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Il dialetto agrigentino in Luigi Pirandello

9 Settembre 2021 //  by Elio Di Bella

Pirandello, che era un uomo passionale, amò passionalmente se non forse Girgenti, certo il suo dialetto. Il rapporto con questo non fu semplicemente filologico. Nell’amore di Pirandello per il linguaggio dei contadini della Valle dei templi, che era per lui <<una lingua>>, quella stessa parlata a casa sua da padre, madre, fratelli e sorelle, si è racchiusa una storia della sua infanzia, l’amore per la madre e per l’origine.

Quando Pirandello scrisse Liolà, si trovava in un punto cruciale della sua vita. <<Cruciale>> in senso proprio. La commedia testimonia, come un’antitesi, il periodo angoscioso del 1916. La guerra era scoppiata da un anno e Pirandello ne era profondamente turbato. Come molti scrittori e intellettuali suoi contemporanei, la sentiva come necessaria guerra patriottica, e questa lo coinvolgeva più che tanti altri perché la storia risorgimentale era stata una storia direttamente sofferta dalla sua famiglia.

 La vicenda della madre, piccola esule a Malta, ne faceva a lui testimonianza. Pirandello si sentiva immediatamente solidale col figlio Stefano che era partito volontario, tanto più ora che, fatto prigioniero sul Monte Calvario, si trovava da quattro mesi nei campi di. concentramento austriaci.

Era un padre siciliano, legato con nodi di forte affettività a ciascuno dei propri figli e forse particolarmente a Stefano, che amava oltre che come primogenito anche come colui che continuava la sua passione letteraria.

La madre era morta in quei mesi, il lutto era ancora ben vivo, la moglie attraversava crisi di gelosia violenta, le difficoltà economiche lo angustiavano da ogni parte.

 La guerra gli mandava soprattutto messaggi di morte e di strage. In una novella di quegli anni, un personaggio dice: <<E i tanti morti d’oggi, i tanti feriti d’oggi, a milioni, chi li ha fatti, donde provengono, e che concludono? […] questa macchina stupida e mostruosa […] che mangia vite, strazia carni…>>.

La sua arte trasformava questo senso di inutilità della morte in opere che indicavano la vanità della vita. Ne venivano messaggi di nichilismo radicale e i labirinti vertiginosi che scuotono alle fondamenta commedie come Cosi è (se vi pare).

Dalle tempeste di gelosia della moglie e da tutto il resto riusciva a difendersi nello spazio ermetico della fantasia e qui lo venivano a trovare i personaggi, benevoli o malevoli, caricati di apparente gioia come Liolà o terribili come la Donna Uccisa di All’uscita, sanguinante e folle.

Mentre scriveva Liola’, riusciva a esorcizzare la morte generale e quella che lo minacciava più da vicino nella persona dei figli. Per un breve spazio si decideva ad afferrare le ragioni positive della vita.

E’ stato osservato come Liolà si apra, al primo atto, su una scena di raccolta e sull’annuncio di una nascita e si chiuda, nel terzo, ancora su una scena di raccolta e sull’annuncio di una nuova nascita. E’ il ciclo mitico della rigenerazione che annulla il tempo e la morte. Liolà rappresenta un tentativo d’impossibile utopia, afferma la vita ed esorcizza la morte (tenta di farlo) perché Liolà è giovane, e Liolà è Stefano che non deve morire. Liolà è esentato dalla morte.

 (Lo scrittore ha creduto di strappare le ali e la proboscide infetta alla mosca assassina che ha ucciso quell’altro Liolà, da cui questo è scaturito, il personaggio della novella intitolata La Mosca). Liolà è uno dei pochi, forse il solo personaggio pirandelliano amato dal suo autore, non tenuto a distanza o soltanto <<compreso>> come gli altri. Pirandello ritrova forse in Liolà sé stesso, giovane, ragazzo, bambino nelle braccia della madre che gli parla in quella lingua che è <<la più dolce di tutte>>.

La madre, morta in una sera d’agosto, gli era apparsa nel suo studio. come un’allucinazione per richiamarlo a sé, alla memoria antica della <<luce d’un sole caldo, luce sonora e flagrante>> per <<riscaldarlo al lume e al calore dell’amor>> suo che lo << rifaceva bambino>>.

