
Del primo vescovado troviamo notizie al tempo della costruzione della cattedrale fatta da S. Gerlando alla fine dell’XI secolo: « S. Gerlandus in sex annis hedificando complevit episcopium et curiam » (Libellus… ms. pubblicato da P. Collura, Le più antiche carte dell’Archivio Capitolare di Agrigento, Palermo 1961, p. 307; D. De Gregorio, S. Gerlando, Agrigento 1975, p. 44).
Di esso rimane qualche ambiente e una finestra di architettura chiaramontana, accanto alla cosiddetta ’Torre dell’orologio’. Questa zona dell’antico episcopato viene indicata come il « quarto del Ciantro » (Cfr. Alessandro Giuliana Alaimo, La Cattedrale sulla frana, in ’L’Amico del Popolo’, del 25-9-1966, p. 3).
Successivamente l’episcopio venne ingrandito, trasformato, restaurato. Si hanno testimonianze di vari interventi. Citiamo solamente quelli realizzati dal sec. XVII in poi.
Da un pagamento del 24 luglio 1600 risulta che « la casa vescovile in molte parti minaccia rovina » e che era da fare una nuova stanza per lo studio (cfr. il Registro della Maramma, 24 luglio 1600).
Nel 1604 si registrano delle spese per riparare la Chiesa Cattedrale e « la Casa vescovile (Registro della Maramma in data 25 aprile 1604, c. 151 v.).
Il 10 marzo 1654, in attesa dell’arrivo del nuovo vescovo Mons. Sancez vengono effettuate delle riparazioni nel Palazzo Vescovile (Registro della Maramma, c. 4). Sempre dai medesimi Registri della Maramma dell’Archivio Capitolare della Cattedrale di Agrigento si hanno notizie di lavori nel 1657 per riparare porte e finestre (c. 123), nel 1656 interventi vari (cc. 59-63), nel 1679 per la scala.
Dopo il terremoto del 1693 che gravissimi danni e morti causò soprattutto nella Sicilia orientale, anche la Cattedrale e il Palazzo Vescovile subirono gli effetti devastanti del sisma. In un lungo documento sono riportate tutte le spese affrontate dalla Maramma della Cattedrale in occasione della « ruina e fracassi causati in detta Cattedrale Chiesa come nel suo palazzo vescovile ».
L’intervento più consistente tuttavia è quello del vescovo Mons. Andrea Lucchesi Palli, vescovo di Agrigento dal 25 luglio 1755 al 4 ottobre 1768. Come scrive A. Lauricella ( I Vescovi della Chiesa agrigentina, note storiche, Girgenti 1896, p. 59) il Lucchesi « fabbricò il palazzo vescovile, vasto immenso fabbricato che si estende dalla Cattedrale sino all’antica Chiesa di S. Maria SS.ma dell’Itria; diciamo fabbricò, perché quelle che sino allora formavano l’abitazione del vescovo, erano poche stanze vicine alla Cattedrale, ora chiamate il quarto del Ciantro. Metà di esso destinò alla sua biblioteca… ».
Di questa immensa e costosissima opera del vescovo Lucchesi esiste una ricca documentazione (cfr. F. Pellitteri-G. Testa, Andrea Vescovo di Girgenti e la Biblioteca Lucchesiana, Palermo 1986, p. 32).
Una dovizie di notizie particolareggiate si ricavano anche da un lungo esposto presentato dai Canonici del capitolo della Cattedrale di Agrigento al Viceré il 3 gennaio 1758. In esso vengono contestate le pretese del vescovo che vorrebbe che la Maramma della Chiesa Cattedrale dovesse affrontare le spese del palazzo vescovile. I deputati sostengono che la Maramma è tenuta alle riparazioni, ma non alle grandi spese di una nuova costruzione (il testo del lunghissimo esposto è riportato per intero da A. Giuliana Alaimo, l.c.).
Giuliana Alaimo, nel citato articolo, scrive che « non è da dubitare che l’architetto Pietro Scicolone da Licata, che il 30 marzo 1760 venne incaricato dal Vescovo, insieme al capo maestro marammiere Onofrio Chiarelli, di procedere alla stima del terreno e fabbricato del giardino del castello di proprietà della duchessa di Castrofilippo, donna Marianna Morreale e dalla stessa concesso in enfiteusi a Mons. Lucchesi Palli, sia stato l’architetto del Palazzo ed il Chiarelli il Capo Maestro ».
