Scoperta la pianta del tempio di Ercole, le scoperte durante la costruzione della strada per il Molo di Girgenti
Intorno agli scavi eseguiti in Sicilia nell’inverno del 1835-1836.
Spinto dal nobile zelo di rendere vieppiù chiara l’antica gloria della patria come di giovare la scienza, ed incoraggiato dal felice successo degli scavi fatti, alcuni anni sono, nelle rovine dell’antica Selinunte, il Governo delle due Sicilie, n’ha fatto eseguire di simili durante il corso dell’inverno passato in due località della stessa Sicilia, dove con ogni fondamento si potevano sperare risultati importanti, cioè a Girgenti e Siracusa.
Né fu vana quella speranza, benché le scoperte ivi fatte siano di minor rilievo delle selinuntine, importantissime senza dubbio per la storia delle belle arti.
I lavori impresi erano già assai avanzali, benché non interamente terminati né nell’uno, né nell’altro luogo, quando io vi passai nel mese di aprile: così che si potrà dare una notizia, se non completa, almeno generale dei risultati ottenuti, i quali non tarderanno di essere esposti al pubblico in modo più speciale dai dotti Siciliani stessi.
Agrigento, città ricchissima di antichi monumenti
E per incominciare dai lavori impresi a Girgenti, diversi sono i luoghi dove, in quella città ricchissima di antichi monumenti, scavi più o meno estesi furono fatti in quest’occasione cioè ai tempi così detti di Proserpina, ossia di Cerere (s. Biagio), di Vulcano, di Ercole, di Castore e Polluce: ma le cose trovate nei tre primi luoghi non parendomi di gran rilievo, non ne farò più lunghe parole, menzionando soltanto, che nel tempio di Cerere si sono trovati certi pezzi del cornicione di bel lavoro e benissimo conservali.
D’un importanza assai più grande sono le scoperte fatte nelle altre due località, principalmente nel tempio di Ercole. E questo il terzo nella gran serie dei tempi girgentini, cominciando dal tempio così dello di Giunone Lucina, e non presentava finora che un mucchio informe di pezzi di fabbrica confusi colla terra accumulala ivi da tanti secoli, così che non si poteva formare nessuna idea giusta di quel che fosse un giorno.
Tolta ora la terra e sgombrati i diversi pezzi di fabbrica, che stavano prima sottosopra, si è messa a scoperto la parte inferiore del tempio più solida e perciò meno danneggiata, cioè la base del delubro ed una buona parte del muro della cella.
Fu distrutto questo tempio, come tanti altri, da qualche scossa di tremuoto, che venendo da tramontana abbatté le colonne e le mura nella direzione opposta, nella quale si vedono ancora oggi regolarmente messe per terra le colonne del lato meridionale ed il muro settentrionale della cella.
È peraltro tanto conservato il tempio che si può riconoscerne con certezza la pianta, ignota affatto prima d’ora, anzi ricomponendo sulla carta i pezzi diversi della fabbrica antica, in gran parte tuttora esistente, può trarsene eziandio la forma sua intera.
Eccone le proporzioni e le misure le più generali.
È un tempio esastilo periptero, di ordine dorico, simile a quelli circonvicini della Concordia e di Giunone Lucina, ma di proporzioni peraltro differenti, avendo quindici colonne ai lati e sei di fronte (contate due volte le colonne dei canti), onde ne viene una forma piuttosto lunga e stretta.
Ha la base solita dei tempi greci, costruita diligentemente di grosse pietre quadrate: una scala di otto gradini larghi e di bella proporzione conduce dalla parte di levante, dove si trova, come ordinariamente nei tempi greci, l’Ingresso, al piano del portico, che andava intorno della cella; dagli alti e tre parti non sono che tre gradini più snelli e più alti di quelli, e disputati non già a servire di scala ma a rendere più ricca e più bella la base dell’edificio.
La superficie di questa base, ossia il piano del portico ha 60 metri di lunghezza, m. 25,10 di larghezza. La cella ha un pronao, donde vi si entra per una porta larga e per mezzo di alcuni scalini (il numero dei quali non si riconosce più), perché ha il suolo m. 0,70 più alto di quel del pronao; il che, sebbene non ordinario, non è senza esempio. L’opistodomo poi, separato affatto dalla cella per un muro, è quasi uguale al pronao ed allo stesso piano.
In tutte siffatte cose dunque non esce questo tempio dal sistema osservato ordinariamente dai Greci nei tempi di quel genere.
Straordinario all’opposto a quanto io sappia senza esempio, è lo scompartimento della cella, nel fondo della quale si trovano appoggiate al muro di ponente, opposto all’ingresso, tre piccole camere, ciascuna con la sua porta propria.
