La colonizzazione del latifondo siciliano è stato compito di altissimo valore spirituale che trascende il fattore economico ed agricolo: significò unificare il dualismo fra le passioni fondamentali del rurale siciliano, la casa e la terra, eterne rivali che costringevano alternativamente ad abbandonare la terra per la casa o la casa per la terra con la conseguente mutilazione di una delle due sacre necessità della vita.
Corollario di questa lotta erano la paura, la gelosia, la cupa tristezza. Quando, verso il mare, scompariva il latifondo e sorgevano i giardini, la lotta cessava e ritornava al rurale il coraggio, la confidenza, la serena gioia della vita.
Di questa diversità assoluta tra lo stato d’animo del rurale del centro dell’isola e quello del rurale alla periferia è prova la diversificazione profonda, a circuiti concentrici fra le case dei centri marittimi, aperte allo spazio, con terrazze e scale esterne, con vivida cromia, espansive — ma di una espansività più contenuta di quella dell’architettura rurale napolitana — e l’architettura del centro dell’isola, che ha invece a volumi chiusi, con scale interne, a pareti piene, e scarse finestrelle guardinghe, volumi scabri, grigi, uniformi, serrati in umiltà paurosa intorno al castello ed alla chiesa su vie strette a svolte e a gomiti
Entrato nel paese, chiusa la porta della casa, serrati fra le mura la moglie, i figli, l’armento. gli animali, solo allora il rurale poteva dormire il suo brevissimo sonno: entrato nella masseria, dove il muro di cinta recinge il caseggiato del padrone, le stalle, il forno, il pozzo e le abitazioni dei rurali, solo allora egli deponeva la sua arma.
Unificando questo dissidio, trasportando il rurale sulla terra da lui stesso coltivata, frazionando il latifondo, offrendogli la sacra gioia di contemplare in contemporaneità gioiosa la gemma del fusto e la gemma del figlio, esaltando la sua individualità operosa e, nel tempo stesso, unificandola in collettività subordinata al benessere dello Stato, si è distrutto il latifondo spirituale.
UNA NUOVA ESPRESSIONE ARCHITETTONICA
Al nuovo stato d’animo bisognava dare nuova espressione architettonica. Sui latifondi insulari sono state costruite 2507 case secondo una sistemazione radiale che è stata studiata anche nei suoi sviluppi futuri, terre e case formano ora un ritmo alterno, una cadenza che trova la sua conclusione sinfonica nel borgo. Il borgo sorge per unificare quei ritmi: funzione di francescana umiltà esso adempie, rispetto al rurale ed alla sua terra. tutti gli edifici che ponessero in loro stessi una ragione di essere, di abbellirsi, di ingrandirsi, verrebbero a dimenticare la loro funzione.
Il borgo non è quindi il villaggio rurale che chiude in sè tutta la sua vita : il borgo è aperto a tutti, vive isolato. ma consente con la sua vita che la solitudine delle case e della terra sia rispettata e mantenuta, che la vita dei rurali sia protetta nei bisogni fisici e spirituali.
Comprende anzitutto una fontana pubblica e fontanelle private, con acqua raccolta da prossime o lontane fonti o incanalata dopo sapienti opere di prosciugamento: comprende la Chiesa con la Canonica, la Caserma, la Casa sanitaria, le case artigiane, la trattoria, la farmacia. Il borgo deve aderire non soltanto ai bisogni di tutti i rurali della vasta zona latifondistica al centro di cui sorge, ma deve anche aderire alle condizioni climatiche e storiche del particolare latifondo su cui sorge.

Perchè bisogna respingere subito il facile equivoco che la parola « latifondo » esprima entità terriere fra di loro uniformi. In realtà ogni latifondo siciliano è creatura viva, ha un’anima, un volto, un sorriso, un tormento, intorno al latifondo, alla periferia del fluido colore delle tue messi, ora si eleva la nivea azzurrità dell’Etna.
Ora l’aranceto picchiettato di fiamma, ora le saline nebulose. ora le cupe zone zolfuree. ora il mare africano, ora le colline di mandorleti aerei.
Stratificazioni diverse di civiltà e di coltivazioni sono fra le sue zolle; i minerali preziosi nel sottosuolo, e, nei paesi che lo circondano, accenti e memorie di magnifiche civiltà anteriori e di razze diverse.
L’opera di bonifica, promossa dall’Ente di Colonizzazione, diretta dal prof. Nallo Mazzocchi Alemanni, non dovette agire, come per l’Agro Pontino, sul tragico regno della miseria e della morte, ma su una terra feconda, ricca di tutte le potenze germinative, trascurata per il prevalere delle mortifere forze spirituali lasciate in retaggio dall’ultimo feudalesimo borbonico.
Appunto per questo, per questo orgoglio di Indizione, e per questa recente miseria, c’erano da superare e da vincere, oltre le difficoltà della bonifica agraria, della irrigazione. del prosciugamento delle zone malate, difficoltà di natura assai più delicata e più intima: convincimenti, passioni. rivalità, gelosie.
