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Grande godimento era visitare l’antica Akragas

8 Marzo 2019 //  by Elio Di Bella

 

Pubblichiamo la prima parte del testo di S. Rocco, Girgenti, pubblicato nel 1903

GIRGENTI, la piccola città siciliana di circa venticinquemila abitanti, dalle  piazzette ineguali e dalle viuzze strette, tortuose e acciottolate, che si  arrampicano e s’intrecciano in una rete difficile e brutta su per la parte superiore del colle, là dove alcuni credono che fosse stata ne’ tempi preistorici la sicana Camico, altri Omface, ed altri, con miglior ragione, né l’ una né  l’altra… . è la poco bella discendente della bellissima Acragante, donde, come dal sole del suo bel cielo quasi sempre limpido, riceve oggi tanta luce. Anzi, chi si reca a Girgenti da lontane terre, è solo spinto dal desiderio di vedere il luogo che fu la patria d’ Empedocle, il luogo, che é più, dove si ammirano tuttora i severi ruderi della più vetusta arte dorica, testimoni della ricchezza e della fede degli Acragantini. Arte la quale, venuta dall’Eliade e accolta in fasce, sviluppò l’architettura greca così egregiamente che per comprendere la genesi del Partenone bisogna prima studiare gli antichi templi dell’ Italia meridionale e della vicina grande isola

« Cagione di un vero e grande godimento, dice lo  Schneegans , è il viaggio per la Sicilia a colui che sa  evocare lo spirito degli antichi popoli e delle antiche colture, e si abbandona volentieri all’incanto di queste reminiscenze ». E dice bene, perchè é proprio vero che « l’impressione, prodotta su noi dalla natura e dalle opere degli uomini, non dipende dal solo aspetto esteriore ; la storia, le reminiscenze, le tradizioni, che quelle risvegliano in noi, aleggiano simili ad un vento che spiri incessantemente sui morti avanzi del passato… ». Siracusa ed Agrigento ! non sono certo né Atene né Roma ; ma quanta forza d’ attrazione esse non hanno quanta turba di fantasmi non sollevano ancor esse, queste due ora modestissime città della bella Isola del fuoco, un tempo così potenti emule, e piene di popolo ! Se fu Siracusa più grande, fu Acragante più splendida, sì che i suoi avanzi oggi sono i più notevoli dopo quelli di Roma e d’ Atene.

Così narra una leggenda; e con la narrazione di questa leggenda incominciava la sua storia il più antico logografo siceliota, Antioco Siracusano: Dedalo, il famoso costruttore, e primo prigioniero con il figliuolo Icaro, del labirinto di Creta, sollevatosi a volo con le ali che si era fatte di cera, giunse sulle coste meridionali della Sicilia, là dove regnava Cocalo, re dei Sicani. Questi lo accolse ospitalmente, ed egli nell’agro detto Camico costrusse al re una città fortissima e inespugnabile, e con un solo ingresso, la quale poteva essere difesa da pochissimi uomini : quivi Cocalo eresse sopra una rupe la sua reggia e depose i suoi tesori. Però Minosse, re dei Cretesi , con una lotta numerosa se ne venne in Sicilia o per riavere 1′ artefice industre o per punirlo della colpa d’ essere fuggito; e Cocalo ricorse all’astuzia : accolse ospitalmente anche Minosse ; ma poi in un bagno, lo fece uccidere. Invano i Cretesi, che seppellirono il morto loro re in un sepolcro sul quale eressero un tempio a Venere, invano ne vollero vendicare la  morte violenta; dopo cinque anni d’assedio si sbandarono o pensando a rimpatriare naufragarono.