Quella del mezzo, la di cui porta si rincontra direttamente con quella della cella, è distinta dalle altre due tra loro uguali e per l’alzamento del suolo sopra quel della cella, e per la sua forma; che dalla parte d’avanti gli è aggiunto un piccolo pronao, così che fa un tempietto da sé.
Al fondo di questa piccola cella si trova una base piuttosto piccola, sopra la quale stava senza dubbio la statua di qualche divinità.
Le altre due camere, semplicissime peraltro, sono prive anche di simili basi.
La costruzione delle loro mura è somigliantissima a quella del muro della gran cella, cosi che non si possono credere di origine più recente di tutto il resto. La pietra della quale è costruito questo tempio è la stessa pietra calcarea morbida che forma la base del terreno di Girgenti e della quale tutti i tempi girgentini sono costruiti.
La quale pietra essendo assai porosa, la superficie di questo tempio siccome degli altri fu coperta di stucco, come si riconosce chiaramente da molti resti attaccati qua e là al muro, principalmente nelle piccole camere descritte.
È uno stucco piuttosto grossolano, e molto inferiore a quello dei tempi selinuntini.
Anche di colori esistono vestigie, benché non molte: io osservai del color rosso negli intervalli fra i mutuli, del turchino ai mutuli stessi, i quali colori si vedono adoperati nella stessa maniera sui preziosi avanzi del piccolo tempio di Selinunte, che si conservano in Palermo.
Quanto alle opere di scultura rinvenute in questo scavo, il primo luogo tiene una statua virile, priva della testa però e di ambedue le braccia, che si trovò nell’una delle due piccole camere laterali sopra menzionate.
Non ne vidi che un disegno, perché già era spedita a Palermo, quando arrivai a Girgenti.
A quanto si poteva giudicare secondo quel disegno mi pareva essere un Esculapio, al carattere del quale conviene assai e nelle forme dell’ignudo e nei modi del manto.
Ma non oserei decidermi, se sia stata questa la statua proprio diputata al culto di quel tempio, non avendola veduta in originale, né conoscendone la grandezza. Tutti gli altri frammenti trovati fuor di questo non mi parevano di gran rilievo: d’uno stile franco ed ardilo però è una testa di leone appartenente già al cornicione del tetto.
Sfortunatamente non si è trovato nessun vestigio d’iscrizione, delle quali e i tempi siciliani, e generalmente tutta la Sicilia sono straordinariamente poveri in paragone della Grecia.
Di risultati ugualmente importanti benché non ugualmente chiari e soddisfacenti furono gli scavi al tempio così dello di Castore e Polluce.
Che dimostrano chiarissimamente le cose scoperte, non mai fosse tempio l’edificio al quale appartengono gli avanzi copiosi sparsi in quel luogo, perché le fondamenta trovate sono troppo strette e d’una forma affatto disconvenevole a qualunque specie di tempio.
Ma non così chiaro, anzi oscurissimo è, che edificio ed a che uso diputato già fosse, e mi astengo da ogni congettura, come anche da una descrizione più minuta della forma assai particolare di quell’edificio, perché poco gioverebbe senza pianta, la quale non ebbi né tempo né mezzo di rilevare.
Aggiungo soltanto che frammenti architettonici di bel lavoro e conservazione perfetta sinosi trovati in questo luogo; cioè diversi capitelli di colonne, pezzi di architrave, del fregio e di cornicione. Sono di ordini dorici anche essi, come tutti i tempi girgentini, ma si discostano assai dalla semplicità propria a quello stile e per le proporzioni delle parti loro e per gli ornamenti aggiunti all’architrave ed al cornicione: né ricordo di aver veduto mai in nessun altro monumento antico un dorico similmente ornato.
Uno dei capitelli è coperto di stucco, anche esso meno fino di quel di Selinunte: ma non vi trovai nessun vestigio di colore, come neppure negli altri frammenti, che anche dello stucco stesso erano privi.
Parlando di cose girgentine non mi pare inutile di menzionare il fatto che nel fondare la strada nuova che debbe condurre dalla città moderna al caricatore, si è rinvenuto non lungi dai tempi per un tratto di strada piuttosto lungo una quantità di ruderi d’edifici antichi, grandemente distrutti e confusi fra loro e col terreno accumulato al di sopra, cosi che difficilmente si potranno mai spiegare: ma nondimeno sono importanti, perché dimostrano che si trovava in quel luogo una parte dell’antica città, sull’estensione e sulla forma della quale non si potrà mai arrivare in chiaro che per mezzo di simili fatti forse non ancora abbastanza raccolti.
fonte: Bollettino dell’istituto di Corrispondenza archeologica per l’anno 1836, Roma 1836, pp. 97-101