
I Telamoni del Tempio di Zeus ad Agrigento: rilievi, disegni e ricostruzioni
Fabrizio Agnello, Mimo Cannella, Salvatore Benfratello
OGGETTO DELLO STUDIO QUI PRESENTATO È LA RICOSTRUZIONE DI UN INTERCOLUMNIO DEL FRONTE ESTERNO DEL TEMPIO DI ZEUS AD AGRIGENTO, BASATA SUL RILIEVO DEL TELAMONE OGGI CUSTODITO PRESSO IL MUSEO ARCHEOLOGICO, SUGLI STUDI E I NUMEROSI SAGGI DI RICOSTRUZIONE PROPOSTI DAGLI STUDIOSI DAL XVIII SECOLO FINO ALLA METÀ DELLO SCORSO SECOLO E SULLA ANALISI STRUTTURALE DEL TELAMONE RICOSTRUITO NEL MUSEO.
PAROLE CHIAVE: RICOSTRUZIONE VIRTUALE, MODELLAZIONE DIGITALE, RILIEVO LASER SCANNER, ANALISI STRUTTURALE.
I resti del Tempio di Zeus occupano l’estremità occidentale del Parco Archeologico di Agrigento, noto come “Valle dei Templi” ed inserito già dal 1997 nella Lista del Patrimonio Mondiale UNESCO. Il tempio di Zeus è il più grande tempio dorico di Sicilia; le sue dimensioni (56*113,45 m), sono paragonabili solo al tempio G di Selinunte (50*110 m) e ai dipteri ionici. Il Tempio di Zeus è diverso da tutti gli altri templi dorici di Sicilia: nel Tempio di Zeus il peristilio è costituito da semicolonne collegate da un muro continuo che chiude il Tempio verso l’esterno; la dimensione eccezionale delle membrature architettoniche e la nota fragilità del calcare locale hanno spinto i costruttori ad adottare una soluzione inedita, sia per il capitello, diviso in due parti lungo l’asse verticale, che per l’architrave, costituita da due blocchi. Tale scelta implicava la necessità della presenza di un sostegno intermedio e la soluzione adottata dai costruttori ribadisce l’evidente intenzione di fare del Tempio di Zeus un caso unico nel mondo greco: vengono progettati e realizzati supporti aventi la forma di figure maschili con le braccia piegate attorno alla testa, vere e proprie rievocazioni della figura mitologica dell’Atlante, denominate nel se-colo scorso “Telamoni”
(Fabrizio Agnello)
I disegni del Telamone tra XVIII e XIX secolo
Le gigantesche rovine del Tempio di Zeus hanno affascinato molti dei protagonisti del dibattito architettonico europeo tra XVIII e XIX secolo; i disegni e le ricostruzioni del Telamone partecipano sia dei canoni estetici del Pittoresco che all’aspirazione alla grandiosità che caratterizza il Sublime. Come acutamente osservato da Patetta2 le scoperte archeologiche del XVIII secolo riaprono il dibattito sui canoni estetici di derivazione vitruviana, per la ricerca di nuove proporzioni armoniche basate non più sull’autorità dei trattatisti ma sull’osservazione diretta dei monumenti e stimolano riflessioni sulla grandiosità degli edifici del passato e sul rapporto armonico tra edificio e natura. In questo periodo si attribuisce più importanza al contributo di tali scoperte nel processo di revisione dei canoni estetici dell’architettura che all’avanzamento delle conoscenze sui monumenti. La prima ricostruzione moderna del tempio, ampiamente rivista dagli studi successivi, è di Winckelmann’; lo studioso è affascinato dalla grandiosità del Tempio e in essa vede un esempio delle “grandi” e “semplici” proporzioni del dorico 4. Nel 1777 Houel disegna un capitello del fronte meridionale; l’ambien-tazione pittoresca e la presenza di figure umane (una delle quali in-tenta a misurare un triglifo con una canna) evocano l’armonia di un contesto incontaminato e la grandezza perduta del passato (fig. 1).
Il disegno di ricostruzione del Tempio di Zeus che Robert Smirke esegue nel 1804 ha molti punti di contatto con la tecnica utilizzata nei disegni di progetto di Boulléè. Quatremère de Quincy, in Sicilia nel 1779, cita il Tempio nella sua contestazione dei principi di armonia del vitruvianesimos; da questo momento in poi il Telamone del Tempio di Zeus entra a pieno titolo nel dibattito europeo. Nel 1796 Friedrich Gilly cita il tempio per esaltare la grandezza del suo progetto per il Mausoleo dedicato a Federico il Grande.