Questa la leggenda, già prima inserita nella storia della stessa Megara nisea » ; e vicina era l’ isoletta di Minoa ; poi un’altra leggenda sorge, senza dubbio con più solido fondamento storico. Aristónoo e Pistillo della vicina dorica gela, che fu fondata da Antifemo di Rodi  da Entino di Creta. vennero nell’anno 583, a. C.,  (cioè, secondo quello che dice  Tucidide, cento ed otto anni dopo la fondazione di Gela e centocinquantatre dopo quella di Siracusa), ad abitare o addirittura a fondare  anch’essi con Rodiotti e Cretesi, una città alla quale diedero statuto geloo e governo aristocratico. E le posero il nome, forse d’origine sicana, di Akragas. Secondo un’altra leggenda, questo sarebbe il nome del fondatore della città, figliuolo di Giove e della  ninfa Asterope. Akràgas era detto un piccolo fiume o rivo che circondava la città  dalla parte volta a mezzogiorno, ed è ora chiamato San Biagio ; questo congiungeva  le sue acque con l’ Ipsas, oggi Drago, che scorreva dalla parte di libeccio e d’occidente. Ed eccoci subito nella piena luce della storia, nel subito fiorire d’Acragante,  posta in un terreno ben fortificato dalla natura ! E quale morbida luce si diffonde ben presto dalla ricca città, voluttuosa sirena del Mediterraneo ! Dopo la tirannide,  infamata ne’ secoli, di Falaride, cui la leggenda dice che Perilao facesse il famoso toro che prima avrebbe mugghiato coi lamenti dell’ artefice; Dopo il governo  Terone,  del quale Pindaro diceva « essere più agevole contare i granelli dell’arena del mare  che il numero delle sue beneficenze», e specialmente dopo la vittoria d’ Imera  (480 a. C), donde si riportò tanto bottino e dove si fecero tanti schiavi che si adibirono alla coltivazione de’ campi e alla costruzione di grandiosi edifizii pubblici, Acragante, la fluviale Acragante, adagiata su di un pianoro inclinato verso il mare e cinto da rocciosi ed aspri declivi, è davvero la bellissima delle citta mortali, se nondavvero l’amante della gloria. Ed è stanza regina di Persefone, ed abita i pascoli e il colle dove ben s’ edifica : così il Poeta tebano nell’ode pitia dodicesima, in onore di Mida acragantino, vincitore nella gara della tibia.

Essa è inoltre la città dell’incredibile opulenza, è la città della magnificenza. La figliuola di Antistene, ricchissimo cittadino acragantino, va a marito; e per festeggiare queste nozze il padre dà un pranzo  per le vie, la città arde di fiaccole dalle are sparse dappertutto e la sposa, uscendo dal tempio, è seguita da circa duecento mila persone, e quasi mille cocchi le fanno  corteo. Ed Esseneto, quando, vincitore in Olimpia, rientra in Acragante, viene acclamato da tutto il popolo, e trecento bighe tirate tutte da cavalli bianchi e, questi, tutti  acragantini, accompagnano il suo trionfale ritorno. La città, egregiamente munita di mura, che, dice Polibio, “ girano sulla roccia,  acutamente tagliata e tutt’ intorno rilevata, la quale in parte è così per natura, in parte e stata resa tale dalla mano dell’uomo”, è adorna di portici, di fontane, di  numerose statue di Erme ; e si levano maestosi e giocondi i suoi templi alla luce  del sole: maestosi nella fuga delle colonne scannellate, che sono ricoperte di stucco e poggiano sicure con un succedersi piacevole di luce e di ombra ; giocondi per la policromia (della trabeazione, ove il rosso, il verde, il giallo,.il nero od altri colori gareggiano di vivacità o non temono di offendere la vista.

La Colimbetra, un laghetto che ha sette stadii di giro ed è profondo venti cubiti, è popolato dai più fini e delicati pesci, destinati ai pubblici banchtii, ed è reso gaio dai bianchi cigni o da altri uccelli acquatici. E la città, che ha grandiosi condotti sotterranei, dal loro forse leggendario architetto chiamati feaci, che ha sontuosi mausolei ne’ suoi vicini dintorni,  si distende con un perimetro di dieci chilometri, circondata da boschi di ulivi e forse anello di mandorli o di melograni ; ed ha vigneti, ha terreni ubertosi: essa è nutrice di pecore e di generosi cavalli. Poco lontano, allo sbocco dell’ Ipsas, c’è l’Emporio con porticati e magazzini, frequentato da numerose triremi che esportano grano, olio e vino, o dall’Asia e dall’Affrica tornano cariche d’oro, d’argento e d’avorio;  e portano agli Acragantini le stoffe di Cartagine e le porpore di Tiro e di Sidone,  portano i profumi e i legni preziosi dall’ India e dall’ Etiopia. Una densa popolazione  si aggira per le vie della città, si aduna nell’Agora, dove sono accumulati i tesori  e i prodotti importati, e dove gli Acragantini trattano dei loro affari ; e moltissimi  sono i forestieri. I ricchi cittadini sono vestiti di morbidi abiti intessuti di lana e  ornati d’oro e d’argento, e con fermagli d’oro; d’oro e d’argento usano stregghie ed utelli ; si fanno portare dai loro servi in lettighe d’avorio… e d’avorio hanno le lettiere,  finamente lavorate.