In condizioni s’intende come la forma architettonica del borgo, cioè il suo valore espressivo, dovesse particolarmente vigilarsi: borgo serve ad allontanare il rurale dal paesello, dall’uso comune, dalla tradizione, per porlo a contatto col suo podere: il borgo lo educa ad una concezione diversa della vita, più fraterna, più sociale, più espansiva e deve essere costruito in condizioni diverse di clima e di civiltà: non il risultato di semplice opera edilizia poteva essere, ma di meditata sensibilità architettonica, se all’architettura comode fare espressione dello spirito.
Da qui risulta la necessità, da parte dell’Ente di Colonizzazione di affidare il compito a giovani architetti perché la soluzione fosse suggerita da individuali possibilità di interpretazione.
Nel tempo stesso, s’intende perché la Direzione dell’Ente abbia segnalato agli architetti stessi la necessità di far sorgere borghi non di tipo internazionale, ma mediterraneo. Non semplici aggregati di costruzioni, ma espressioni spirituali del nuovo stato d’animo : tramite di civiltà, e non semplice riduzione popolareggiante di civiltà: pietra che si fa parola educatrice e benefica.

LE CASE COLONICHE
Così per le case coloniche, come per i borghi, fu risolutamente vietata ogni standardizzazione per la felice intuizione di quella fondamentale esigenza del popolo insulare, esigenza di individualità, di pittoresco e di nuovo.
Se la necessità infatti di una variazione architettonica e riconosciuta indispensabile all’agricoltore del Nord.
Tanto più essa doveva riconoscersi per l’agricoltore del Sud, sul quale l’afflato di una civiltà millenaria permea lo spirito determinandovi infinite possibilità germinative continuamente evolventesi in favore di una natura ricca e feconda.
Al rurale che trasporta i foraggi sui carri dipinti con fiabe mitiche e incide il gotto con delfini di Arione e con sirene gaudenti, battendo il vomere nel consunto oro di una moneta bizantina o nel rocchio di una colonna dorica, non si poteva offrire un borgo-caserma. fatto di edifici utilitaristici, ma standardizzati. D’altra parte non si poteva favorire l’imitazione della tradizione locale riecheggiando qualche modello rurale: trattandosi di nuove forme espressive bisognava lasciare da parte il tradizionalismo.
Né si poteva favorire la consueta edilizia paesana, ultima propaggine dell’ecclettismo basilivano con rievocazioni di gotico o di arabo normanno: né si poteva imporre uno strapaese che potesse generare nell’anima insulare diffidenze riottose, facili a provocare la diserzione dal borgo stesso.
Il vasto e delicato compito è stato compreso dai primi architetti che hanno costruito i primi otto borghi di Sicilia.
essi si sono mostrati tutti concordi nel rispetto alla tradizione intesa soprattutto come aderenza alla terra e al clima.
Essi hanno svolto i borghi non soltanto nel modo più opportuno per la livellazione stradale, ma anche nel modo più adatto da un punto di vista panoramico, rispettando quelle consuetudini di ubbidienza alla scenografia naturale che rendono pittoresca la Sicilia.
Più bello il panorama e dolce il clima, più si è sentito il bisogno di aprire il borgo verso l’esterno e di usare terrazze prospicienti sulla campagna: più serrata cerchia dei monti e più rigido il clima, più si è sentita la necessità della pianta chiusa con edifici intorno alla piazza e piccole finestre.
In generale, nella sistemazione delle piante, tutti gli architetti hanno preferito la soluzione della piazza al centro, che è per chi conosce l’abitudine siciliana, elemento di straordinaria importanza: luogo di riunione, di contratti, di scambi commerciali, di svaghi. Un borgo senza piazza non avrebbe suggerito al rurale siciliano l’idea del paese.
Per le case coloniche, come per i borghi, è stato tempre ricercato e preferito il materiale costruttivo locale accrescendo con nuove esperienze, la conoscenza delle possibilità autarchiche della Sicilia anche in questo settore. Nel tempo stesso, continuando quella bella tradizione italiana rurale che fa la casa del contadino della pietra stessa su cui sorge sì che certi villaggi pare sorgano come necessità edonistica della terra di disporsi in geometrie spaziali ed in trame di volumi come per affabile accoglienza all’uomo.
Le pietre delle cave immediate al borgo sono state abilmente utilizzate, come pure utilizzato, seguendo una gloriosa tradizione siciliana, il legno per i soffitti, per le balconate, per le recinsioni.
Nei limiti di una misurata, ma non angosciante economia, i borghi sono sorti con carattere di piena modernità. Ma, nel tempo stesso, con aderenza alla tradizione. Singolarmente ciascuno di essi presenta una interpretazione del tutto diversa dall’altra della ruralità e della tradizione, prova questa che si tratta assai spesso di espressioni architettoniche.
Maria Accascino in Giglio di Roccia aprile-giugno n.2, 1942