Essa, con la sua presenza, con ciò che gli dice, lo richiama alla giovinezza, all’infanzia, ai tempi più radicali. Il Colloquio con la madre, pubblicato sul <<Giornale di Sicilia>> il 17-18 agosto 1915, cioè un anno esatto prima della stesura di Liolà, aveva una motivazione patriottica ed evocava, anche nello stile, l’esemplare tempo risorgimentale della famiglia;

ma l’evocazione dell’incontro, all’improvviso, contro ogni prevedibile attesa, devìa dall’enfasi edificante, in uno scarto, verso un simbolismo intimistico, si apre a un ritorno amniotico, diventa la privata confessione di una comunione più esclusiva e sensuale, quasi incestuosa, con la madre:

<<L’ombra s’è fatta tenebra nella stanza. Non mi vedo e non mi sento più. Ma sento come da lontano lontano un fruscio lungo, continuo, di fronde, che per poco m’illude e mi fa pensare al sordo fragorio del mare, presso il quale vedo ancora mia madre.

Mi alzo; mi accosto a una delle finestre. Gli alti giovani fusti d’acacia del mio giardino, dalle dense chiome, indolenti s’abbandonano al vento che li scarmiglia e par debba spezzarli. Ma essi godono femmineamente di sentirsi così aprire e scomporre le chiome e seguono il vento con elastica flessibilità. E’ un moto d’onda o di nuvola, e non li desta dal sogno che chiudono in sé. Sento dentro, ma come da lontano, la sua voce che mi sospira{…)>>

Il dialetto agrigentino in Liolà e in altre opere

Il colloquio con la madre di sicuro si è svolto in dialetto. Liolà è scritta per la madre, è un omaggio fatto a lei. Il figlio vi ritrova il tempo perduto, può, mentre la scrive di getto, in pochi giorni, riannidarsi senza sospetto nella terra antica, ritrovarsi come in una culla nella sua <<dolce lingua materna>>.

Liolà è la gioia dell’Eden ritrovato: <<È così gioconda che non pare mia>>. Era di più che una <<villeggiatura>>, come egli la chiamava in una lettera al figlio Stefano, era l’alibi dei suoi giorni luttuosi.

In Liolà, la mimesi dialettale non avviene al livello dello stile basso, anzi, al contrario, è come se Pirandello, convinto apologeta del proprio dialetto, lo elevasse, nell’atto di usarlo in questa commedia, alla dignità della lingua. Lo usava, per parafrasare Manzoni, nella forma in cui era parlato a Girgenti dalle persone colte. Un girgentano pulito che evita le asprezze foniche pure presenti nell’agrigentino, nell’obbiettivo di dare la variante più elegante fra quelle da lui stesso indicate nella giovanile tesi di laurea.

Né mancano in Liolà i preziosismi del dialetto, la degustazione di parole rare. Questa commedia è dedicata alla madre e alla lingua parlata dalla madre e dal figlio, destinata a una recita da fare davanti a lei e a un pubblico di persone come lei, di familiari, di buoni borghesi del ceto medio. E’ evidente la cura di non usare espressioni troppo crude.

Quando la fanno proprio arrabbiare, la za Ninfa arriva tutt’al più a dire <<Nzunza, Signuri, pi l’arma d’un cani>>, che Pirandello traduce debolmente, (nell’edizione in lingua del 1917): <<E dàgli! Sempre con la stessa canzone!>>. Una traduzione letterale direbbe invece: <<E ungi, Signore Dio! Per l’anima d’un cane!>>, frase che quel pubblico, se avesse potuto esserci, avrebbe goduta maliziosamente, come linguaggio contadino diventato spettacolo. E in verità tutta la commedia è un divertimento del dialetto. Il dialetto ne è il principale protagonista.

Ogni traduzione che ne fece lo stesso Pirandello non ne è che un guasto e uno snaturamento. Attraverso l’uso del dialetto lo scrittore rivive la propria origine. In questo ritorno alle radici (di cui non è traccia nelle altre commedie e non certo nelle altre in siciliano come Pensaci, Giacomino e ‘A birritta cu ‘i ciancianeddi, in cui il dialetto usato è, se vogliamo semplificare,<<martogliano>>) né nostalgico, né patetico, anzi tutto ridotto a un dialogo oggettivo, si nasconde la sostanza lirica della commedia. Si potrebbe, forse legittimamente, dibattere sul rapporto fra Pirandello e la sua città, ma si può essere certi che Liolà rimane la testimonianza, forse unica nella sua opera, di un legame radicale con la sua terra, la città di Agrigento

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento, agrigento racconta, agrigento storia, akragas, girgenti, luigi pirandello, porto empedocle, sicilia, valle dei templi

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