Nel 1804 William Wilkins esegue sia disegni “romantici” che rilievi analitici del tempio. Charles Robert Cockerell, ad Agrigento nel 1824, ricostruisce la grandiosità di uno dei Telamoni ponendolo in posizione eretta ed elabora una attenta ricostruzione del Tempio, confron¬tando il fronte est del Tempio con i più “piccoli” Templi della Concordia e con il Partenone (fig. 2); anni dopo collocherà alcuni Telamoni nella cupola del suo Fitzwilliam Museum a Cambridge. Nel 1823 Leo von Klenze e J.I. Hittorf soggiornano in Sicilia; entrambi raffigurano il Telamone in posizione eretta tra le rovine e sullo sfondo di un paesaggio romantico con minuscole figure umane ai suoi piedi; Leo von Klenze raffigura anche il Telamone supino ricostruito nello stesso anno da Politi ed inserisce Telamoni nella sua ricostruzione di Atene e nel portico dell’Hermitage di San Pietroburgo.
Nei disegni posteriori, tra i quali quelli di Luigi Canina e Choisy, il Tempio è svincolato dal suo contesto e rientra nel repertorio di modelli di architettura. Le rovine, a loro volta, perdono il fscino estetico per acquisire dignità scientifica nelle campagne di scavo condotte dagli archeologi. Lo stesso Telamone viene analizato, dissezionato e ricomposto nel tentativo di giungere a una ricostruzione, ma perde nei disegni il suo fascino evocativo per acquisire una dimensione scientificamente fondata. I nuovi rilievi e disegni del Telamone sono ora mirati a chiarire i dubbi che riguardano la sua posizione e il suo ruolo strutturale nel Tempio.
(Fabrizio Agnello)
Acquisizione ed elaborazione dei dati metrici
Raffaele Politi, regio custode delle antichità di Agrigento, nel 1825 ricompone uno dei Telamoni in posizione supina all’interno della cella del Tempio. Politi non produce una documentazione dettagliata delle operazioni da lui compiute; non conosciamo pertanto la collocazione dei blocchi al momento del ritrovamento, né abbiamo un rilievo dettagliato. Il Telamone del Politi è costituito da dodici filari di blocchi di calcarenite, di altezza compresa fra 62 e 64 cm, per una altezza complessiva di circa 7,60 m.
I filari sono costituiti alternatamente da blocchi singoli e da coppie di blocchi. La testa del Telamone, con le braccia accostate e il collo appena accennato, è composta da due filari: il primo in alto è costituito da due blocchi accostati, il secondo da un solo blocco. Il torso, fino ai fianchi, è costituito da quattro filari (dal terzo al settimo), secondo la sequenza alternata sopra descritta; dei sei filari rimanenti, che costituiscono le gambe e i piedi del Telamone, solo i primi quattro posseggono una geometria ben defini¬ta. Gli ultimi due filari, presumibilmente destinati alla parte termina¬le delle gambe e ai piedi, sono costituiti da piccoli blocchi, presumibilmente frammenti di quelli originari.
Negli anni Sessanta dello scorso secolo il Telamone è stato trasferito in una Sala a doppia altezza del Museo Archeologico, costruita appositamente per la sua esposizione; il Telamone occupa quasi per intero l’altezza della Sala ed è incastra-to a una struttura verticale che nasconde completamente la zona posteriore dei blocchi (fig. 3). Il rilievo del Telamone è stato condotto con metodi laser scanner e fotogrammetrici6. L’elaborazione delle scansioni laser è stata eseguita secondo una procedura ormai consolidata: registrazione delle nuvole di punti con l’ausilio di target codificati; riduzione dei fenomeni di disturbo; rimozione delle aree esterne all’oggetto di studio. La nuvola di punti acquisita è stata utilizzata per la generazione automatica di una mesh a maglia triangolare’. La mesh è stata elaborata con la chiusura dei buchi e la creazione di un volume chiuso (fig. 4); la mesh è stata quindi ottimizzata con la riduzione del numero delle facce e convertita in un formato idoneo al suo utilizzo in software di analisi strutturale.
