Migliaia e migliaia di carretti venivano realizzati per esigenze di vita di tutti i giorni.
Lunghe teorie di carretti a centinaia, era facile incontrare, in particolare, nelle ore della giornata, al mattino presto dal tramonto, fino agli anni Sessanta, sembrano, nel ricordo di quanti percorrevano le strade della Sicilia, un sogno lontanissimo.
Eppure vicino alla nostra memoria, anche se è difficile localizzare un’immagine abituale, eppure scomparsa della nostra vita, nel giro di qualche decennio, quasi da apparire preistoria.
L’afflusso, quindi, di migliaia di persone in occasione di mostre e sfilate di carretti hanno il significato della riscoperta, per i più e per i giovani, soprattutto, di un mondo attraente e lontano.
Il carretto ha significato, nell’economia dell’isola, quella agricola, in particolare, l’elemento di congiunzione con il settore commerciale, perché era con questo mezzo che i prodotti della campagna affluivano sui posti di consumo.
Occorreva una catena di montaggio per costruirli
Ma anche la costruzione, in quella che chiameremo catena di montaggio, fabbri, ferrai, intagliatori, pittori con bottega l’uno accanto all’altro, rappresentava un fatto economico.
Migliaia e migliaia di carretti venivano realizzati, non solo nei centri più famosi, ma anche nei più nascosti paesi, per esigenze di vita di tutti i giorni.
Nel periodo della raccolta dei diversi prodotti, per il trasporto delle persone, ma soprattutto delle derrate, vi erano delle imprese specializzate, diremmo oggi, che assumevano – intere famiglie, padre, figli, nipoti – l’appalto con i proprietari del trasferimento, nei magazzini o nei posti di vendita, nelle città.
Colonne di carretti che, ininterrottamente, dall’alba al tramonto, assolveranno a questa incombenza.
Com’era anche facile nelle ore più calde delle giornate estive, lungo le arterie stradali non intasate, come adesso, dal traffico automobilistico ad una curva trovavi improvviso davanti un carretto, al centro della carreggiata, seguito da un cane con la lingua penzoloni, il cui conducente era tranquillamente addormentato: un colpo di clacson ed il cavallo o il mulo, prima del carrettiere, si rimetteva, di scatto, nella sua corsia.
Le sagre, quella del mandorlo di Agrigento, quello dei martiri Alfio, Cincinnato e Philadelphia a Trecastagni, le sfilate di Taormina, Acireale, Santa Rosalia Palermo, per citarne solo alcune, hanno dato un contributo sostanziale alla salvezza del carretto, in un periodo, come capita nella storia dell’umanità, in cui si è protesi nel nuovo progresso.
Il trasporto su strada con gli automezzi, rapido e pulito faceva vedere come un intralcio, soprattutto i contadini che incominciavano ad usare i comodi moto ape, furgoncini, il vecchio carretto e soprattutto l’ingombrante cavallo.
La fine dei carretti
Così le “carretterie” del vittoriese divenivano garage e i carretti venivano venduti a qualsiasi prezzo, pur di sbarazzarsene e quando questo era difficile, per il troppo diffuso afflusso sul mercato, allora venivano utilizzati come combustibile o nel migliore dei casi, finivano a cataste, in vendita, per qualche migliaia di lire, al mercato delle pulci.
Alcuni si salvavano e sono quelli che si possono ammirare oggi, per la passione di qualche amatore. Sono carretti diciamo moderni, abbastanza recenti, al massimo di una cinquantina di anni, perché quelli più antichi, di più difficile manutenzione, sono stati i primi a scomparire.
Una scomparsa che incide purtroppo sulla storia del carretto, sulla trasformazione che ha subito, nel tempo, per le decorazioni che lo ornavano. L’unico esemplare che risale al secolo scorso, fino al 1860, si trova per fortuna al museo etnografico “G, Pitrè” di Palermo.
Altre notizie fotografiche ci pervengono dalla raccolta Alinari di Firenze, in cui sono ritratti, nel 1891, carretti dell’epoca, similari a quello ancora esistente, completo di cavallo e finimenti. Ed ecco quanto riportato nella scheda del Pitrè:
“costruito a Palermo, nella fabbrica di carri di Santi Marino. Dipinto da Franco Salvatore, Palermo, fine 1860”.
Descrizione: “carretto, tutto intagliato e dipinto all’esterno e all’interno, con motivi geometrici, nei colori rosso, bianco, verde, giallo e blu.
Piano di carico completo di cinque ghiummazzelli, scolpiti a bassorilievo e tutto tondo, raffiguranti figure maschili e femminili sdraiate, vestite, nude, angioletti alati, pesci, draghi, un cuore con fiamma, uccelli, ecc.
Tavolette davanti e dietro (tavolazzu davanti e darreni), dipinti e scannallati ai bordi. Laterali del carretto (masciddara) dipinti, ognuno con due scene, inseriti in una cornice a bassorilievo di fiori, fregi, un’aquila ed il simbolo della Sicilia”.
Ermogene La Foreste