OLYMPEION DI AGRIGENTO:
il fascinoso racconto del Prof. Anselmo Prado, a tu per tu col mito
È uno dei più grandi ed originali templi greci dorici del mondo.
Sorge tra il tempio di Ercole e quello dei Dioscuri, sulla collina sacra di Akragas.
L’inizio della sua costruzione è fatto risalire, per opinione comune, al 480 a. C., anno della vittoria su Himera. Sotto l’illimitata guida del tiranno Terone, gli agrigentini vivevano allora l’età del loro splendore.
Secondo la testimonianza degli scrittori antichi i lavori durarono oltre settant’anni. Forse si interruppero prima che l’edificio fosse completato. Ciò non toglie che l’opera destasse stupore ed ammirazione: lo stupore e l’ammirazione che colgono ancora oggi chi si attarda a guardarne i poveri e sconvolti avanzi.
L’Olympeion, per la sua grande mole, e per le numerose particolarità architettoniche, divenne presto famoso in tutto il mondo Ellenico. Le sue poderose dimensioni lo posero tra i più grandi templi greci dell’era classica.
Lungo in. 113,20 e largo m. 56,60 (un doppio quadrato) occupava una superficie di mq. 6407, sorgendo su un rettangolo costituito da possenti muri di fondazione della profondità massima di m. 6,60.
I cinque gradini del crepidoma si elevano appunto su questo basamento che, agli angoli interni, era rafforzato da pilastri a base triangolare, i quali, facendo parte integrante con le altre strutture, raggiungevano il piano del pavimento.
Si perveniva all’interno del tempio per mezzo di due parte trapezoidali
(m. 3,45 alla base e m. 2,35 al sommo) ricavate negli intercolumni estremi della fronte orientale.
Due settori di muri trasversali dividevano la navata centrale in tre parti: pronao, naos ed opistodomo.
La cella ipeirale (priva di tetto), larga m. 12,80, era delimitata, nei Iati lunghi, da due file di pilastri (12 per parte) a base quadrata, del lato di m. 4 circa, poggiati su basi modanate ad angolo retto ed uniti da cortine di muro.
Il tempio era dorico, ettastilo, pseudoperiptero, un muro dello spessore di m. 1,79 si elevava su un plinto di due assise di conci: ad esso si addossavano, dalla parte esterna, delle semicolonne doriche; all’interno, invece, in corrispondenza di quest’ultime, si innalzavano dei pilastri, che col muro e le semicolonne formavano un unico sistema costruttivo. Tra stilobate ed elevato correva una base continua modanata, alta m. 1,34.
Una delle caratteristiche principali del monumento è costituita d’il fatto che le semicolonne non erano costituite da grossi rocchi sovrapposti, ma esultavano formate da piccoli blocchi a cuneo disposti a raggiera.
Le colonne erano alte in. 16,35, con un diametro all’imoscapo di m. 4,22 e l’altro al sommoscapo di m. 3,25; le scanalature a spigolo vivo in numero di dieci (9 + 2/2) alla bse diventavano al sommo undici più due terzi (11 +2/3), dovendosi ciò al fatto che, verso la metà, le colonne si accartocciavano maggiormente.
Le scanalature avevano la corda di cm. 63 all’imoscapo e di cm. 50 al sommoscapo. Dice Diodoro Siculo che le scanalature della parte bassa della colonna sembravano nicchie nelle quali ci si poteva nascondere.
Le teorie sui vari particolari costruttivi, senza dubbio originali, del tempio di Giove Olimpico si accavallavano infinite.
Alcune di esse, nel passato, hanno avuto largo credito e sono abbastanza note, perché possa qui trascurare un esame sintentico e, per quanto breve, particolareggiato.
“Dirò subito che la questione-su cui soprattutto si insiste, nei diversi pro-geti ricostruttivi, è quella della collocazione dei telamoni. Sono queste delle gigantesche figure dell’altezza di m. 7,61, che nell’edificio avevano senza dubbio funzioni di sostegno.
Come esempio di figure portanti, adoperate nell’architettura di insigni monumenti che immortalano tale motivo nell’arte greca, sono da ricordare quelle di Sileni e Satiri trovate tra i frammenti scultorei-architettonici del teatro di Bacco in Atene, le qual dovevano trovar posto a sostenere la cornice del proscenio del teatro; altro esempio molto noto sono le figure femminili della loggia delle «CARIATIDI» del tempio di Poseidone Eretteo sull’acropoli in Atene.
