
I templi agrigentini, cari al maestro Winckelmann, non possono altro che sollecitare una delle tante minute, quasi pedanti, descrizioni di monumenti antichi lasciateci da von Riedesel; ma i toni dell’esaltazione della grecità, costanti fin quasi alla monotonia nelle lettere al maestro, sono in questo caso molto accentuati – forse più che per Siracusa e Catania, certo più che per Selinunte e Taormina, tutti siti peraltro privilegiati per l’elogio della grandezza e della purezza delle forme antiche –; toni ‘sostenuti’ dalla testimonianza di Diodoro, ma espressi in crescendo fino a quasi deliranti confronti – anche se, sullo sfondo, c’è un paragone già istituito da Winckelmann, ma ben più pacato – davanti « … alle famose rovine … di Giove Olimpico …»: «Non si (può) pensare a niente di più maestoso di questa costruzione»; e ancora: «Immagini, mio caro amico, la dimensione delle colonne, l’elegante forma del tempio che è molto più bella della forma a croce con cui è fatto S. Pietro, la costruzione nel suo insieme …, lo stile scultoreo così bello, di cui parla anche Diodoro … . In breve, tutto l’insieme dà l’idea di una costruzione molto più nobile di quella di San Pietro a Roma» (VON RIEDESEL 1997, 49-52). A giusta ragione Michele Cometa ha sottolineato l’impor-tanza di questo momento per l’avvio da una parte del mito della colossalità del tempio agrigentino e dall’altra dell’idea della ricostruzione ideale dei templi antichi nella letteratura artistica in particolare tedesca (COMETA 1993 e 1999).
Maria Cecilia Parra
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