Eucalyptus (Camaldulensis, Globulus) che, oltre a svolgere quella funzione staticostrutturale in aiuto alle strutture cementificate, crea quell’atmosfera intrisa di “magia” che ha sempre legato l’uomo alla tranquillità ed alla serenità che solo la Natura è capace di fornire. Eppure, questa magia non è ancora entrata a far parte del tutto, o forse per niente, nel cuore degli agrigentini che ad oggi, non hanno mai vissuto il parco.
La collocazione periferica dell’area, rispetto al centro urbano principale, in sinergia con l’incapacità e la superficialità, delle varie amministrazioni comunali, di promuovere ed incentivare la fruizione del luogo hanno contribuito al mancato sposalizio tra i cittadini e il parco. Queste mancanze, testimoniate dalla poca fruizione e dalla scarsa manutenzione, hanno generato ed influito il processo di abbandono del giardino a se stesso, il quale ha intrapreso un processo proprio di evoluzione selvaggia e senza controllo, dall’esito per nulla privo di fascino.
E’ bene augurarsi che nella cittadinanza nasca presto il desiderio di godere dell’area e di portarne a compimento con nuova sensibilità il progetto. Una comunità figlia di Akragas, che dopo millenni incanta e splende con la sua Valle, non può e non deve permettersi di non percepire ed accogliere il potenziale intrinseco del Parco dell’Addolorata; sia quale cuore verde della città sia come bene paesaggistico dall’ interesse storico-sociale, quale monumento vivo in memoria dei disastri generati dalle scellerate scelte in termini di ristrutturazione urbana, degli ultimi decenni del secolo scorso nel nostro Paese.
Note
- <<Alle ore 7, del mattino, del giorno 19 luglio 1966 cominciò a manifestarsi, all’estremità occidentale del centro urbano di Agrigento – segnatamente nel rione Addolorata – un movimento franoso, con alcuni segni premonitori, rappresentati essenzialmente da fenditure sui piani viari.
Questa prima fase, durata pochi minuti, ha consentito agli abitanti di mettersi in salvo allontanandosi dall’area colpita.
Il fenomeno, un’ora dopo, si sviluppava con estrema rapidità in tutta la sua potenza, estensione e gravità, provocando notevoli ed estesi danni alle strutture civili (strade, fabbricati, rete idrica e fognante, ecc.).[…]
La frana interessava una superficie pari a circa 45 ettari, di cui i 2/3 circa urbanizzata: nell’ambito di essa risultarono danneggiate le strutture viarie, acquedottistiche e fognarie e vennero distrutti tre grossi edifici e numerosi altri, tra i quali sei di nuova costruzione od in corso di completamento, subivano dissesti alla statica, tanto gravi da rendere indispensabile la demolizione.
Altri dissesti si evidenziarono sul versante Nord della città, in aree urbane esterne al più grosso nucleo centrale di franamento, ma contermini ad esso. Risultarono interessati – con gravi conseguenze anche se senza crolli – numerosi edifici e tra questi il Museo Diocesano, la Cattedrale, la Casa Vescovile, la Chiesa di S. Alfonso, la Biblioteca Lucchesiana e la Chiesa di S. Michele.
Nei piani viabili di Via Dante, Via S. Stefano e Via Garibaldi si evidenziarono fenditure e spostamenti verticali, rispettivamente, dell’ampiezza di 70 ed 80 cm.
Nella zona non urbanizzata, sottostante il nucleo urbano colpito dal movimento franoso, risultarono gravemente danneggiati un fabbricato adibito a Macello, le strade provinciali Spinasanta-Villaseta e Fondacazzo-Montaperto, la strada ferrata Agrigento Bassa-Agrigento Centrale ed Agrigento Bassa-Porto Empedocle; quest’ultima, attraversante l’intero corpo della frana, ha subito gravi danni nella galleria
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