Una vita di piaceri trascorre Acragante; le sue case, dice Pindaro, non sono  ignare dei dolci canti. Maa tra gli acragantini, intenti al commercio e più a godere,  come se ad altro non dovessero pensare che a mangiare e a bere, a danzare e a  cantare, — ma le loro case erano anche sacro e felice ricovero degli ospiti — sorge,  Suprema gloria di sua patria, la grande, misteriosa figura di Empedocle, vestito d’un  mantello di porpora e cinto il capo d’una corona d’oro.

Dice Empedocle nel poema delle Purgazioni :

Salvete, amici della gran cittade

e della rocca abitatori, in riva

all’Acragante, alle bell’opre intesi !

E dice anche Empedocle:  … voi che non conoscete sventura ». Ma poteva  non conoscere la sventura, poteva prosperare a lungo un popolo che viveva tra le  mollezze, un popolo che era già corrotto ? Erano orami corrotti gli Acragantini :  mangiavano come se avessero dovuto morire il giorno dopo, e fabbricavano come se  avessero dovuto vivere in eterno. Onde fatalmente vennero, e presto, i giorni della sventura. Invano Pindaro aveva cantato per i discendenti di Terone :

Cronio figlio di Rea, che Olimpo re

Tieni e de’ ludi la fortuna e il valico

D’Alfeo, conserva a lor la terra patria

Fausto, se gli inni ascendon cari a te

Pei loro figli

Non ascero gl’inni cari a Giove. La molle Acragante   è circondata d’assedio quando i suoi abitanti son cosi effeminati che alle sentinelle notturne, mentre la città corre tanto pericolo, si deveve proibire d’aver con sè più d’una materassa, d’una coperta e di due guanciali; tradita, essa è saccheggiata ed incendiata dai Cartnginesi che ne rapiscono le ricchezze e i tesori dell’arte. Quindi vive quasi oscura: invano poi tenta di risorgere allo splendore dei tempi di Falaride, degli Emmenidi « occhio di Sicilia > e di Empedocle ; ritorna però in certo modo a fiorire, specialmentequando Timoleone, dopo aver sconfitto sul Crimiso i Cartaginesi, la ripopola con Eleati e la benefica sì che ne è considerato secondo fondatore ; cade poi sotto i  Romani; ricade sotto i Cartaginesi; quindi di nuovo, per tradimento, nel 210 a. C.  sotto i Romani, sotto l’impero; poi sotto i Vandali, sotto i Goti, sotto i Bizantini…; nell’827 sotto i Saraceni; poi sotto i Normanni di Ruggero Guiscardo, nel 1087….

E Girgenti segue le vicende dell’ isola.

Sconfitti i Mussulmani dall’esercito bizantino, un loro presidio rimasto in Agrigento, non sentendovisi sicuro, uscì dalla città nell’ 829, distruggendola. E quindi  pare sia incominciata Girgenti, poiché la popolazione si ritirò sulla rupe dov’era stata  forse l’Acropoli; sulla cima del colle, dove forse sorgeva un tempo il tempio di Giove  Atabirio e quello di Atena Lindia, gli dei patrii, si rannicchiò, desiderosa di luogo  dove meglio potesse difendersi; e Agrigento per corruzione fatta dai Mussulmani fu detta ora Kerkent ora Gergent.

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento, akrags, girgenti

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