(Mirco Cannella)
Analisi strutturale del Telamone
Il modello cosi ottenuto è stato utilizzato come input per il programma a elementi finiti ADIVA® 8.8, utilizzando una dimensione massima dell’elemento finito pari a 5 cm, elementi finiti di forma tetraedrica ed un materiale a comportamento elastico (modulo di Young E= I GPa) con peso specifico pari a 15 kN/m3. Il modello utilizzato ha un volume di 7,96 m3 e un peso complessivo di 117 kN. La valutazione del comportamento strutturale è consistita nella determinazione dello stato tensionale presente nel modello per effetto del solo peso proprio.
Le condizioni di vincolo imposte sono state quelle di incastro alla base; date le particolari condizioni di degrado che caratterizzano le parti terminali inferiori del modello, l’analisi dello stato tensionale dovuto al peso proprio è stata fatta in corrispondenza del filare 11. Dai risultati dell’analisi strutturale si evince che il Telamone, cosi come ricomposto da Politi, tende a flettere in avanti (fig. 5); nella zona esaminata del modello si ha compressione nella parte anteriore e trazione nella parte posteriore.
Occorre ricordare che la calcarenite della zona di Agrigento (materiale utilizzato per la realizzazione del Telamone) ha una resistenza a compressione compresa tra 4 e 6 MPa e che, solitamente, si considera nulla la resistenza a trazione. Tali dati inducono immediatamente a concludere che il modello di Telamone utilizzato mostra tensioni di trazione non compatibili con il materiale. Ancora, l’insorgenza delle tensioni di trazione è dovuta alla presenza di un momento flettente originato dalla eccentricità del peso proprio. In conclusione, appare evidente che il Telamone rilevato, forse anche a causa della assenza nel rilievo della parte posteriore dei blocchi, non poteva reggersi né tantomeno essere utilizzato come supporto alla architrave, così come proposto nelle ricostruzioni congetturali del tempio di seguito descritte.
(Salvatore Benfratello)
Modellazione e ricostruzioni congetturali
Gli esiti della verifica strutturale hanno suggerito l’utilizzo dei dati ri-levati per la formulazione di una ipotesi ricostruttiva del Telamone compatibile con la sua funzione strutturale. A tal fine sono stati esaminati gli studi e le numerose ipotesi ricostruttive proposte tra XVIII e XX secolo. Fra le proposte di ricostruzione congetturale del fronte esterno del Tempio di Zeus sono state utilizzate quelle proposte dagli studiosi Koldewey e Puchstein, da Pirro Marconi, da Ernesto De Miro e la più recente proposta di Jos De Waele. Koldewey e Puchstein pro-pongono per la prima volta una ricostruzione grafica della fronte del tempio (fig. 6) con i Telamoni collocati nella parte alta del muro che chiude l’intercolumnio8; i Telamoni sono posti a supporto dell’archi-trave che, a causa dell’ampiezza dell’intercolumnio (circa 8,40 m), era composta da due blocchi. Gli studiosi ipotizzano che il muro abbia uno spessore di circa 1,80 m nella parte basamentale e di 1m nella parte superiore, dove viene posizionato il Telamone.
Le ipotesi di Koldewey e Puchstein sono oggetto di acceso dibattito fino a quando, nel 1925, l’archeologo Pirro Marconi esegue una accurata campagna di scavo sul fianco meridionale del Tempio e riporta in luce i blocchi di tre Telamoni posizionati nell’intercolumnio. I blocchi di uno dei Telamoni vengono rilevati e pubblicati in un articolo del 19269; si tratta purtroppo di una ricostruzione incompleta poiché non vengono ritrovati i due filari più bassi, corrispondenti alla parte terminale delle gambe ed al piede. Dall’osservazione e dal ridisegno dei grafici di Marconi e di Koldewey e Puchstein emerge che solo il primo filare in alto è ancorato nella massa muraria, mentre tutti gli altri filari hanno una faccia posteriore piana presumibilmente accostata al muro. Dal confronto tra il rilievo proposto da Marconi e il rilievo laser scanner del Telamone risulta che lo spessore della parte visibile del Telamone esposto nel Museo Archeologico è sensibilmente inferiore a quello ri-levato da Marconi (fig. 7).
