La vita culturale agrigentina non fu molto vivace nella prima metà dell’Ottocento. Un certo risveglio si ebbe solo a partire dagli anni Cinquanta, mentre nei decenni precedenti assai scarse furono le attività di un certo interesse. Basterebbe pensare che sino al 1858 non si stampò che un solo giornale, quello dell’Intendenza di Girgenti (1827-1859), che, tra l’altro, era solo una sorta di burocratico bollettino mensile dei decreti regi e dei provvedimenti amministrativi locali, quindi un piccolo gazzettino ad uso soprattutto delle locali amministrazioni, anche se assai importante per lo storico d’oggi.
La cultura cattolica esprimeva tutte le sue migliori potenzialità attraverso il Seminario, che, specie nei secoli precedenti, aveva goduto di un discreto prestigio negli ambienti accademici italiani. La cultura laica invece sonnecchiava.
La vita culturale agrigentina non era stata toccata dalla diffusione dell’Illuminismo, né dalla rivoluzione francese, di ciò ben si accorsero anche quegli illustri viaggiatori stranieri che nel secolo scorso visitarono Girgenti. Molti di loro non hanno potuto non riportare in patria la pessima impressione avuta per le condizioni di estrema arretratezza in cui viveva anche l’aristocrazia agrigentina, che pure era nei loro confronti molto ospitale.
Gli stessi Agrigentini sino alla prima metà del secolo scorso non furono neppure abbastanza attenti all’importanza storica e culturale della Valle dei Templi, tanto che quei primi esperti giunti a Girgenti per avviare alcuni scavi e alcune ricerche non incontrarono che pochi studiosi locali e molti tombaroli (spesso molto più esperti).
Nonostante ciò, alcuni di questi appassionati archeologi decisero ugualmente di stabilirsi a lungo a Girgenti e di farne la propria nuova patria, come l’artista siracusano Raffaello Politi. Nel 1827 fu istituita a Palermo (con giurisdizione su tutta l’Isola) una Commissione di Antichità e Belle Artiche che decise, tra l’altro, di avviare nuovi scavi e interventi di restauro nella Valle dei Templi. Stimolati dalla necessità di trovare riparo ai tanti problemi di carattere economico e sociale, i Borboni promossero in varie città del Regno le Società Economiche. Così anche a Girgenti le intelligenze più sveglie (e anche più vicine al regime borbonico) vennero chiamate a far parte della Società Economica Agrigentina.
Fu così che – discutendo di economia, di sociologia e di diritto – gli intellettuali siciliani trovarono spesso la maniera di intervenire e di polemizzare sugli argomenti più delicati, anche di natura squisitamente politica, come ad esempio la libertà dei commerci, reclamata dai liberali. Affermando tale o talaltro principio, si venivano a considerare anche i vantaggi e gli svantaggi legati ad un sistema politico anziché ad un altro. Pertanto non pochi Agrigentini si avvicinarono alle dottrine liberali e cominciarono ad esaminare tutti gli aspetti di un regime libero rispetto ad uno dispotico.
Elio Di Bella