Il tempio in esame, per gli abitanti di Agrigento, è detto dei «GIGANTI»: ciò è dovuto alle colossali statue «TELAMONI» che, in numero di trentotto, ritti e con le braccia ricurve all’altezza del capo, reggevano, unitamente alle semicolonne, il peso immane della trabeazione.
I conci di tufo, che formano il Telamone, nel retro portano delle appendici che, sporgendo dalla parte posteriore, costituiscono dei prolungamenti, per mezzo dei quali i telamoni venivano a formare un tutto unico coi pilastri retrostanti. Ma dove, esattamente, erano collocate queste figure gigantesche? Koldewey-Puchstein li pongono all’esterno, nell’intercolumnio, facendoli poggiare sopra una sporgenza del muro di cortina. Pace-Fette collocano i telamoni nell’interno della cella. Marconi, avendo trovato, in fortunati scavi archeologici, resti di telamoni, sempre all’esterno del tempio, e in ben sei intercolumni, aderisce alla concezione dei due architetti tedeschi, Koldewey-Puchstein, sostituendo però alla sporgenza del muro dei fragili mensoloni, complicando cosi il problema statico.
Eseguivo nel 1940 il rilievo dei ruderi del tempio, quando mi venne di osservare e rilevare il piede di un telamone a ridosso di un blocco di tufo simile a quello che avevo osservato in un altro angolo del monumento, e che nel mio grafico ricostruttivo avevo posto all’altezza di m. 10,65 dallo stilobate. Intensificai le mie ricerche in quel settore, tra il VI ed il VII intercolumnio del lato meridionale: mi accorsi che poco distante erano evidenti i resti della gamba della gigantesca figura e lo stipite di un’apertura. Mi balenò immediata la soluzione di un annoso problema, che il tratto di stipite osservato altro non era che una parte dell’apertura (finestra m. 7,61 x 3,45), tra una semicolonne e l’altra, al centro della quale si innalzava il telamone a sostenere sulle braccia il peso immane dei fastigi del tempio. Congiunta alla prima soluzione mi balenò la soluzione di un altro problema: quello dell’illuminazione degli ambulacri del tempio considerato che a questo scopo erano insufficienti le due porte aperte negli intercolumni estremi del lato orientale.
È con molto piacere che oso affermare che la mia ricostruzione del tempio è confortata dai particolari architettonici esistenti nell’area del monumento dedicato al re dell’Olimpo.
Ho potuto affrontare la costruzione di un archetipo in felloplastica, alla scala 1:50, che ha destato ammirazione nelle mostre italiane, europee ed asiatiche – perché in possesso di tutti gli elementi necessari alla soluzione di annosi problemi che, dopo lunghi anni di studio da parte di illuminati studiosi, non erano stati risolti.
NEgli_anni1940-1941_, fu deciso dal Prof. Ricci di scavare nell’interno della cella del tempio per prelevare terra allo scopo di riempire 100.000 sacchi di carta per porli alla difesa, in caso di bombardamenti del Tempio della Concordia e di quello di Giunone. In quella occasione ebbi la fortuna di rilevare numerosi resti archeologici di assoluta importanza, che qui di seguito riporto:
1 – blocco modanato allo spigolo con una sagoma cilindrica (toro) del diametro di cm. 20. Mi accorsi subito si trattasse del concio angolare sinistro della porta sud-est del Tempio, ciò perché è stato rinvenuto nell’angolo interno della medesima porta e dove si trova attualmente. L’angolo interno del blocco è ottuso, dato interessante al calcolo della rastremazione degli stipiti della porta;
2 – risega, nel blocco laterale dell’abaco della colonna, profonda cm. 12 circa necessaria per defilare lateralmente l’abaco corrente sul Talamone. La medesima risega mi ha suggerito di quanto rientrava l’abaco del Talamone rispetto a quella della semicolonna;
3 – blocchi pertinenti allo stipite di una apertura tra le semicolonne del VI intercolumnio del lato meridionale;
4 – ritrovamento delle fondazioni, alla profondità di m. 5 circa, del muro divisorio, posto tra il pronao ed il naos, ottenendo la triplice divisione della cella;
5 – constatazione del numero differente delle scanalature della colonna – in basso (all’imoscapo) se ne contano dieci (9+2/2), in alto (al sommoscapo) se ne contano undici più due terzi (11 + 2/3).