Ciò induce a ipotizzare che una parte non trascurabile dei blocchi del Telamone del Museo Archeologico sia an-negata nella parete verticale alla quale i blocchi sono agganciati; a questa condizione è probabilmente dovuta l’instabilità emersa dall’analisi strutturale. Si è quindi deciso di utilizzare il modello mesh del Telamone come base per la proposizione di una ricostruzione nella quale è stato aumentato lo spessore dei blocchi secondo le indicazioni di Marconi; per ciò che riguarda le terminazioni superiore ed inferiore del Telamone ci si è attenuti alle indicazioni proposte nel 1980 da De Waele’°; appare ragionevole infatti la presenza di un abaco al di sopra della testa poiché il primo filare è composto da due blocchi, con giunto allineato a quello dei blocchi della architrave.
Più contro- versa è ad oggi la ricostruzione della terminazione inferiore; il ritrovamento di un blocco del piede da parte di De Miro ha infatti indotto lo studioso a proporre una ricostruzione del Telamone a gambe divaricate; tale ricostruzione contrasta con tutti i blocchi relativi agli arti inferiori finora rinvenuti, ed ancora con quelli rilevati da Marconi; lo studio di De Miro è stato quindi utilizzato solo per il dimensionamento del piede, lasciando invariata l’altezza dei filari e l’accosta-mento delle gambe, anche questi secondo la ricostruzione proposta da De Waele. È stato infine eseguito il confronto tra la posizione del baricentro delle masse nel modello utilizzato per la simulazione strutturale e la nuova posizione nel modello ricostruito (fig. 8); dal confronto emerge un sensibile arretramento della posizione del baricentro, la cui proiezione ricade nell’area dell’impronta dei piedi ed appare per-tanto possibile ipotizzare che in tale riconfigurazione il Telamone possa assolvere una funzione statica (figg. 9, 10).
(Mirco Cannella)
Conclusioni
Lo studio del Telamone ha offerto l’occasione per riflettere sul profondo cambiamento del ruolo che i metodi del rilevamento e della rappresentazione svolgono nei processi di studio ed analisi dell’architettura e nella formazione degli architetti. Se gli architetti del Grand Tour cercavano nei rilievi nuovi stimoli alla codificazione di un proprio linguaggio architettonico (e almeno fino ai protagonisti del movimento moderno tale tendenza persiste), l’approccio moderno al rilievo possiede una carica di oggettività che riduce gli spazi per l’arbitrio interpretativo, per acquisire una dimensione scientifica. Il rilievo architettonico è divenuto negli ultimi decenni materia per figure specialistiche e la distanza fra l’architetto rilevatore e il progettista sembra aumentare costantemente. Per ciò che riguarda la ricostruzione del Telamone sappiamo che molto rimane ancora da studiare, in particolare per ciò che riguarda la terminazione inferiore; nuovi dati di scavo e nuovi rilievi potrebbero aiutare a fare chiarezza. Nel corso dello studio il rilievo ha svolto un ruolo centrale nel processo di analisi, poiché ad esso è stata affidata la determinazione degli elementi su cui fondare la verifica e la proposizione di nuove ipotesi; le tecniche di modellazione di¬gitale hanno svolto un ruolo non meno importante nella verifica della congruenza geometrica e dimensionale fra le parti ed infine nella costruzione di modelli idonei alla verifica strutturale.
(Fabrizio Agnello)
Note
1 La prima descrizione del Tempio di Zeus è quella di Diodoro Siculo, vissuto tra il 90 e il 27 a.C.: nella sua descrizione viene esaltata la grandiosità e vengono date le misure della pianta pari a 340 piedi in lunghezza, 60 in larghezza e 120 in altezza, ma non vengono inspiegabilmente citati i Telamoni. Nel 1558 il Tempio è descritto dal frate domenicano Tommaso Fazello: «Eravi un altro Tempio a Giove Olimpio, ed era de maggiori Tempi, che fussero in tutta Sicilia, si come afferma Diodoro ed ancor oggi ce lo dimostra il sito, e’l giro, perche la sua lunghezza era di trecento, e quaranta piedi, la larghezza era di settanta, e l’altezza senza i fondamenti era cento e venti piedi. Le mura s’alzavano insieme con le colonne, e le colonne in apparenza estrinseca, erano di figura ovale ed intrinsecamente erano quadre. I portichi del Tempio erano d’altezza, e di grandezza meravigliosa, e nel portico, ch’era verso Levante, si vedeva scolpita con bellissimo artificio la guerra dà Giganti, contra Giove, quando lo volsero cacciar di cielo. Nell’altro portico, ch’è volto a Ponente, era la rovina di Troia, lavorata con si bella, ed artificiosa maniera, che le figure parevano più tosto vive, che scolpite. La guerra Cartaginese fu cagione, che non si finisse il tetto, che s’era cominciato prima, che la guerra si movesse. Et anchor che il resto della fabbrica in successo di tempo rovinasse, non dimeno una parte, ch’era appoggiata a tre Giganti & a certe colonne, stesse un gran tempo in piedi, la quale è tenuta dalla città d’Agrigento per memoria infimo al di d’oggi, e l’hanno aggiunta alle lor bandiere. Ma questa ancora, per trascuraggine degli Agrigentini, rovinò l’anno MCCCCI, a nove dì del mese di Decembre. Et in quel luogo à nostri tempi non si vede altro, che un grandissimo monte di pietre, il quale dal vulgo è detto il palazzo dè Giganti». Fazello 1817, p. 48.