Alla luce di un altro documento da noi rinvenuto, la notizia citata è da completare. I disegni del Palazzo vescovile, infatti, sono opera del maestro Domenico Dolcemascolo da Sciacca.
Innanzitutto va tenuto presente che i due plessi sono divisi da quella che è oggi l’entrata della Curia Vescovile e pur mantenendo una continuità ideale, presentano una diversità formale e strutturale. Inoltre furono realizzati in tempi vicini ma diversi.
Il Palazzo vescovile, infatti, fu iniziato nel 1757, mentre solo il 1° maggio 1761 il vescovo acquistò dalla duchessa di Castrofilippo 749 canne e 4 palmi di terreno e i ruderi dell’antico castello per costruirsi la Biblioteca e la Casa dei PP. Redentoristi (F. Pellitteri- G. Tèsta, op. cit., p. 32; S. Giammusso. I Redentoristi in Sicilia, Palermo 1960, p. 35 ss.).
Presso gli Atti del notaio agrigentino Antonio Diana si trova una obbligazione stipulata tra Mastro Onofrio Chiarelli, « maestro fabriciere di questa magnifica città di Girgenti », e il rev.mo Canonico Giuseppe Palermo, quale procuratore generale (Archivio di Stato di Agrigento, Notai Defunti, 1765, voi. 796, cc 9-11).
Il Chiarello si « obbliga a proseguire la nuova fabbrica di questo vescovile palaggio… e ciò sotto il sistema di quei disegni che sarà per presentare il suddetto can. di Palermo, quali il suddetto di Chiarello si obbliga minutamente osservare, ed operare il suo magistero alla ragione delli infrascritti prezzi… ».
L’atto porta la data del 16 settembre 1765 e dall’insieme si evince che tutta la struttura del Palazzo era terminata e adesso bisognava intonacarla e ridefinirla dentro e di fuori con calce, gesso, sabbia, intagli: « In primis per tutta la quantità della fabbrica di calce, ed arena interiore ed esteriore giusta la forma delli disegni di mastro Domenico Dolcemascolo della città di Sciacca… Intagli della pietra della beveratoia,
dovendosi misurare l’aria superficiale, lisci, scorniciati, lavorati, rabbiscati… ».
Nell’atto, che è di estremo interesse non solo per la descrizione dei lavori e la relativa stima, si trova il nome delle cave dà dove veniva ricavata la pietra: « S’avverte che rimaglio delle pietre, cioè di quelle del balatizzo, beveratoia, e Gorgo di Giuda, per le quali si è dato l’assettatine alla ragione di tari tre per canna, s’intenda solamente per il prospetto del palazzo a fronte del mezzogiorno, incluso il portone, scala, cornicioni, pilastri, finestroni ed altro… ».
Di nuovo s’incontra il nome dell’architetto disegnatore a proposito del grande prospetto con l’entrata: « Si procede di patto, che l’intaglio del prospetto del Palazzo come di sopra si deve passare per anche fabbrica di calce, oltre l’assettaiina e mastria d’intagliatina, dovendo tanto la fabbrica quanto l’intaglio di tutto il prospetto, come di sopra essere e farsi a seconda delli disegni fatti dal Maestro Domenico Dolcemascolo della Città di Sciacca e dal medesimo e d’altro perito ben visto a questo ill.mo Monsignore, misurarsi… ».
Allo stato dell’attuale documentazione potremmo avanzare l’ipotesi che all’architetto Pietro Scicolone da Licata, un altro « grande sconosciuto », è da attribuire il disegno delle strutture del palazzo e, invece, al « maestro Domenico Dolcemascolo da Sciacca i disegni del prospetto centrale delle finestre e porte. Dopo questi lavori il palazzo vescovile si presenta in tutta la sua imponenza dando dignità a questa parte nord della città che inizia con i ruderi del Castello e del serbatoio, prosegue con le mura e l’artistico prospetto rinascimentale della ex Chiesa dell’Itria, quindi con la Biblioteca Lucchesiana e il Palazzo Vescovile in questione per continuare con le monumentali strutture della Cattedrale
Di Biagio Alessi L’amico del Popolo 15 marzo 1992