2 Patetta 1975, pp. 52-53.
3 Winckelmann Johann Joachim. 1759. Osservazioni sull’antico tempio di Girgenti in Sicilia, in Storia delle arti e del disegno presso gli antichi di Giovanni Winckelmann. Tradotta dal tedesco e in questa edizione corretta e aumentata dall’abate Carlo Fea giureconsulto. Torno III. Roma 1783-1784, pp. 107-128.
4 Winckelmann esalta la grandiosità delle dimensioni del Tempio con una frase che verrà ripresa più volte negli anni successivi: «un uomo poteva mettersi da solo dentro una scanalatura». Più tardi afferma: «Si ricercava dagli antichi piuttosto la grandiosità nella quale consiste la vera magnificenza. Quindi è che i membri di questo tempio hanno una grande proiezione, e molto più che al tempo di Vitruvio odi quello che insegni questo architetto».
5 Quatremère de Quincy Antoine Chrysostome. 1815. Memoire sur la restitution du tempie de Jupiter Olympien en Agrigente. In Histoire et mémoires de I ‘Institut Royal de France. Paris 1815.
6 Le scansioni laser sono state eseguite con uno scanner a tempo di volo Trimble GS200, mentre le riprese fotogrammetriche sono state acquisite con il sistema Z-Scan della Menci Software. Le scansioni laser sono state eseguite posizionando lo strumento in diversi pun¬ti all’interno della Sala e a quote differenti. Per l’esecuzione delle riprese fotografiche è stato allestito un ponteggio mobile al fine di garantire la condizione di orizzontalità dell’asse di presa; numerose riprese sono state acquisite a diverse quote e da angolazioni differenti. L’acquisizione dei dati metrici è stata eseguita in collaborazione con il dott. Mauro Lo Brutto, Ricercatore del Dipartimento DICAM dell’Università di Palermo. Il dott. Lo Brutto è co-autore di un contributo nel quale vengono esaminate le caratteristi¬che delle nuvole di punti acquisite con i due metodi. Lo Brutto Mauro, Spera Giovanna. 2011. Image-based and range-based 3D modelling of archaeological cultural heritage: the Telamon of the Tempie of Olympian Zeus in Agrigento. In International Society for Photogrammetty and Remote Sensing (ISPRS). Volume XXXVIII-5N16, 2011.
De Waele 1980, p. 205.
La elaborazione delle nuvole di punti e la generazione della mesh sono state eseguite ing of the telamones on the fronts of the Tempie 20 years before.
con il software Rapidform XOS. 9 Marconi Pirro. 1926. I telamoni dell’Olimpieion di Agrigento. Bollettino d’Arte, 1926,
In tutte le ricostruzioni precedenti, basate prevalentemente sui disegni di C.R. Serie II-VI-I, pp. 33-48.
Cockerell, i Telamoni venivano posizionati all’interno della cella nella parte più alta dei 10 De Waele 1980, p. 205.
muri perimetrali. Le osservazioni di Koldewey e Puchstein erano state anticipate da Domenico Bentivegna, ingegnere provinciale di Girgenti, che venti anni prima aveva per primo suggerito la collocazione dei Telamoni a supporto dell’architrave.
Marconi Pírro. 1926. I *demoni dell’Olimpieion dí Agrigento. Bollettino d’Arte, 1926, Serie II-VI-I, pp. 33-48.
De Waele 1980, p. 205.
References
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Cometa Michele. 1993. Duplicità del classico. II mito del Tempio di Giove Olimpico da Winckelmann a Leo von Klenze. Palermo: Medina, 1993, 62 p. ISBN: 978-88-7642-366-6.
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